MONDO
Amlo vince in Messico, ma il futuro resta una incognita
Il candidato di sinistra moderata vince le elezioni presidenziali. Nel paese esplode la gioia e la sensazione di voltare pagina ma, a una analisi più approfondita di quanto propone, sono poche le ragioni per cui essere ottimisti.
Alla fine Andrés Manuel López Obrador (AMLO) non ha vinto le elezioni presidenziali messicane, le ha stravinte, con percentuali molto elevate (53%) e soprattutto con uno scarto sorprendente rispetto ai suoi contendenti Meade (16%) e Anaya (22%). Al potere è giunto quindi un partito giovane e formalmente di sinistra (Morena), molto radicato a livello territoriale nei contesti urbani. Non si sono registrati nel corso della giornata gravi episodi di violenza che invece erano temuti dai più. Questi sono entrambi dati politici da considerare e da evidenziare.
Da ora in avanti, però, cosa aspetta il Messico è molto incerto e i commentatori e analisti di sinistra aprono prospettive divergenti.
In molti fanno notare quanto AMLO non voglia in nessuna maniera mettere in discussione le politiche economiche che sono causa della situazione di sfruttamento e diseguaglianza che vive il paese. Sul portale informativo vicino ai movimenti sociali Desinformemonos, viene sottolineato un passaggio fondamentale del discorso inaugurale di Amlo: «Ci sarà libertà imprenditoriale, libertà di espressione, di associazione e di credo; si garantiranno tutte le libertà individuali e sociali, così come i diritti cittadini e politici consacrati dalla nostra Costituzione. In materia economica si rispetterà l’autonomia del Banco del Messico: il nuovo governo manterrà la disciplina finanziaria e fiscale: si riconosceranno gli impegni contratti con imprese e banche nazionali e straniere». Un discorso che è davvero difficile ascrivere a un leader politico che si proclami di sinistra.
Il problema di fondo è che la continuità che AMLO promette è una continuità con politiche selvaggiamente neoliberiste attuate da Calderón prima, e da Peña Nieto poi. Ricordiamo che il paese gode ancora di una minima di cintura di protezione rispetto all’estrattivismo più aggressivo, garantita dal lungo corso della Rivoluzione messicana di inizio secolo (1917), che vide il suo massimo momento nel governo di Lázaro Cárdenas (1934-1940). Quest’ultimo, oltre ad ospitare tantissimi antifranchisti in fuga dalla dittatura iberica dando loro asilo politico, attuò una serie di riforme relative alla proprietà della terra e delle risorse che cercavano di consolidare lo slogan “Tierra y Libertad” per il quale Emiliano Zapata e Francisco Villa erano insorti, venti anni prima.
Proprio questo sistema di protezione dei diritti collettivi e statali è stato definitivamente messo a repentaglio da riforme di Peña Nieto, quali la Ley Energetica e la Ley Laboral, che invece permettono l’accesso al sottosuolo messicano alle imprese multinazionali straniere. Fondamentalmente nel suo discorso di vittoria AMLO ha tristemente promesso a queste imprese di tutelare i diritti che hanno guadagnato con i suoi predecessori durante anni di politiche neoliberiste. Sono proprio queste politiche, che AMLO promette di mantenere in modo stabile, (inclusi i trattati di libero commercio con Usa e Canada), quelle per le quali in Chiapas gli indigeni sono insorti nel 1994.
Sempre su Desinformemonos viene evidenziato un altro fatto grave. Il coordinatore del gabinetto di AMLO, Alfonso Romo, ha manifestato il suo appoggio incondizionato alle Zone Economiche Speciali. Una Zona Economica Speciale è un’area geografica limitata che offre garanzie eccezionali alle aziende che vi investono (tassazione molto bassa, facilitazioni all’esportazione, benefici doganali, legislazioni “leggere” in termini di tutela di diritti sociali e ambientali). Il modello di sviluppo di queste Zone è predatore e colonizzatore, minaccia lo sfollamento di comunità urbane, indigene e rurali e specialmente minaccia gli stati più poveri della federazione, Chiapas, Oaxaca e Guerrero.
Infine, sempre nel gabinetto ha incluso due personaggi sui quali pesano ombre inquietanti, Victor Villalobos che ha favorito e appoggiato la “Legge di Biodiversità” pensata per permettere maggiore capacità di azione alle multinazionali del geneticamente modificato (Monsanto, Syngenta in primis) e infine, come futuro ministro dell’educazione Esteban Moctezuma Barragán, ex ministro dell’Interno con Zedillo (PRI), accusato di aver condotto e diretto la controinsurrezione finalizzata a distruggere l’EZLN sul finire degli anni ‘90.
Il quadro pertanto non è di quelli che portano a essere ottimisti.
Da dove viene allora questa speranza che ha inondato le piazze e le strade del Messico dopo la vittoria? Una speranza che ha visto anche alcuni intellettuali riconosciuti dalla sinistra radicale come Elena Poniatowska appoggiare senza remore AMLO.
Di sicuro un fattore è stato quello che Gustavo Esteva, (anche lui molto vicino ai movimenti sociali) descrive ne “La Jordada” come il prodotto dello hartazgo che in italiano potremmo definire lo “sfinimento”. I messicani non ne potevano semplicemente più della violenza politica economica e sociale compiuta in questi ultimi anni. Le fasce di popolazione colpite dagli effetti più pesanti delle scelte economiche e delle politiche di militarizzazione (e di incorporamento della criminalità nello stato) sono molto più ampie e trasversali, e queste fasce hanno deciso di optare, in massa, per un volto politico differente che promettesse lotta alla corruzione e, in fondo, normalità. Esteva invita a evitare le semplificazioni del “cambierà tutto” così come quelle del “non cambierà nulla”, perché sono entrambe ingannevoli e fa notare, nello stesso articolo, quello che è ora il pericolo più grande: «Gli sforzi compiuti dal basso per ricostruire il paese, specialmente per chi non pensa che i cambiamenti significativi possano avvenire dall’alto, avranno un impatto decisivo. Uno dei compiti principali di costoro sarà affrontare con senno la pericolosa smobilitazione che si produrrà tra coloro che celebrano oggi il trionfo di AMLO con la convinzione illusoria di avere già svolto il proprio lavoro – votare per lui – e ora tocca al leader risolvere tutti i problemi. Questa smobilitazione si combinerà con lo smantellamento di organizzazioni e movimenti i cui dirigenti si incorporeranno al governo, con l’illusione di riuscire a promuovere all’interno le cause che difendono. Sono ostacoli molto seri, e dalle gravi ripercussione. Però non sono sufficienti a trattenere l’impulso alla trasformazione che è apparso il primo luglio, e che va molto oltre questa data».
In molti, in questa situazione, attendono di sentire come si esprimerà l’EZLN rispetto alla nuova fase politica, ma per ora nelle montagne del sudest messicano regna il silenzio.