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ITALIA

A Ravenna un corteo contro le energie fossili

La manifestazione del 12 aprile ha ribadito, con forza e simbologia adeguata, non solo l’opposizione al rigassificatore, ma tutto l’arco dei problemi sull’uso del fossile e sulle fonti alternative

Mentre l’Italia viene sempre più presentata come hub del gas, continua a farsi sentire il movimento in opposizione al fossile, con istanze dal basso precise e urgenti che spesso restano inascoltate.

«Un crocevia di investimenti nel settore delle fonti fossili», così Pippo Tadolini del coordinamento ravennate della campagna Per il Clima – Fuori dal Fossile definisce la città di Ravenna, raccontando che «ha cominciato già dai primi anni ‘50 a essere un punto di riferimento fondamentale nel settore, con il primo pozzo di trivellazione nel 1952, legando le sue sorti all’estrattivismo». Il fossile nel corso dei decenni ha rappresentato per la città opportunità di investimento non indifferenti, plasmandone il modello industriale e sociale in una tendenza che continua ancora oggi. Infatti, nonostante  la rete nazionale per il trasporto di gas sia sovradimensionata rispetto al consumo attuale e i consumi siano diminuiti nel 2023 e 2022 e rimasti pressoché invariati nel 2024, in Emilia-Romagna assistiamo  a un quadro di cui Ravenna è l’epicentro attraverso opere come il rigassificatore – un’unità galleggiante per lo stoccaggio e la rigassificazione del gas naturale liquefatto (GNL), il progetto Ravenna CCS – ovvero cattura e stoccaggio della CO2 – e la cosiddetta Linea Adriatica, il gasdotto che dalla Puglia porta all’Emilia-Romagna attraversando la dorsale appenninica. Accanto a ciò, altre opere “minori”, come la diga frangiflutti e il potenziamento delle infrastrutture portuali, sottomarine e terrestri.

Quali problematiche pone il GNL?

In questo scenario non manca la reazione della società civile e dei movimenti ambientalisti: nelle prime due settimane di aprile si sono susseguite numerose iniziative sotto il titolo “Usciamo dalla camera a gas”, in quello che possiamo definire un contro-convegno rispetto alla controversa Offshore Mediterranean Conference and Exhibition, che si è tenuta dall’8 al 10 aprile e ha visto l’incursione del gruppo regionale di Extinction Rebellion con un’azione di contestazione nei confronti del greenwashing che questo evento rappresenta.

Le critiche avanzate nei confronti di opere come il rigassificatore sono numerose e gli aspetti problematici del GNL vari. Sebbene la combustione del metano sia meno impattante di quella di altre fonti fossili, questo gas ha comunque un effetto climalterante fino a 80 volte superiore alla CO2, dato non trascurabile viste le fughe di metano associate all’estrazione, allo stoccaggio e al trasporto. La tecnica di estrazione stessa ha un impatto ambientale, come spiega il direttore di Legambiente Emilia-Romagna Francesco Occhipinti: «In particolare con la tecnica del fracking – semplificando – si va a sparare acqua a pressioni altissime per rompere la roccia e catturare il gas, un’operazione con un costo energetico e un impatto sull’ambiente notevole, perché l’acqua è addittivata e viene buttata via dopo l’utilizzo». Per essere trasportato in maggiori quantità, il gas può essere poi processato per farlo passare allo stato liquido e rigassificarlo.

Nel caso di Ravenna, l’impianto prevede un procedimento che usa l’acqua del mare sfruttandone il calore, per poi immetterla nuovamente in mare raffreddata, con un impatto sull’ecosistema marino circostante.

Infine, come ogni altra fonte fossile, il gas si lega a questioni geopolitiche: l’Italia non ha giacimenti di metano sufficienti a soddisfare la domanda interna, quindi ne importa da Paesi come Stati Uniti, Algeria, Qatar, Egitto. Come sottolinea anche Occhipinti, questo aspetto è particolarmente preoccupante viste le recenti affermazioni del Presidente Donald Trump sulla possibile rimozione dei dazi imposti se l’Unione Europea acquistasse 350 miliardi di dollari in energia dagli Stati Uniti.

Tadolini riassume efficacemente tutte queste problematiche affermando che «sono investimenti estremamente suggestivi dal punto di vista del profitto che possono creare nel breve periodo e a chi li fa non interessa assolutamente nulla se queste opere andranno nel senso dei reali interessi della società o meno».

Le istanze delle comunità alla classe politica

Come reagisce la politica locale e regionale davanti a tutte le perplessità e le critiche sollevate? Nelle intenzioni e nei fatti l’attuale Presidente della Regione Michele De Pascale, già sindaco della città di Ravenna, è un sostenitore convinto delle opere per le energie fossili nell’area. In generale, nessuna forza politica si è mossa in modo contrario, salvo alcune singole persone. Tadolini afferma che: «Noi siamo molto severi su come si sono comportate le istituzioni e la maggior parte del mondo politico, perché invece di avere una posizione di terzietà, di osservazione, di controllo e di valutazione critica, hanno appoggiato e anzi caldeggiato le scelte del sistema oil and gas per Ravenna». Emblematico è l’iter autorizzativo durato soltanto 120 giorni, in merito a cui sdrammatizza dicendo che «qui in Romagna circolava una battuta: in 120 giorni non ti danno l’autorizzazione neanche per aprire un chiosco di piadina».

Se per il rigassificatore si è deciso in così poco tempo, il progetto per l’impianto eolico offshore è invece fermo da anni. Come afferma Occhipinti: «Sono sei anni che ne parliamo, è vero che l’iter è andato avanti, ma dopo sei anni non abbiamo neanche l’ombra di una pala eolica e il rigassificatore è arrivato».

Le iniziative promosse nelle scorse settimane hanno come obiettivo quello di chiedere alla politica di agire su più fronti: impegni precisi sui tempi di dismissione dei rigassificatori e delle strutture fossili e monitoraggi continui e indipendenti su qualità dell’aria, ambienti marini, assetto idrogeologico e salute. Un altro punto è quello del «taglio netto ai più di 20 miliardi di sussidi alle fonti fossili utilizzandoli per le fonti sostenibili e rinnovabili, nell’ottica di trasferire l’energia dall’ambito dei profitti a quello dei beni comuni», come si legge sull’evento Facebook del 12 aprile. Tadolini parla di una  «vera campagna per la pubblicizzazione, la democratizzazione e la decentralizzazione del sistema energetico».

Alcune voci dalla manifestazione di sabato 12 aprile

Oltre agli incontri divulgativi, “Usciamo dalla camera a gas” ha previsto anche un corteo nazionale per sabato 12 aprile, in cui diverse centinaia di persone hanno riempito le strade di Ravenna. Le realtà che hanno partecipato sono state numerose, espressione di importanti vertenze ambientaliste da diverse parti d’Italia, da Brindisi a Marghera, da Modena a Falconara, da Pisa all’Abruzzo. Una pluralità di voci che si sono unite tenendo ben presente quale sia il quadro complessivo che le accomuna: la difesa dei territori contro gli interessi dei profitti privati.

Lo si è affermato attraverso le parole, ma anche con i simboli, come le maschere antigas del comitato Per il Clima – Fuori dal Fossile delle Marche: «Un’estetica da post-no global che fa parte della nostra storia, una forma immaginaria di autodifesa».

Si è parlato di «creare energia in modo nuovo, orizzontale e distribuito tra lə cittadinə rispettando gli interessi delle comunità», in una transizione energetica che parta dal basso e molto spazio è stato dedicato anche al tema del rapporto tra energie fossili e guerre. Diversi interventi hanno citato gli interessi di ENI a Gaza e particolarmente significative sono state le parole del movimento No Base – Né a Coltano Né Altrove contro «la costruzione dell’ennesima base militare e la militarizzazione dei territori, con il raddoppio delle forze speciali, gli stessi tutori degli asset energetici che Italia e Unione Europea sfruttano in Nord Africa colonizzando e generando caos».

Sabato 12 aprile è stato quindi un punto di convergenza tra diverse lotte, un momento per chiedere insieme alla politica di mettere gli interessi delle comunità davanti a quelli del profitto di pochə, per portare istanze precise e urgenti che rimangono però troppo spesso inascoltate. Ciò che è  certo è che la mobilitazione non si ferma e la moltitudine di realtà scese in piazza continueranno a presidiare i loro territori e costruire modelli alternativi, attraverso quella che la Rete No Snam dell’Abruzzo ha descritto come «un’esperienza orizzontale con laboratori, associazioni, movimenti e collettivi».

Tutte le immagini sono di Cristina Cozzoli

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