ROMA
A Roma anche chi occupa può chiedere la residenza
La direttiva emanata dal Sindaco Gualtieri consente il rilascio della residenza anche senza avere un titolo sull’alloggio in cui si abita. Nonostante l’intervento del Prefetto Frattasi, che sembrava rimettere tutto in discussione, l’articolo 5 della Legge Renzi-Lupi a Roma non si applica, almeno per alcune famiglie. La lotta prosegue per ottenere che le deroghe riguardino tutti i nuclei familiari, incondizionatamente e su tutto il territorio nazionale
A giugno era stata approvata dall’assemblea capitolina una mozione che impegnava il Sindaco Gualtieri a derogare alla legge n.80 del 2014 “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015” conosciuta come Legge Renzi-Lupi che, con quanto disposto all’articolo 5, impedisce a chi occupa un alloggio senza averne titolo di chiedere la residenza e l’allaccio «dei servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della volturazione e del rinnovo». Dunque senza il titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare non si possono ottenere gli allacci alle utenze.
Negare la residenza a chi occupa un alloggio ha conseguenze ancora più gravi perché impedisce l’assegnazione di un medico di famiglia o di un pediatra, costringendo chi si trova in queste condizioni di recarsi al pronto soccorso anche per le cure basilari. Senza residenza non si possono iscrivere i bambini agli asili nido, né alla scuola materna.
Per chi frequenta la scuola primaria e secondaria, alla quale ci si può iscrivere, è impedito l’accesso alla mensa e al buono libri subordinati alla presentazione della certificazione ISEE per la quale è richiesta la residenza. Ai cittadini stranieri è impedito anche presentare la domanda per ottener il permesso di soggiorno.
La legge tuttavia attribuisce al Sindaco la possibilità di dare disposizioni in deroga a quanto disposto all’articolo 5 in presenza di persone minorenni o “meritevoli” di tutela. Il primo a usufruire di questa possibilità è stato il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando che all’inizio del 2019 ha autorizzato il rilascio della residenza a una famiglia che occupava un alloggio popolare e contemporaneamente dava indicazione agli uffici perché concedessero la residenza a tutti gli occupanti che avessero i requisiti per essere inseriti nelle graduatorie ERP e a chi avesse ottenuto la sanatoria dal Comune e dallo IACP per i canoni arretrati. A Palermo c’erano 2000 famiglie che occupavano immobili comunali e 1700 alloggi dello IACP.
Fin dall’approvazione della Legge Renzi-Lupi numerosi giuristi si sono espressi sulla palese incostituzionalità della norma e sulle contraddizioni con altre norme vigenti, come il Codice Civile che all’art. 43 definisce la residenza come luogo in cui la persona ha la dimora abituale, senza specificare altre condizioni particolari. La richiesta della residenza è peraltro obbligatoria secondo quanto previsto dalla legge 1228 del 1954 che stabilisce che «è fatto obbligo a ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale», senza contenere alcuna limitazione relativa alla condizione abitativa del richiedente. Cosa ancora più grave è che la legge ha una funzione retroattiva e colpisce anche le situazioni esistenti, di fatto cancellando la residenza di chi l’ha già ottenuta e imponendo ai gestori dei servizi di interrompere le forniture.
Il giorno dell’approvazione della legge, era maggio del 2014, i Movimenti di lotta per il diritto all’abitare, insieme al sindacato Asia Usb, manifestavano nel centro di Roma. Da allora è partita la campagna “Batti il 5!” che ha portato avanti mobilitazioni in tutta Italia, sostenute anche da decine di associazioni, da ActionAid a Medici Senza Frontiere, dalla Caritas a Sant’Egidio, che negli anni si sono battute per abrogare l’articolo ritenuto incostituzionale e lesivo dei diritti umani. Il numero di coloro che sono investiti dalle nefaste conseguenze dell’articolo 5 sono negli anni aumentati, oltre agli occupanti di case lasciate vuote per anni, si sono aggiunti gli inquilini morosi delle case popolari e chi è colpito da uno sfratto. Le conseguenze della lotta per gli attivisti del Movimento sono state dure. Nel 2016 il Tribunale di Roma ha deciso di applicare la misura preventiva della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per un anno nei confronti di Paolo Di Vetta dei Blocchi precari metropolitani e di Luca Fagiano del Coordinamento cittadino di lotta per la casa.
Il 4 novembre il Sindaco di Roma, dando seguito alla mozione dell’Assemblea Capitolina, ha emanato una direttiva rivolta agli uffici anagrafici di ogni municipio con le disposizioni per rilasciare la residenza anche senza un titolo sull’alloggio in cui si abita.
La possibilità non sarà per tutti, ma riguarderà le famiglie in carico ai servizi sociali, quelle “fragili” o in condizione di forte disagio abitativo, chi ha un reddito inferiore a quello per accedere alle case popolari e i richiedenti asilo. La campagna “Batti il 5!” va tuttavia avanti per ottenere che le deroghe riguardino tutti i nuclei familiari, incondizionatamente e su tutto il territorio nazionale, non solo a Roma. «Perché la residenza non è un merito – scrivono i Blocchi Precari Metropolitani – ma un diritto fondamentale».
L’intervento del Prefetto Bruno Frattasi sembrava rimettere tutto in discussione, con la richiesta al Sindaco Gualtieri di modificare la direttiva approvata, restringendo la platea di chi potrà usufruirne. I Movimenti per il diritto all’abitare, il sindacato Asia Usb e le tante associazioni che hanno partecipato alle mobilitazioni si sono ritrovate in presidio il 23 novembre sotto la Prefettura. Mentre una delegazione veniva ricevuta dal Prefetto, nella piazza si susseguivano i racconti di chi da anni vive in condizioni difficili ed è privato dei diritti fondamentali.
«La direttiva non può essere modificata», ribadiscono i movimenti, perché è il frutto di un percorso collettivo della città e di quei consiglieri comunali che hanno approvato la mozione che chiedeva al Sindaco di promuovere una direttiva che superasse la vergogna dell’articolo 5.
L’incontro del giorno successivo fra il Capo del Gabinetto del Sindaco con il Prefetto cancella ogni timore: la direttiva non sarà toccata.
Una vittoria importante per chi ha portato avanti questa battaglia. Adesso si aspetta la circolare con le linee guida per i municipi che dovranno applicare la direttiva caso per caso. Sperando che non si prolunghino i tempi per vedere riconosciuto un diritto troppo a lungo negato.
Immagine di copertina da pagina fb Blocchi precari metropolitani