ROMA

Alfine venne il Giubileo…

Arriva il Giubileo, edulcorato per il mondo cattolico, spaventoso per la vita quotidiana di Roma, ma che pure aveva una grande tradizione sovversiva di giustizia e remissione dei debiti materiali, non solo dei peccati

 Oggi, vigilia di Natale, alle 19, Francesco piccona la Porta Santa e inaugura il Giubileo 2025. Ma qual è la storia di questa istituzione, oggi festa più degli affitti brevi che del perdono cristiano? Che significato materiale ha assunto nei secoli prima di sbiadire a ghiotta occasione dell’overtourism romano?

Dici “Giubileo” e ti vengono subito in mente mefitici lavori stradali, ingorghi di traffico, orde di pellegrini sciamanti da maxi-bus – al massimo martellate sulla Porta santa e accorati inviti alla pace. Ma non è stato sempre così, il Giubileo non andava a braccetto con le cerimonie pompose e gli avvoltoi azzimati di Airbnb.

Il Giubileo nacque come misura di correzione periodica degli squilibri e visse a lungo come festa dei poveri, degli oppressi, degli schiavi. Promessa sovversiva e insieme oppiacea di giustizia e di riscatto.

Qualche cenno storico

Nei regimi mesopotamici antichi la cancellazione periodica del debito agrario e della schiavitù debitoria era una prassi normale di coesione sociale e rispondeva anche a esigenze dello stato (riscossione regolare del debito da tutti i ceti, controllo dello strapotere dei latifondisti, disponibilità di reclute per l’esercito e per le corvées nei lavori pubblici). Il codice di Hammurabi vietava la sottrazione dei raccolti da parte dei creditori e la riduzione in schiavitù dei debitori morosi. Questo orientamento viene rafforzato nella storia ebraica e inserito in una struttura teologica. L’anno giubilare (così chiamato dal suono del corno d’ariete, jobel, che lo annunciava) arrivava, secondo le prescrizioni della Torah, al termine dei sette cicli di Shemittah ovvero anni sabbatici, cioè sette settimane di anni, sette volte sette anni (il 49º o il 50º anno, secondo le interpretazioni). Per il Levitico 25,10 ss. e numerosi altri passi la celebrazione di quest’anno comportava, tra l’altro, nell’ambito dei territori di Israele, la restituzione dell’uso delle terre (che appartengono a YHWH) agli antichi possessori, la remissione dei debiti, la liberazione di schiavi e prigionieri, il riposo (ecologico ante litteram) della terra. Il principio del riposo sabbatico è concentrato in una misura materiale periodica di liberazione dal debito e di interruzione selettiva dei meccanismi economici consueti. Quando suonerà la tromba del Giubileo ognuno tornerà al suo possesso e alla sua famiglia, non seminerà e non mieterà, sarà perfetta libertà e riposo!

L’osservanza del Giubileo, su cui abbiamo pochi riferimenti effettuali, si applicava soltanto quando il popolo ebraico dimorava in Terra di Israele ripartito nelle rispettive Tribù – quindi è divenuto impraticabile dopo la dispersione. In ogni caso la schiavitù restò in vigore fra gli Ebrei, come per gli altri popoli antichi, ed è regolamentata nel Talmud.

Trasfigurato in senso trascendente ma non privo di echi di rivolta indipendentista contro il dominio romano e da accenti di giustizia sociale, il Giubileo è rilanciato nel Nuovo Testamento, laddove Gesù entra nella sinagoga di Nazareth e legge una pagina di Isaia 61, 1-2, che proclama «l’anno di grazia del Signore» (Luca 4, 18-19). Rimando ancor più diretto è nella parabola del servo spietato in Matteo 18, 21-35, dove il padrone impietosito condona 10.000 talenti di debito a un servo piangente ma, quando si accorge che la vittima beneficiata esige il suo credito da un altro servo e lo fa gettare in carcere fino al pagamento del dovuto, revoca la grazia e lo affida agli aguzzini. Allo stesso modo, commenta Gesù, rispondendo a una domanda di Pietro su fino a quando è lecito perdonare un peccato: «non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» – così come farà il Padre celeste con i peccatori.

La citazione dei ricorsi sabbatici del Giubileo evoca subito il parallelismo colpa-debito (a rovescio della nietzschiana Genealogia della morale, ovviamente) e introduce la formula del perdono reciproco come remissione dei debiti del Padre nostro, esibendo in pieno l’ambiguità fra redenzione dei debiti materiali e promessa oppiacea di assoluzione dai peccati.

Del resto, questa è una tendenza costante di una Chiesa che non mantiene la scelta mosaica e neotestamentaria di una difesa delle vittime dell’economia predatoria, ma scivola sempre più, in misura della sua integrazione con l’impero e la dottrina giuridica romana, verso l’accettazione dell’ordine di questo mondo (in cui un tempo affermava di vivere senza appartenervi). Dopo secoli di silenzio, il concetto di “Giubileo” torna con la cosiddetta “Indulgenza dei Cent’anni” un movimento spontaneo di massa di afflusso di pellegrini a Roma alla scadenza del secolo, il 24 dicembre 1299 per ottenere la cancellazione plenaria dei propri peccati (di terre e servitù è sparita ogni traccia). A sistematizzare questa come altre indulgenze straordinarie (tipo l’Anno Santo giacobeo del 1126 o il Perdono d’Assisi del 1216 o la Perdonanza Celestiniana del 1294) come ricorrenza periodica (inizialmente ogni cento anni) fu papa Bonifacio VIII – e questo la dice lunga sul suo contenuto “sociale” e “spirituale”, vista la personalità del promotore. In compenso la ricaduta speculativa overtouristica dell’evento è evidente già nei versi danteschi (Inf. XVIII, 28-33) che illustrano l’adozione del doppio senso di marcia pedonale per i pellegrini sul ponte che conduce a Castel Sant’Angelo.

La riapertura del Giubileo

La deriva cattolica indulgenziaria del Giubileo non doveva riscuotere molto interesse nel campo protestante, avverso a ogni traffico demagogico o simoniaco della remissione dei peccati, ed è allora che le valenze emancipatorie e anti-debitorie tornano in luce nelle rivolte agrarie che si rifanno spesso al tema giubilare soprattutto nei gruppi estremi della New Model Army cromwelliana, i Digger e i Leveller, che impiegano frequentemente il modello di Gerusalemme associandolo alla distruzione della povertà, all’abbattimento delle enclosures, all’eliminazione della servitù debitoria e alla ripartizione delle terre. Per la galassia dei ribelli – quella che Hobbes chiamerà dissoluta multitudo, che non solo non si unifica e identifica con il Re ma gli taglia la testa – la Gloria non è figura celeste ma giustizia sociale sulla terra, redistribuzione periodica di ogni ricchezza, proprio nel senso del Giubileo biblico e delle lettere di san Paolo (Romani, VIII 18-19 e 21-22, 2° Corinti, IV 6-10 e 17-19).

Per Winstanley la gloria di Israele era che le sue genti «had no beggar among them», mentre ogni altra concezione trascendentale di essa era il frutto di un’immaginazione debole e servile, di un «sickly and weak spirit» alimentato dai preti e dai difensori dell’oppressione e della ricchezza. Felicità ed eguaglianza devono essere esperite su questa terra e  «by the material eye of the flesh», non in Paradiso, quando l’uomo è in polvere. L’attuazione pratica del Giubileo consisteva nell’abolizione della monarchia e nel blocco della recinzione delle terre, nel suffragio universale (per Lilburne anche femminile), nella fine dell’arruolamento forzato in marina, nell’usufrutto dei beni comuni della terra e dell’acqua, nel livellamento economico e sociale e nel comunismo fraterno.

Non tutto è finito

La repressione per opera prima di Cromwell e poi dei governi della Restaurazione ricacciò le idee radicali nel sottosuolo, ma questa si ripresentarono un secolo dopo, quando ormai l’Inghilterra era entrata nelle Rivoluzione industriale e le utopie agrarie si mescolavano con gli albori del movimento operaio e più tardi con le tendenze giacobine che venivano dalla Francia. L’occasione della propaganda e dell’azione politica di Thomas Spence non a caso nasce dalle controversie intorno all’ultimo grande appezzamento di terreno ancora non recintato, il Town Moor di Newcastle. Torna a risuonare la “trumpet of Jubilee” in un articolato programma (1775), in cui la fine delle enclosures doveva portare alla costituzione di comunità parrocchiali autogestite che avrebbero distribuito gli affitti delle terre fra tutti i parrocchiani come dividendo sociale; il suffragio universale (stavolta anche femminile) e una specie di reddito di cittadinanza per gli inabili al lavoro completavano un programma, che comprendeva pure la tutela dei diritti dei bambini come parte dei Real Rights of Man, per citare il titolo dell’opuscolo, redatto in uno dei suoi frequenti soggiorni in prigione. L’ultimo eco dell’ideologia leveller, articolato nelle categorie emancipative moderne ma ancora carico di messianismo biblico giubilare, si fonde con le rivendicazioni del nascente cartismo – che è tutt’altra storia eppure sempre la medesima storia di vinti dei ribelli. In parallelo il messaggio dell’affrancamento giubilare risuona forte ed esplicito nell’abolizionismo sulle due sponde dell’Atlantico. Il richiamo al Giubileo e l’appello all’Esodo sono i luoghi retorici più diffusi nella letteratura nera di protesta e si incontrano nei testi del gospel fino ai giorni nostri.

E adesso?

Negli ultimi anni la Chiesa cattolica ha cercato, con magri risultati, di dar sostanza al Giubileo associandolo alla remissione dei debiti contratti dal Terzo Mondo. Francesco ha auspicato per l’imminente scadenza misure di amnistia e indulto per i carcerati – temiamo con lo stesso esito, visto il feroce giustizialismo di classe e di razza del nostro Governo. Abbiamo infatti aperto queste note storiche con le benigne per quanto interessate disposizioni dell’autocrate Hammurabi sulla liberazione dei debitori, le chiudiamo con l’«intima gioia» del sottosegretario alla Giustizia Delmastro delle Vedove per il respiro coartato dei detenuti dietro i vetri oscurati e sui calci in culo agli occupanti case. Sull’Israele moderna inutile dilungarsi.

Non ci pare che l’umanità abbia fatto grandi progressi in tema giubilare o, per meglio dire, non aspettiamoceli dall’alto: prima o poi, dal basso, un Anno Santo del Popolo  ce lo costruiremo!

Immagine di copertina da Wikicommons


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