ITALIA
«A Venezia per ricomporre le lotte». Una marea contro il G20
Domani grande mobilitazione nazionale nel capoluogo veneto per opporsi alla gestione delle risorse per la ripartenza post-pandemica decisa dai potenti della terra. Ecologismo, transfemminismo e welfare saranno al centro di proteste, azioni e discussioni pubbliche per una due giorni di contestazione
A Venezia c’è la guerra dei mondi. Da una parte, il G20 che riunisce come di consueto i ministri dell’economia e della finanza dei paesi più ricchi del pianeta, dall’altra giovani che da tutta la penisola stanno arrivando in laguna per contestare le decisioni dei potenti e mostrare altre possibilità di sviluppo, non solo economico. Oggi alle 18.30, presso gli spazi autogestiti Sale Docks è previsto il dibattito La vita a valore con attivisti e attiviste ecologiste e transfemministe, ricercatori e ricercatrici, sindacalisti di base, mentre domani alle 14.30 inizierà una manifestazione pubblica, con concentramento a riva della Zattere.
«Abbiamo fatto una scommessa», afferma Ruggero di Adl Cobas Treviso, che è fra le sigle organizzatrici della mobilitazione. «Se la stagione dei contro-vertici è ormai finita, vogliamo che parlino le lotte: battaglie per la giustizia climatica, per la parità di genere, per il diritto a un reddito di base e a un welfare più egualitario hanno saputo crescere anche in questi tempi pandemici e imporsi all’attenzione pubblica». È lungo queste direttrici politiche che, infatti, è nata lo scorso maggio la piattaforma di discussione in avvicinamento all’appuntamento veneziano “We are the tide, you are only G20” (“Noi siamo marea, voi siete solo il G20”) a riunire tanti movimenti e realtà politiche, dalla Società della Cura a Non Una di Meno, dai Fridays For Future a Emergency.
Venezia, 9 luglio. Foto di Extintion Rebellion
Al centro della protesta c’è, chiaramente, il tema della gestione delle risorse che l’Unione Europea ha messo a disposizione per la cosiddetta “ripartenza”, grazie al piano “Next Generation Eu”. Si tratta di circa 800 miliardi di euro, che verranno spesi da qui al 2026, la maggior parte dei quali attraverso il “Recovery Fund” (672,5 miliardi di euro, di cui 360 di prestiti e 312,5 di sussidi) che nel nostro paese è stato declinato nel Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale (Prrn).
«In Italia il governo di unità nazionale ha messo a tacere qualsiasi possibile voce discordante sulla destinazione delle somme messe a disposizione con il Recovery Plan», si legge dalla presentazione della piattaforma che sarà presente in piazza a Venezia.
Proseguono poi attivisti e attiviste, sempre nel testo di presentazione: «Viviamo in un sistema capitalistico che si basa sulle discriminazioni tra paesi ricchi e poveri, sull’estrattivismo delle risorse naturali, sulla privatizzazione dei beni comuni, sull’indebitamento pubblico a scapito delle popolazioni e mai dei grandi attori dei mercati internazionali. La gestione della pandemia e della campagna vaccinale, in particolare con la decisione di mantenere i brevetti, ne sono l’ennesima, drammatica dimostrazione».
L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19 ha, insomma, acuito e reso ancor più manifeste le disuguaglianze e le linee di divisione già presenti nella nostra società. Ha fatto scalpore, qualche mese fa, la notizia data dall’Istat per cui sui 101mila posti di lavoro persi fra luglio e novembre scorso ben 99mila erano occupati da donne. Oppure, ancora più addietro, il fatto che per le comunità di colore negli Stati Uniti il virus risultasse ben più letale che per la classe bianca e privilegiata (ad aprile circa la metà dei decessi riguardava persone di colore, che nel loro insieme rappresentano però poco più del 13 percento della popolazione).
Non è un caso, allora, che la rivista scientifica “The Lancet” abbia coniato il termine sindemia, a indicare appunto come fattori economici, sociali e politici siano stati e siano ancora determinanti nell’evoluzione dell’emergenza epidemica.«La protesta vuole essere un tentativo di unire le direttrici di lotta che si sono sviluppate contro le diverse disuguaglianze», prosegue Ruggero. «È iniziata come un percorso cittadino composto da movimenti e realtà della società civile della zona per poi assumere in fretta un carattere nazionale. Ci sono vertenze e rivendicazioni che riguardano il contesto veneziano nello specifico, come la questione delle grandi navi o dell’“acqua granda”, ma la posta in palio è di carattere europeo e globale».
Come vent’anni fa a Genova, anche in questi giorni a Venezia è stata istituita una zona rossa. Come vent’anni fa, l’intenzione dei e delle manifestanti è quella di violarla.
«È quasi grottesco che abbiano deciso di bloccare gli accessi a una città che normalmente “vive” dell’attraversamento di persone», annota ancora Ruggero. «Vogliamo evitare qualsiasi “parallelismo” con l’esperienza del 2001, perché si trattava di una fase diversa, in cui è stata peraltro messa in campo un’opera di repressione del movimento pianificata e decisa dall’alto. Ma anche oggi non accettiamo alcuna zona rossa. Vogliamo dare visibilità a un’opzione alternativa, ad altre idee di mondo e società».
1500 unità delle forze dell’ordine sono arrivate in questi giorni a supporto dei 500 agenti già presenti in laguna, mentre circa 300 persone – fra ministri, rappresentanti istituzionali e delegazioni di vario tipo – hanno iniziato a occupare gli spazi dell’Arsenale, della Marina Militare e del Comune in cui si svolgeranno gli incontri. Intanto, arrivano anche attiviste e attiviste da tutte le città italiane, pronti e pronte – come annuncia il movimento ecologista Extinction Rebellion, che già si è fatto notare con alcune azioni – a una «disobbedienza pacifica, ma ad alto impatto».
La marea, insomma, si prepara. E sembra crescere.
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Foto di copertina di Andreja Retsek