ITALIA
Aborto in Italia: un percorso a ostacoli
A 42 anni dall’approvazione della legge 194 in Italia è sempre più difficile abortire. Un’infografica ci racconta perché e cosa si potrebbe fare per migliorare il servizio.
Il 22 maggio del 1978 è stata approvata la legge 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, che avrebbe dovuto garantire l’accesso a un aborto libero da restrizioni valoriali, gratuito e in strutture pubbliche, e a tutela della salute della donna. Purtroppo molte delle norme che si leggono in questa legge, frutto delle lotte dei movimenti femministi italiani, sono rimaste solo sulla carta e oggi è sempre più difficile accedere all’aborto nel nostro paese, soprattutto per l’enorme presenza di medici obiettori.
Durante la quarantana, quello che era già un percorso a ostacoli, si è dimostrato un obiettivo quasi impossibile. Molte donne, infatti, si sono sentite rispondere che «questo non è un servizio essenziale» come spiega Obiezione Respinta che durante la pandemia ha aperto un numero sempre attivo dove poter chiedere informazioni riguardanti l’aborto.
Questo però è un problema che non nasce con la pandemia, sono tantissime le testimonianze di donne maltrattate e insultate dal personale sanitario nelle sale d’attesa o nei centralini dove chiedere informazioni.
Centinaia le ragazze che hanno passato serate a cercare la pillola del giorno dopo, togliendo preziose ore all’efficacia del farmaco, ritrovandosi davanti medici e farmacisti obiettori, quando non è prevista alcuna obiezione per la contraccezione, nemmeno d’urgenza. Per questo da anni Obiezione Respinta ha costruito una mappa interattiva contro l’obiezione di coscienza, mentre la pagina IVG-ho abortito e sto benissimo lavora per costruire una narrazione dell’aborto come una libera scelta delle donne, e non solo un’esperienza dolorosa.
Dalla collaborazione tra Non Una di Meno, Obiezione Respinta e IVG-ho abortito e sto benissimo è nata un’infografica che presenta la situazione dell’aborto in Italia e le proposte concrete per migliorare il servizio.
Per molte donne nei giorni peggiori dell’emergenza Covid-19 si è posto il problema di dover accedere a servizi sanitari, tra cui l’aborto, ma non solo, all’interno di ospedali che si erano trasformati in luoghi di contagio.
Questo perché negli anni le strutture territoriali di prossimità sono state definanziate e chiuse, con gli effetti nefasti che abbiamo visto in Lombardia. Negli ultimi cinque anni, ad esempio, sono stati chiusi 208 consultori, mentre in quelli aperti mancano personale e servizi. Proprio i consultori, invece, potrebbero essere gli spazi dove poter praticare l’aborto farmacologico, tramite RU486, fino alla nona settimana e senza ricovero, come già si fa in dodici paesi europei.
Secondo i movimenti femministi, quindi, bisogna riaprire e finanziare i consultori, presidi di prossimità, dove l’accesso ai servizi sanitari e psicologici può essere facilitato dal contatto diretto e dalla costruzione di una rete territoriale di supporto.
I consultori, infatti, in questo modo, potrebbero tornare a occuparsi non solo di accompagnamento al parto o di aborto, ma di supporto alla genitorialità, all’adolescenza, alla sessualità e molto altro ancora. Per una salute non concepita semplicemente come assenza di malattia o come singolo intervento medico, ma «come benessere psichico, fisico, sessuale e sociale e come espressione della libertà di autodeterminazione» come scrive Non Una di Meno nel Piano contro la violenza maschile.