approfondimenti
OPINIONI
Al mio amico (parte seconda)
Lettera di un Ebreo che resta in Francia nella diaspora a un amico d’infanzia che ha compiuto l’alià e vive a Tel Aviv (seconda parte)
La distruzione di Israele
Secondo le tue parole, Gabriel, io apparterrei a un campo che sostiene la distruzione di Israele. Mi stupisco a ritrovare nelle tue frasi ciò che vedo su BFMTV, tu che sei stato sempre pronto a denunciare la stupidità dei media. È per questo che sono certo che tu puoi ancora fare qualche passo insieme a me. Te lo prometto, ho quasi finito: dopo potrai decidere di rispondermi tenendo conto di ciò che ho detto, trasformare le mie proposte con coscienza di causa, decidere di rompere la nostra amicizia perché ti sembrerà insopportabile, attenerti a una strategia di let’s agree to disagree e venire a bere una birra, oppure unirti a me nella lotta. Sarai sempre il benvenuto.
Non so se hai mai sentito queste parole da una bocca che non fosse accusatrice, ma se le hai lette su un cartello isolato o sentito nella voce di un militante arrabbiato, mantieni la calma. Puoi decidere di fondare un intero pensiero politico su uno slogan o su un’espressione che giudichi infelice. Puoi dire che quelli che gridano abbiamo decapitato Luigi XVI, possiamo ricominciare con Macron sono dei sanguinari che pianificano di ghigliottinare il presidente. Puoi raccontarti che le persone che scadono in tutti odiano la polizia elaborino una teoria per cui ciascun individuo detesta le forze dell’ordine. Partendo da lì, non puoi che sbagliarti. Sai, è come mi disse un giorno la prof. Furand restituendomi una verifica di matematica a cui avevo preso 3/20: il calcolo è buono, è solo un peccato che la tua equazione di partenza non sia quella giusta.
Allora qual è la buona equazione di partenza, qui? Il pensiero politico precede la frase shock.Lo slogan tenta così di convogliarlo, semplificarlo in formule d’effetto, a volte ironiche e caricaturali, altre volte infelici e polemiche. Non è che la superficie della politica, la sua emanazione più spettacolare, o come ci ripetavamo durante la ricreazione a scuola a forza di guardare il VHS di Star Wars: l’occhio non vede che la superficie delle cose, non fidarti. Soprattutto se la superficie delle cose è Twitter e CNews, avrebbero aggiunto nell’edizione speciale.
E qual è questo pensiero politico? Sicuramente non è assimilare un’intera popolazione in nome del paese che abitano. Quando diciamo Israele, parliamo sia di un territorio geografico sia delle sue istituzioni. Distruggere il territorio geografico sarebbe stupido, da un lato perché ci sono luoghi magnifici, dall’altro perché entrerebbe in opposizione alla causa palestinese. Ci restano le istituzioni. Occorrerà ripeterlo: nessuno di serio nel nostro campo vuole la distruzione degli Ebrei di Israele. Gli antisemiti non hanno posto nelle nostre battaglie.Tutti i discorsi seri nella sfera di sinistra e di supporto alla causa palestinese parlano di liberare il paese dalle istituzioni coloniali che generano l’ingiustizia, l’oppressione e l’instabilità affinché tutte e tutti vivano con gli stessi diritti. Siamo d’accordo che queste istituzioni sono israeliane.
È contro la forma istituzionale di questo paese che prendo posizione, contro la forma dello Stato-nazione coloniale centrato su un motivo identitario, che esclude di fatto coloro che non ne fanno parte. In questo non sfugge alle logiche che riguardano tutti gli Stati-nazione e non vedo perché dovrei fare un’eccezione con la scusa di dirmi Ebreo. Io sono francese e nelle mie notti d’anarchismo più sfrenato sogno la fine dello Stato-nazione francese. Non è per questo, però, che getterei la Francia in mare (non avrebbe molto senso, sarebbe un incubo logistico e inquinerebbe le acque). Voglio al contrario che lo stato francese arresti le sue politiche razziste e, in generale, contrarie al movimento sociale. Sono per lo smantellamento delle istituzioni politiche controllate dalla borghesia, per la collettivizzazione dei mezzi di produzione, la fine della proprietà privata lucrativa, l’abolizione del sistema carcerario e delle frontiere, l’accesso incondizionato al cibo, alla casa e ai bisogni primari di tutti quelli che risiedono sul territorio e sono per gli stessi diritti per tutte e tutti. E se un giornalista televisivo dovesse chiedermi “allora lei per la distruzione della Francia?”, avrai i mezzi giusti per capire la stupidità di una domanda del genere.
Comprendere significa scusare
Mi fa pena vedere che mi immagini stare dietro a persone che giustificherebbero il massacro degli Ebrei. Ma non ci sei arrivato dal nulla. Il Vallsismo ha fatto dei danni e tu sei una delle vittime. Ti capisco, lo sono stato anch’io. Per scongiurare questa maledizione che porta a confondere comprensione e legittimazione, ti propongo allora il tentativo, da parte mia, non tanto di giustificare il sionismo, ma di comprenderlo.
Abbiamo rivisto insieme come il sionismo sia stato una risposta storica all’antisemitismo europeo, causa di numerosi massacri di Ebrei. Se è infelice che, per reazione, i sionisti abbiano colpito delle popolazioni che non avevano grandi pretese – al riguardo ne approfitto per aggiungere alla tua lista di lettura l’articolo di Élie Duprey intitolato Judéité, sionisme, colonialisme : sur une cécité – ciò si comprende a partire dallo spirito coloniale della fine del XIX secolo che pretendeva di apportare la civilizzazione in un mondo selvaggio. Il sionismo è un prodotto dei suoi tempi. Non c’è da stupirsi se delle vittime di violenza siano giunte a maturnarne il terrore, terrore che li motiva a riprodurre a loro volta dei meccanismi di violenza di cui loro stessi sono stati vittime.Ora, la paura è la strada che porta al lato oscuro, ci direbbe il nostro saggio sempre durante la ricreazione a scuola. E vedo bene che la paura è il tuo affetto politico dominante quando si tratta di affrontare questo tema.
Allora vieni con me, prolunghiamo questo esercizio di comprensione per vincere la paura. Guardiamo la causa storica e strutturale dell’antisemitismo europeo. Guardiamo i borghesi occidentali puntare il dito contro gli Ebrei come capri espiatori di crisi economiche e sociali per assicurarsi a loro volta il dominio. Guardiamo il pensiero ebraico marxista, comunista, anarchico e antisionista che è derivato da questa sitauzione: non ci sarà emancipazione degli Ebrei o di altre popolazioni finché non ci sarà la rivoluzione sociale, perché le disuguaglianze sociali sono la causa stessa dell’antisemitismo e di tutti i razzismi. Le disuguaglianze sociali sono state la causa del capitalismo e della razzializzazione dei rapporti sociali, non può esserci antirazzismo né lotta contro l’antisemitismo senza anticapitalismo. Da questa lotta si realizzerà l’emancipazione di tutte e di tutti.
A ciò si sono opposti i sionisti del diciannovesimo e ventesimo secolo che volevano un altro progetto emancipatore:fare cioè come gli Stati Uniti, col rischio di diventare a loro volta razzisti, suprematisti e portatori di ingiustizia. Al contempo vittima di antisemitismo e imbevuta di ideologia occidentale coloniale, si capisce così la creazione delle milizie coloniali sioniste in terra araba per la fondazione di uno Stato-nazione. Si capisce che questo degeneri nei massacri dei villaggi. Si capisce che l’esercito voglia cancellare e poi falsificare questa storia. Si capisce ogni evento storico, si analizza sulla base dei rapporti di causalità e delle condizioni che alimentano le ideologie.
In questo modo, comprendere che ciò che è successo il 7 ottobre è il prodotto di un’oppressione vecchia più di 75 anni non è in alcun caso una giustificazione, una scusa. Queste parole non sono di alcuna utilità politica, non servono per nulla alla comprensione. A meno che non si sia giudici, condannare un atto non è che una parola, una postura in uno studio televisivo.
Comprendere vuol dire vedere come funziona, come è successo. È qualcosa di fisico, materiale, e il Vallsismo così scparisce dal tuo corpo.
La sinistra antisemita
Non sono uno di Insoumise, il mio carattere anarchico mi spinge alla prudenza davanti ai partiti politici – anche se posso esservi solidale all’occasione –, ma Rima Hassan o Mathilde Panot, che tu menzioni affettuosamente, non dicono cose diverse al riguardo. Basta solo ascoltarle in un contesto che non provi a incastrarle per renderti conto della portata della campagna di diffamazione ai loro danni. Vedrai le menzogne e le falsificazioni. Vedrai che tutto è orchestrato per screditare il sostegno alla causa palestinese. Vedrai che tutto partecipa all’operazione di demonizzazione della sinistra e ricorderai che la borghesia ha sempre preferito il fascismo al socialismo. Spetta a te sapere dove ti collochi, amico mio.
Non c’è però antisemitismo anche a sinistra? Spero che mi stimi abbastanza da non attribuirmi sciocchezze del genere. Poiché il razzismo e l’antisemitismo hanno impregnato tutte le strutture della società – essendo strutturali, come diciamo noi e come tu ti rifiuti di accettare – nessuno ne è immune. Ogni individuo, anche a sinistra, può avere dei pregiudizi razzisti, antisemiti, sessisti, abilisti, psicofobi, omofobi, transfobici, che bisogna comprendere e decostruire. Ma nessun partito, nessun movimento, nessun pensiero che si dice a sinistra oggi può strutturarsi intorno a motivi antisemiti – contrariamente a movimenti e partiti di destra ed estrema destra che si fondano sull’islamofobia e supportano vere e proprie politiche che additano il musulmano, l’arabo e il migrante come capri espiatori.
Allora sì, alcune persone sono forse antisioniste per antisemitismo come altre sono sioniste per ideale o per paura dell’antisemitismo. Il loro punto in comune:l’assenza di analisi materialista, un’assenza che porta tali persone ad avere una visione idealista e poi identitaria, cioè essenzialista, delle cose – tutto intrinsecamente legato, ricordalo.
Ciò che osservo è che la politicizzazione di queste problematiche attraverso un’analisi delle cause strutturali e materiali, così come la presenza sempre più importante di gruppi di Ebrei antisionisti, riduce l’antisemitismo dei movimenti antisionisti.
Questa spinta alla politicizzazione fa incazzare i nostri avversari, che bloccati nel loro prisma idealista applicano anche a noi il loro modo di pensare e sono costretti a deformare fatti e parole per depoliticizzare l’antisionismo e incollarci sistematicamente l’etichetta di antisemitismo, screditando allo stesso modo questa lotta essenziale.
Ma tu sei mio amico. Non sei Enthoven, BHL, Onfray o Naulleau e non dubito della tua buona fede. Tu che mi dici che ho oltrepassato la linea rossa, che ti preoccupi sinceramente per me, che mi dici che ci si può battere per la libertà dei popoli. Allora vorrei che mi chiarissi una cosa: se la messa in discussione della propaganda israeliana è antisemita, se i nuovi storici israeliani che contestano la narrativa sionista sono antisemiti, se riconoscere la Nakba è antisemita, se il boicottaggio è antisemita, se gettare dei ciottoli contro i carrarmati è antisemita, se resistere militarmente è antisemita, che cosa resta concretamente?
Non temere la risposta: non resta niente, e fa paura. Vedi il vicolo cieco in cui il sionismo ci incastra? Croce vinci tu, testa perdo io.
E quando la critica viene dagli Ebrei? Si preferisce screditarla, dopo tutto non sono che degli Ebrei vergognosi, self hating jews, o ancora dei falsi Ebrei. Questi attributi psicologizzanti e diffamatori mostrano il triste limite del pensiero di voi Ebrei sionisti che ne fate uso. La messa in discussione, che è così cara alla tradizione ebraica e che non abbiamo mai smesso di vantare nei nostri quindici anni alla scuola ebraica, qui smette di esistere. Per l’identitario, il molteplice è traditore. Se un Ebreo si posiziona politicamente contro Israele, tu assolvi la politica per denigrare la sua ebraicità.Preferisci vederlo non come un avversario politico ma come un traditore del nostro popolo. Preferisci non ascoltarlo, non parlargli, preferisci allontanarlo per dei motivi fallaci per non guardare in faccia il pensiero che sostiene, perché questo pensiero ti sconvolgerebbe, ed ecco infine dove sei: non vuoi vedere che la tua comodità proviene dall’espropriazione e di nascondi dietro al muro delle false certezze che la legittimano. Preferisci evocare un vocabolario identitario monolitico piuttosto che politico. Ma anche lì non è colpa tua: l’amalgama di sionismo ed ebraismo, accoppiato al bacio della morte della borghesia che pretende di difenderci, ha ucciso al contempo la pluralità e il pensiero degli ebraismi.
Allearsi a delle fecce
È per questo che bisogna allearsi con Hamas? mi chiederai, mi hai chiesto, mi ripeterai. Ti risponderò con una cosa chiara che il mio cammino verso sinistra mi ha insegnato, in particolare attraverso Notre Joie di François Bégaudeau: il nemico del mio nemico non è necessariamente mio amico. Non aderisco in nessun punto all’ideologia reazionaria di Hamas e non li considero come degli amici dell’emancipazione. Al contrario, ciò che si dice – e penso che tu saprai coglierne la sfumatura – è che Hamas è il risultato di una situazione politica e storica di cui lo stato di Israele è in gran parte responsabile a causa della repressione nei confronti di palestinesi e della sua operazione di pulizia etnica cominciata a partire dal ’47. Tutti i movimenti di resistenza, pacifici come militari, comunisti come reazionari, sono stati repressi. Dire che Hamas è il risultato di un rapporto di forza asimmetrico dove la popolazione palestinese resiste a un occupante, non è affatto aderire alle azioni di Hamas o al suo apparato ideologico. Si tratta di cogliere la realtà fisica, materiale, di un processo storico.
Certo, confesso che avrei preferito che il simbolo della resistenza palestinese fosse un drappo nero con la scritta siamo tutti antifascisti. Ma la realtà è diversa. E poiché Hamas è il risultato di un’oppressione militare e anticoloniale, pretendere di risolverla con altre oppressioni militari iniziate da un esercito occupante confina con la stupidità. Se metti delle persone in gabbia per tutta la loro vita, non puoi stupirti se si comportano come dei selvaggi e se finiscono per voler strangolare quelli che ce li hanno messi, loro e quelli che non hanno fatto niente ma hanno girato lo sguardo dall’altra parte passandogli davanti. Se la tua reazione è di distruggerli e intrappolarli, quali tipi di sentimenti andranno a sviluppare, secondo te?
So bene cosa mi risponderai: sono antisemiti, vogliono il sangue degli Ebrei. Mi parlerai di Farfour, il Topolino di Hamas, mi parlerai della propaganda antisemita nelle scuole palestinesi, mi dirai che è malato, che sono indottrinati. Anche lì, il tuo idealismo coglie solo dei frammenti di realtà senza guardare l’insieme che la struttura. Non ti sarà sfuggito che l’esercito che opprime i palestinesi, che li inquadra, li perseguita, controlla il loro accesso all’acqua e al cibo, è un esercito che si dice ebreo con una bandiera che riprende l’insegna ebrea in nome di un governo che si dice Stato-nazione del popolo ebraico. Tu stesso, nel suo messaggio amichevole, hai tenuto a ricordarmi che Israele è il mio paese perché sono Ebreo.
Amico mio, come puoi non renderti conto che una simile situazione, dal punto di vista di un palestinese che non ha conosciuto altro, porta alla confusione tra Israeliani, Ebrei e sionisti, e che perciò diviene terreno fertile che lo sviluppo di un certo antisemitismo?
Nemmeno qui lo giustifico né rilancio la colpa dell’antisemitismo agli Ebrei. Provo solo a spiegarlo – non a legittimarlo – a partire dalle condizioni che lo favoriscono. Per combatterlo bisogna contestare sia l’apparato ideologico che lo diffonde e lo legittima, sia le condizioni che gli permettono di svilupparsi. Vale a dire l’oppressione dei palestinesi da parte di uno stato coloniale che si dice ebraico. Per prolungare questa riflessione, un ultimo consiglio di lettura con quest’articolo, e poi, promesso, mi fermo: Le 7 octobre, un massacre antisémite ?, di Maxime Benatouil e Nadav Joffe.
Per provarti la mia buona fede, faccio un passo verso di te: il rapporto che hai con i palestinesi, anche questo posso capirlo. Non esiste, perché sei Ebreo e ti inserisci in una guerra fratricida millenaria e immaginaria. Si capisce attraverso la propaganda israeliana che si è insinuata fin nelle nostre scuole, si capisce attraverso le narrazioni che hanno innalzato Ben Gurion e Ariel Sharon come degli eroi e bollato i palestinesi come i discendenti di Amalech che vogliono sterminarci, si capisce dalla nostra esposizione alle immagini su TF1 delle bandiere palestinesi brandite con gioia dopo un attentato a Tel Aviv, si capisce dagli attacchi mortali di cui tu sei stato testimone, si capisce dalle notti che hai passato a correre nei rifugi a causa delle bombe, si capisce dalle immagini insostenibili del 7 ottobre, si capisce dai discorsi ufficiali che ritraggono i palestinesi come una massa informe, degli animali umani assetati di sangue. In queste condizioni e senza alcuna politicizzazione, senza visione dei rapporti strutturali e delle cause storiche – perché quelle sono istituzionalmente falsificate – il razzismo e l’islamofobia non possono che svilupparsi. È fisico, meccanico e la tua islamofobia è allo stesso modo il prodotto delle condizioni materiali della tua esistenza.
Credere alle bugie
Ora che hai capito il mio sistema di pensiero, bisogna che tu faccia un ultimo sforzo, forse il più difficile, per comprendere davvero di cosa parlo. Ciò non avverrà per forza dopo la lettura di questo testo, ma posso provare a darti qualche indicazione – spetterà poi a te fare il resto, se lo desideri.
Un giorno, Gabriel, bisognerà che guardi in faccia il rifiuto della storia palestinese in cui siamo immersi, e fino a che punto tutto ciò lo rende possibile. Questo siamo, stavolta, riguarda noi, te, la tua famiglia, la mia, i nostri amici, i nostri insegnanti, quelli che dicono di rappresentarci, quelli che abbiamo conosciuto, quelli che ci hanno detto che i palestinesi non vogliono condividere, quelli che citano Golda Meir dicendo che gli arabi detestano i nostri bambini più di quanto amano i loro, quelli che ci hanno detto che arrivando in questa terra senza popolo per un popolo senza terra l’hanno costruita, fatta fiorire, civilizzata, c’era poco o niente, tre ulivi e due capanne, nessun villaggio, nessuna cultura palestinese, infatti il popolo palestinese non esiste, è un’invenzione, tutto come questi 400 villaggi di cui non avevamo mai sentito parlare, tutto come la Nakba di cui ho scoperto la parola solo tre anni fa.
Uscire dalla negazione non è facile. L’educazione sionista e revisionista ci impregna da quando siamo piccoli, ci impregna dei suoi slogan, del suo ideale socialista, insulare, salvatore, quest’ideale ci ha plasmati, influenzati. Bisogna disimparare ciò che abbiamo imparato, diceva maestro Yoda a Luke. Capiamo al contempo la necessità e la difficoltà di farlo. Il mio cammino è stato molto doloroso e non senza conseguenze per i miei rapporti. Il tuo messaggio e questo testo ne sono la prova.
Tu hai potuto pensare che ero arrivato a difendere la causa palestinese per manicheismo, perché ero di sinistra e dovevo inserirmi in questo movimento senza pensarci troppo, che dovevo seguire la massa. Hai potuto pensare che ero arrivato a difendere la causa palestinese per posa. Credimi, Gabriel, che mi sarebbe piaciuto se non ti fossi infastidito per i miei like agli articoli di “Tsedek!” e se non avessi fatto passare sei mesi prima di dirmelo. Credimi, Gabriel, che mi sarei ben risparmiato il tuo messaggio amaro. Credimi, mi sarebbe piaciuto ricevere messaggi di altri amici. Mi sarebbe piaciuto se mi avessi annunciato la nascita del tuo secondo figlio. Delle consegunbze potenizalmnentemportali
Ma tu, Gabriel, tu ora hai il vantaggio di non essere solo. Io ho fatto questo percorso, posso accompagnarti, non ti lascerò, sarò al tuo ascolto se hai dubbi, scrupoli, crisi d’angoscia davanti all’estensione della propaganda in cui siamo stati immersi. Ti avevo promesso di smetterla con i consigli di lettura, allora per te che ami il cinema ti consiglio The Gatekeepers di Dror Moreh, dove degli antichi capi del Shin Beth descrivono nel dettaglio il processo coloniale che opprime i palestinesi. È ben fatto, in più ha avuto anche un Oscar. Potrai allora passare a Tantura, documentario israeliano di Alon Schwarz che traccia la storia di un villaggio palestinese distrutto dalle milizie sioniste e gli sforzi di Tsahal e dei poteri politici per inibire le ricerche storiche. Bisogna che tu guardi le testimonianze dei primi combattenti israeliani, che spesso descrivono massacri che non avevano niente da invidiare agli atti terroristici di Hamas, solo senza usare la GoPro. Se sei scioccato, sappi che lo sono stato anch’io. Ero arrabbiato, sconvolto, mortificato. Se è troppo per te, se pensi di non esserne capace, che non puoi gestire questo dolore, se ti senti disarmato, sappi che ci sono passato anch’io e che ne sono uscito. In nome della nostra amicizia, ci sarò per te. E guardando Israelism di Erin Axelman e Sam Eilersten, ti renderai conto che siamo in tanti in questa condizione. Se vuoi, se lo desideri, possiamo guardarlo insieme, un giorno che vieni a Parigi, aspettando di tornare a trovarti a Tel Aviv.
Delle conseguenze potenzialmente mortali
Perché, vedi, se adesso non vengo a Tel Aviv non è perché ti detesti o perché detesti i suoi abitanti. Al contrario, mi manca molto. è perché non sento a disagio all’idea di pagare diverse centinaia di euro per percorrere migliaia di chilometri per divertirmi in un paese dove una parte della sua popolazione viene in quel momento selvaggiamente massacrata. Non ho niente contro di te, Gabriel, è una questione di affetti: la mia gioia di tornare si è spenta. Certamente si riaccenderà un giorno, ma la condizione della sua luce è la giustizia. O almeno un inizio, un passo, un riconoscimento, la fine dei massacri. Allora vai a dirmi che preferisco la vita di palestinesi che non conosco alla tua. Tu mi dirai che metto le convinzioni politiche davanti ai rapporti d’amicizia. Mi hai scritto che non mi rendevo conto delle conseguenze potenzialmente mortali per te e la tua famiglia.
È qui che si trova il tuo errore più grande, e poco importa la direzione che prenderà la nostra amicizia alla fine di questa pagina, voglio che accada avendo la verità al primo posto.
Se pensi per un solo istante che metto le mie idee politiche davanti all’amore per i miei cari, ti sbagli. Ti sbagli su di me, sul mio impegno per la causa palestinese e sul mio impegno politico in generale.
Anche qui bisogna mettere le cose in chiaro: se sono di sinistra radicale, se sono di sentimenti anarchici, non è per idealismo. È perché valorizzo ogni singola vita e perché credo che l’ordine sociale, al contrario, diminuisca il vivente, indebolisca gli individui, li riduca. È per questo che mi unisco alle lotte per l’emancipazione: per partecipare alla liberazionie degli individui dalle strutture che li opprimono, quali che siano. Vado più lontano affermando che anche chi è al dominio vede la propria forza vitale diminuita da un sistema che li ricompensa, perché li ricompensa con delle passioni tristi che opprimono gli altri.
Ormai abiti in Israele da più di dieci anni, come una parte della mia famiglia – di cui il mio fratellino, che amo tanto. Pensi davvero che non siete costantemente nei miei pensieri? Che l’idea di perdervi non mi sia ogni giorno insopportabile?
Amico mio, è esattamente perché ritengo che la situazione attuale produca instabilità, tristezza e morte che mi unisco alla lotta. È proprio perché il progetto sionista crea condizioni esistenziali con delle conseguenze potenzialmente mortali per voi e effettivamente mortali per decine di migliaia di persone che vorrei la sua fine.
La realtà è che non conosco nessun palestinese. Sono sensibile al loro destino, sono scosso dalle storie che leggo e che guardo, e in questo sono assolutamente empatico e solidale con questo popolo che soffre, così come lo sono con tutti gli oppressi – dai pure la colpa al mio lato islamogoscista. La condizione palestinese e il suo legame con la mia ebraicità sono al cuore del mio impegno antisionista, ma non si tratta solo di questo.
Ti conosco bene, Gabriel, mio amico sionista di destra. Non ti chiami davvero Gabriel e il tuo messaggio è un miscuglio di tutti i messaggi che ho ricevuto dai miei altri amici. Scrivo a te ma in realtà è a voi che scrivo, è alle vostre parole a cui rispondo, ma anche ai vostri silenzi violenti. Io sono io, ma sono anche tutti quelli che in me si riconoscono e che subiscono queste emarginazioni da parte di persone che hanno sostenuto e amato.
È perché siamo amici che mi rattrista vedervi difendere il progetto stesso che vi mette in pericolo, che innalza muri, annienta la vita di una popolazione che non conoscete e la deumanizza affinché voi possiate beneficiare dei vostri privilegi in buona coscienza. Ma la vostra buona coscienza è falsa. È il frutto di una pulizia etnica e ha un prezzo, quello del rifiuto, quello della sconfitta del pensiero, quello dell’insicurezza, quello di essere devastati da 1.200 morti e 247 ostaggi e di rispondere con un rischio plausibile di genocidio.
Se fossi melodrammatico, direi che se il mio impegno antisionista dovesse mettere fine alla nostra amicizia, allora è anche in nome di questa amicizia che ho deciso di cominciarlo.
A volte lo sono.
Jeremy
Immagini di copertina e nel testo tratte da Wikicommons
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