MONDO

Afrin sotto assedio

L’aggressione militare turca contro il cantone del Rojava è sempre più violenta e pesante, nel silenzio assoluto della comunità internazionale

Quello che tutti temevano è giunto. L’esercito turco è ora in periferia di Afrin e ha cominciato a bombardare indiscriminatamente la città.

Erdoğan ha annunciato mercoledì mattina che in serata sarebbe entrato nel capoluogo del cantone. Le notizie che giungono da più fronti contraddicono questa versione anche se le immagini dei bombardamenti arrivati fino al centro cittadino sono molto preoccupanti.

In questo video giunto in serata a Dinamopress.

 

Brusk Hasakah, portavoce dello YPG ad Afrin, ha smentito la versione dei fatti diffusa dal premier turco, dicendo che «le minacce di Erdoğan sono una prova della sua confusione mentale trovatosi di fronte alla resistenza delle nostre forze e del nostro popolo ad Afrin. Erdoğan non si aspettava questa resistenza all’inizio dell’attacco». E ha continuato: «Siamo ormai al cinquantaquattresimo giorno e le nostre forze militari continuano a resistere agli attacchi dell’esercito turco e dei suoi mercenari. Causeremo loro un grande numero di morti, continueremo a resistere, costi quel che costi».

Ricordiamo che in città vivono 800.000 civili. Un ingresso effettivo dell’esercito turco comporterebbe un massacro di vastissime proporzioni. Le comunicazioni cominciano a essere difficili e internet è stato tagliato dall’esercito turco.  Gli scarni racconti arrivati ieri raccontano di forni dove viene distribuito il pane gratis, acqua introvabile e donazioni di sangue in massa. Decine sono i morti civili della giornata.

La comunità internazionale continua a stare a guardare in silenzio grave, complice, vergognoso. Solo il ministro degli esteri francese Le Drian ha timidamente detto che «le preoccupazioni di Ankara non giustificano la portata della missione militare».

Proprio ieri, paradossalmente, la Commissione Europea ha stanziato un’ulteriore tranche di fondi verso la Turchia specifici per la gestione dei profughi dalla Siria in territorio turco, nell’ottica dell’esternalizzazione dei confini.

Non è neppure chiaro dove voglia arrivare Erdoğan. Quello che è certo è che non vuole tirarsi indietro, e Afrin potrebbe essere solo l’inizio. La sua volontà di annichilire la resistenza curda e di mettere le mani sulla Siria ridotta in frantumi lo continuano a muovere in una folle corsa verso il controllo della regione.

Si moltiplicano le proteste in varie parti del mondo, grazie ai kurdi della diaspora ma non solo. E intanto siamo tutti con il cuore ad Afrin, nella speranza che anche questa volta la resistenza possa vincere.

Il Consiglio democratico siriano ha detto in serata: «Facciamo appello alla comunità internazionale e alle organizzazioni per i diritti umani perché compiano il proprio ruolo e rompano il loro silenzio circa gli attuali attacchi e massacri».