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Adolescence: lo smarrimento in tempo reale
La miniserie britannica rappresenta molto più che un grido di allarme contro la radicalizzazione misogina online: è un’indagine immersiva che ci interroga, rivelando contraddizioni e miserie delle relazioni costruite dentro logiche patriarcali
Ogni stagione televisiva è segnata da una serie che si impone all’attenzione collettiva con la forza di una mareggiata, generando ondate di commenti entusiastici (il momento in cui si genera l’hype), un’inevitabile risacca minimizzante (“è sopravvalutata”), e un dibattito a colpi di longform nei casi in cui sia in grado di intercettare i temi e gli umori del momento.
La serie Tv
La miniserie britannica in quattro parti Adolescence, ideata da Jack Thorne e Stephen Graham per Netflix, ha tutte le caratteristiche per farsi largo anche in un mercato delle immagini estremamente saturo, sia per gli argomenti trattati, sia per gli aspetti estetici e produttivi. Di questi ultimi ha fatto sensazione la scelta di girare ogni episodio in un lungo, virtuosistico piano sequenza, consentendo alla macchina da presa di attraversare ambienti diversi e lontani, oppure di ancorarsi a un unico claustrofobico spazio. Una soluzione coraggiosa che ha scaricato sulla cifra stilistica un’attenzione insolita rispetto agli standard di Netflix.
Ma ciò che colpisce di più del successo di Adolescence è il modo in cui è entrata nel discorso pubblico, grazie alla forza di una scrittura che maneggia, senza scottarsi le dita, temi caldi come mascolinità tossica, propaganda incel, misoginia e bullismo. Una misura dell’impatto avuto dalla serie ce la fornisce la decisione del premier Starmer di mostrarla nelle scuole secondarie del Regno Unito.
Attraverso la storia del delitto compiuto da Jamie Miller, un tredicenne di famiglia working class dello Yorkshire, viso angelico da bambino e assassino della compagna di scuola Katie Leonard, Adolescence indaga la violenza di genere mettendo sotto la lente di ingrandimento la dimensione del maschile. Quello che emerge è un mondo impoverito da tutti i punti di vista, dalle relazioni tra pari e con gli adulti di riferimento (il rapporto padre-figlio è il vero centro tematico della narrazione), allo sguardo sul femminile, sessualizzato con crescente frustrazione e oggettificato fino alla mortificazione. In questo quadro si aggiunge una totale scarsità di risorse adeguate a comprendere l’origine delle proprie frustrazioni e a gestirle con strumenti diversi da rabbia e aggressività: l’incapacità del maschile di soggettivarsi se non come portatore di presunti diritti e gratificazioni che l’autonomia femminile negherebbe.
L’uso del piano sequenza
La tecnica del piano sequenza è allora un’ottima alleata dello sguardo indagatore degli autori: consente un’immersione totale nella temperatura emotiva della storia e di un ambiente che, nella ferita inferta dal delitto, si rivela nel profondo delle sue contraddizioni. Ci troviamo sballottat3 nella ricognizione del caos di una scuola pubblica, istituzione che appare esclusivamente votata a una funzione quasi foucaultiana di controllo, per risultare poi miseramente impotente; oppure soffocat3 dal confronto fra Jamie e la psicologa, un duello snervante in cui ogni battuta è un’incisione di bisturi che scopre e isola ulteriori tessuti nervosi, e ogni pausa costringe il pubblico a respirare – o andare in apnea – al ritmo dei protagonisti.
In questo scavo a trecentosessanta gradi siamo chiamat3 a esplorare una dimensione narrativa di grande complessità: non ci sono tagli a indirizzare lo sguardo e il punto del discorso, ma uno stare nel problema in cui si intersecano diversi piani di realtà. Jamie uccide perché nega l’umanità di Katie, ma è anche vittima di bullismo; desidera avere controllo sulle donne, ma è annichilito dal suo bisogno di approvazione; i suoi genitori sono amorevoli e benintenzionati, eppure non conoscono davvero il suo mondo affettivo e mentale.
Il mondo adolescenziale abitato da Jamie, Katie e gli altri comprimari della storia appare soprattutto ossessionato dalla popolarità sociale e dalle gerarchie e la sessualità si presenta solo come un feticcio di potere. In questa visione piramidale dei rapporti, in cui ognuno ricorre alla violenza per risalire posizioni o cercare di scagliare in basso gli altri, l’unica guida che si offre è quella delle teorie propalate all’interno della cosiddetta manosphere, l’insieme delle risorse online dedicate alla promozione di contenuti misogini e antifemministi.
La cultura Incel
Adolescence ha senz’altro il merito di aver portato all’attenzione di un pubblico vasto le parole d’ordine della propaganda incel, denunciandone i pericoli. Si nominano Andrew Tate e la red pill, ma lasciare che la storia sia contenuta per intero dal fenomeno della misoginia online, dell’addestramento dei giovanissimi all’odio per le donne, è in fondo un pensiero consolatorio, perché spinge il problema oltre la porta di casa, oltre le frontiere dei nostri affetti, immaginando (secondo una retorica cara alle destre) un’invasione dall’esterno.
Purtroppo, quella propaganda risuona dentro qualcosa che è già dentro gli Jamie di questo mondo: con molto acume la psicologa rintraccia nella famiglia del ragazzo tutta una genealogia di aspettative di genere piuttosto stereotipate, sebbene estremamente comuni e prive di ogni alibi di eccezionalità traumatica.
Jamie, contrariamente a come viene dipinto nella maggior parte dei commenti, non è il caso esemplare del giovane radicalizzato dall’esposizione alla manosfera, non è un fervente convertito a un’ideologia d’odio, è un groviglio di insicurezze adolescenziali in cui risuonano alcune parole d’ordine di quei discorsi. Lui stesso sostiene di non credere alle teorie incel ma comunque ritiene valida l’idea per cui il venti per cento degli uomini attrarrebbe l’ottanta per cento delle donne (la cosiddetta “ipergamia”). A tredici anni si sente già in uno stato di prostrazione circa la sua capacità di accedere a una vita sentimentale e sessuale soddisfacente e la risposta che gli viene fornita è arbitraria, ma a causa del suo scarso addestramento alle relazioni, è l’unica a cui crede: è semplicemente brutto.
C’è da chiedersi come possa avere tanto successo una forma di pensiero così deprimente, per cui la maggior parte degli uomini sarebbe indesiderabile e l’unica soluzione sarebbe far tornare indietro il percorso di emancipazione femminile fino a un passato mitico in cui ogni uomo aveva diritto a un donna. Per quanto possa farci infuriare anche solo nominare idee del genere, dobbiamo riconoscere che hanno successo in primo luogo perché dànno una risposta a una sofferenza e a un senso di esclusione reali e poi in quanto funzionali a mantenere un sistema di oppressione.
Al pari di qualunque teoria del complotto, la cosiddetta ideologia incel serve a invisibilizzare e a invertire i reali rapporti di potere, soprattutto quando l’assetto inizia a scricchiolare. Come le fantasiose teorie antisemite stile Protocolli dei Savi di Sion sono servite a spiegare l’ingiustizia sociale senza nominare il capitalismo, allo stesso modo la manosfera protegge il patriarcato attribuendo alle donne, e al femminismo, quella miseria sessuale di cui è responsabile proprio la società patriarcale.
Ma i complottismi sono per definizione prepolitici e impotenti, non chiedono di cambiare né il mondo né se stessi, e quando agiscono sul reale, lo fanno per lo più esplodendo in maniera violenta, come si è visto durante l’assalto a Capitol Hill (un atto il cui terreno è stato seminato per anni dalle teorie del complotto di QAnon) o nei casi di omicidi incel a partire dalle stragi di Isla Vista del 2014.
Attraverso la confusione intellettuale ed emotiva che caratterizzano la pubertà, Adolescence ci ricorda come siamo destinat3 a impattare costantemente con la sofferenza e come sia difficile utilizzare le ferite come organi di senso per fare autenticamente esperienza del mondo e di sé. È sempre più facile cercare una scorciatoia, ideologica ed emozionale. Consapevolezza e dolore sono così intimamente collegati che tutto l’arco di trasformazione di Jamie si basa proprio sul riconoscersi come autore del delitto, un fatto inaccettabile con cui combatte una battaglia disperata contro l’evidenza (non a caso gli autori inseriscono l’apparizione di un giovane negazionista che non crede alla colpevolezza del ragazzo, con i suoi toni paranoici e complottisti).
Da questo punto di vista, l’ultimo episodio è emblematico e mette in comunicazione le traiettorie di padre e figlio. Il padre ricorda con dolore la sua incapacità di accettare i fallimenti sportivi del figlio e di come evitasse di guardarlo in faccia durante le partite. Letteralmente un evitamento del dolore, a cui reagisce replicando l’errore e iscrivendo Jamie a boxe, esponendolo ancora di più a un ideale di mascolinità in grado di schiacciarlo e farlo sentire inadeguato. Solo dopo l’allontanamento dovuto al carcere, Eddie riesce a vedere davvero il figlio: ne riconosce il talento e la passione per il disegno, con il rammarico di non essersi preso cura di quel ragazzino che utilizzava il suo tempo in modo attivo davanti ai fogli invece che passivamente dietro uno schermo. Chissà, forse all’epoca gli sarà sembrata un’attività poco virile secondo una scala di mascolinità egemonica che anche lui può aver introiettato pur nel suo maschilismo così ben adattato alla società. Perché Eddie Miller ci viene mostrato come un uomo “normale” (ne tolleriamo limiti e scatti rabbiosi, perché conformi alle nostre aspettative di genere); un genitore affettuoso, non il padre padrone di cui abbiamo bisogno per spiegarci l’orrore commesso dal figlio. Ma è proprio nei suoi errori benintenzionati, in quegli sguardi negati, che si crea un vuoto in cui Jamie si perde.
All’interno di questa sottile e potente analisi della mascolinità, quello che ci manca è il controcampo del femminile. Soprattutto, si sente il bisogno di evocare quel femminismo che ha creato gli strumenti non solo per analizzare la sofferenza con cui Adolescence ci mette in contatto, ma anche per immaginare una società diversa e una diversa politica dei sentimenti. In attesa di una serie altrettanto dirompente in grado di incarnare quella pars costruens assente nella desolazione in cui ci ritroviamo dopo la visione della miniserie britannica, non possiamo che apprezzare l’onestà della scrittura di Thorne e Graham, capace di calarci in un dramma in cui non esistono mostri o vittime perfette, immergendoci nell’insopportabile complessità del reale.
L’immagine di copertina è uno still frame della serie
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