ITALIA
Affitti brevi, ne riparliamo quando riparte il turismo?
La presidenza del Senato ha giudicato “improponibile” la proposta di modifica della legge sul regime fiscale delle locazioni brevi, approvata la notte di venerdì in Commissione Bilancio del Senato
La pandemia, si è detto, rappresenta l’occasione per riabitare le città. Evidentemente non sarà così, se il salvagente sarà, ancora una volta, la proprietà privata. Il 6 ottobre la presidenza del Senato ha giudicato “improponibile” la proposta di modifica della legge sul regime fiscale delle locazioni brevi, approvata la notte di venerdì in Commissione Bilancio del Senato.
L’emendamento limitava a tre il numero di alloggi locabili sul mercato turistico in forma non imprenditoriale con cedolare secca. Dai quattro alloggi in su, sarebbe scattato il reddito d’impresa. Con la bocciatura, a tre anni dall’approvazione della legge sul regime fiscale degli affitti brevi, il criterio di “imprenditorialità” continua incredibilmente a essere non il numero di alloggi gestiti o il numero di notti, ma quello dei servizi offerti e la forma di organizzazione dell’attività: si può essere proprietari di decine di case affittate per brevi periodi a turisti, ma se si dichiara di non offrire la colazione o un paio di lenzuola pulite, non si è imprenditori.
Dal punti di vista fiscale, insomma, non c’è alcuna distinzione tra chi affitta una stanza nella casa dove abita per brevi periodi a turisti di passaggio e un multihost di Airbnb con decine di case affittate a turisti tutto l’anno.
E parliamo solo di fiscalità, perché imporre dei veri e propri limiti al proliferare degli affitti brevi in Italia è ancora tabù. Ne è la prova il ritiro di un precedente emendamento, un anno fa, con modifiche in linea con tante norme approvate all’estero – limite di alloggi, limite di notti, possibilità per i Comuni di limitare le licenze. Passi fatti anni fa addirittura negli Stati Uniti. In Italia, a quanto pare, siamo ancora in alto mare. E poco importa la concorrenza sleale al comparto ricettivo tradizionale colpito duramente dalla crisi.
Il limite di tre case era certo insufficiente, e questa norma, in verità, non la voleva nessuno. Affittare ben tre case senza limite di tempo a turisti non può certo definirsi un’attività occasionale. Di più, la norma avrebbe riguardato una minoranza di host e di alloggi: solo 7.000 host su 200.000 avrebbero dovuto cambiare regime fiscale, gestendo più di tre alloggi su Airbnb. Le case interessate dalla misura sarebbero state il 30% del totale. Non avrebbe cambiato nulla, ma sarebbe un stato un segnale, per quanto insufficiente, di attenzione al tema degli affitti brevi che hanno stravolto le città negli ultimi 5 anni.
Cosa è successo, infatti, prima della pandemia? È successo che dal 2015, quando è iniziato il boom degli affitti brevi, l’offerta di case in affitto in Italia si è ridotta notevolmente – Nomisma addirittura stimava un deficit di offerta per il 2020 – a fronte di un incremento costante della domanda dal 2011, e un aumento dei canoni «non sostenuto dalla capacità reddituale delle famiglie», ancora secondo Nomisma. Secondo dati Eurostat dal 2010 i valori immobiliari in Europa sono aumentati del 25% e i canoni di locazione del 14,2%. In Italia sarebbero aumentati solo questi ultimi, mentre i valori immobiliari sono calati del 13,2%.
In Europa i rappresentanti di 22 città, tra cui Bologna, Firenze e Milano, hanno recentemente incontrato la vicepresidente della Commissione europea, Margrethe Vestager, in vista dell’approvazione del Digital Services Act, il nuovo regolamento che aggiornerà il quadro giuridico dei servizi digitali, offerti dalle piattaforme come Airbnb.
«Mentre numerose città hanno adottato leggi locali per regolamentare gli affitti brevi – scrive “Cities Today” – i rappresentanti delle città sostengono che le attività illegali sono difficili da contrastare in quanto le piattaforme non condividono facilmente i loro dati con le autorità locali. Obbligarli a farlo potrebbe consentire alle città di comprendere meglio le tendenze e monitorare il rispetto delle norme su questioni quali i limiti massimi di affitto, la riscossione delle tasse e le norme di sicurezza». Le città, insomma, premono affinché il Digital Services Act renda obbligatoria la condivisione dei dati da parte delle piattaforme. Negli Stati Uniti, Airbnb ha lanciato un progetto di “condivisone” dei dati con 15 città, la Airbnb City Portal, «per dare alle città accesso ai dati relativi agli annunci, compresi i dati sul rispetto o meno delle norme locali», scrive Bloomberg. In verità l’operazione sa più di annuncio pubblicitario da parte della multinazionale che si prepara alla quotazione in borsa, perché, ha notato qualcuno, soltanto due città su 15 avranno accesso a dati disaggregati e quindi dettagliati. In ogni caso, la mossa rispecchia la pressione esercitata dalle città per avere accesso ai dati.
In Europa una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea ha stabilito che «la lotta alla scarsità di alloggi destinati alla locazione di lunga durata e all’esacerbarsi delle tensioni nei mercati immobiliari» è «motivo imperativo di interesse generale» che giustifica l’adozione di norme nazionali mirate a regolamentare gli affitti brevi turistici.
In Italia il dibattito a livello nazionale è da anni ancorato alla questione fiscale. A livello delle città qualcosa, confusamente, si muove. Dopo il servizio di Presa Diretta sul crollo del turismo a Firenze, il sindaco Dario Nardella ha dichiarato al “Corriere Fiorentino” di voler procedere a un censimento del centro storico di Firenze per «stanare i furbetti degli affitti turistici».
Infatti durante il lockdown circa il 20% dei residenti contattati per la distribuzione delle mascherine nel centro storico non ha risposto. Si tratta presumibilmente di secondo case indicate come residenze sui cui i proprietari evadono l’IMU. Nardella ha poi chiesto una nuova legge regionale per disciplinare il fenomeno degli affitti turistici, inserendo il limite dei 120 giorni, come Parigi. Secondo Grazia Galli di Progetto Firenze, però, gli strumenti di controllo ci sono già: basterebbe incrociare i dati di quanti si sono registrati presso il portale della Regione (dal marzo 2019 la Regione Toscana infatti prevede l’obbligo di registrazione per tutte le attività ricettive, affitti bevi inclusi) con i dati di Inside Airbnb – visto che Airbnb non li pubblica. Insomma il Comune i dati li avrebbe già e, secondo Galli, anche la possibilità di introdurre nuove norme comunali per la “zonizzazione” degli affitti brevi. Ma il tema non è solo fiscale.
Gli affitti brevi sono un divaricatore sociale: premiano i proprietari di case in posizioni attrattive, penalizzano chi abita in affitto. Questo, in uno scenario di disoccupazione giovanile al 60%, dovrebbe destare qualche preoccupazione.
Perché non tutti i giovani erediteranno una proprietà e non tutti avranno l’aiuto necessario per accendere un mutuo. Quindi il governo sosterrà anche chi abita in affitto? Neanche per sogno: «in oltre 130 pagine non c’è una parola che sia una parola che riguardi interventi su affitti, locazioni, piano per case popolari, sfratti» – scrive Massimo Pasquini di Unione Inquilini. Infatti leggendo la nota di aggiornamento del documento economico finanziario, propedeutico alla prossima legge di bilancio, si desume che gli inquilini in affitto, in Italia, non esistono. Non esistono le 650.000 famiglie in graduatoria per un alloggio ERP, non esistono le 600/800.000 famiglie che hanno chiesto un contributo all’affitto, non esistono le 50.000 famiglie che ogni anno subiscono una sentenza sfratto, non esistono quelle effettivamente vengono sfrattate con la forza pubblica.
La casa si conferma dunque la lente privilegiata per osservare la crescita delle disuguaglianze e l’Italia si conferma una nazione fondata sull’individualismo proprietario di alcuni. Gli affitti brevi danneggiano le città, gli inquilini e i proprietari che affittano a lungo termine. Con il crollo del turismo molte proprietà precedentemente affittate a turisti hanno invaso il mercato ordinario, con contratti transitori. Ma sono case che rientreranno nel mercato turistico quando il turismo ripartirà – del resto il numero di annunci su Airbnb non è diminuito in questi mesi, stando ai dati aggiornati di Inside Airbnb. E, in uno scenario di crisi che si prospetta peggiore di quello post-2008, il numero di affitti brevi turistici potrebbe ben aumentare a dismisura. In questo quadro, l’assenza di politiche pubbliche sull’abitare, necessarie soprattutto nell’attuale e futuro scenario economico e sociale, per riequilibrare le opportunità, produrrà il solito scaricabarile in cui a rimetterci saranno non saranno soltanto gli ultimi, ma le città tutte.