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A Game of Thrones

Un’analisi della fortunatissima serie tv tratta da ciclo fantasy di George R.R. Martin. Una storia di storie, con i suoi riferimenti letterari “alti”, e una riflessione sulla natura del potere

Vola.« Una voce gli sussurrava dalle tenebre. La caduta pareva non avere fine».

«Vola!». Ma Bran non sapeva volare, poteva soltanto continuare a cadere. […]

«Non so volare! Non posso volare, non posso» – disse Bran.

«Come fai ad esserne certo? Hai mai provato?» […]

Bran continuava a cadere ad una velocità accecante adesso. Le nebbie cineree gli sibilavano attorno mentre precipitava verso la terra.

«Ma cosa mi stai facendo? »- chiese al corvo. Aveva la gola contratta dalle lacrime.

«Ti sto insegnando a volare».

«Non posso volare!»

«Adesso stai volando»

«No! Sto cadendo»

«Ogni volo ha inizio con una caduta» – sentenziò il corvo – «Guarda giù».

«Ho paura…»

«Guarda giù!»

Bran guardò. […]

«Ora sai» – sussurrò il corvo appollaiato sulla sua spalla. «Ora capisci perché devi vivere».

«Perché»

«Perché l’inverno sta arrivando»

«Adesso, Bran» – dichiarò il corvo. « Decidi. O voli, o muori»

(cit. dal libro “Il trono di spade 1 – Il Grande Inverno”)

La prima puntata delle serie (la più vista di sempre sulla rete HBO) Game of Thrones termina con il piccolo Bran scaraventato giù da una delle torri di Winterfell (Grande Inverno) da Jaime Lannister che pensava di proteggere da occhi indiscreti la sua passione per la sorella gemella, nonché regina Cersei. «Amore, amore… quali atti si compiono in tuo nome…», la frase romantica pronunciata dallo Sterminatore di re (Kingslayer) mentre il bambino veniva gettato giù come un sasso.

Ma la mano di Jaime verrà tagliata in seguito ad altre vicissitudini intricate e Bran si salverà: quella caduta lo porterà ad intraprendere altre strade. Ognuno dei numerosi personaggi della complessa saga fantasy ci regala spesso grandi “lezioni di vita”: la sconfitta è sempre un momento di crescita personale, quindi non bisogna temere le minacce o evitare i conflitti, ma, anzi è sempre necessario affrontarli, appunto – «Ogni volo ha inizio con una caduta».

Non ci sono veri e propri protagonisti in questa serie televisiva 2.0 divenuta ormai mainstream ed entrata un po’ nell’immaginario comune in tutto il mondo, considerando poi che ogni episodio è commentato, parodiato, analizzato in maniera virale sui social network, twitter, tumblr ma non solo e senza contare il merchandising vario ed eventuale che ha generato.

Il telefilm è tratto dalla serie di romanzi Le Cronache del ghiaccio e del fuoco (A Song of Ice and Fire) che George R. R. Martin iniziò a scrivere nel 1991, e che a distanza di anni continua ad essere un vero e proprio fenomeno di costume, con annessi e connessi tantissimi riferimenti (nel dare del Lannister a qualcuno si sa bene a quali implicazioni ci si riferisce) politici-economici-storici entrati nel linguaggio comune.

Tra i tanti punti di forza c’è la coralità dei personaggi e la loro capacità di rigenerarsi e di reinventarsi costantemente, del resto come “chiunque può essere ucciso” (“Valar morghulus”), ognuno è parte integrante di un grande ingranaggio collettivo, e la forza non risiede quasi mai nel singolo, anzi, appare evidente che il perseverare del bieco individualismo non sempre paga… Sesso, razza, ceto, età si combinano costantemente e i belli si ritrovano menomati; i principi diventano schiavi; le nobili donne diventano coppiere; i “bastardi” si innalzano a comandanti e i nani sono eroici ed intelligenti.

Contemporaneamente, le persone con le migliori intenzioni possono essere schiacciate da obblighi morali in conflitto e da impulsi sociali divergenti, mentre quelli di dubbia fibra morale possono trovare potere e legittimazione, sfruttando abilmente le regole e gli usi della società.

E il potere delle norme sociali è solo evidenziato dalla loro occasionale rottura. I lord ed i re sono puniti per le violazioni delle usanze e degli accordi non meno di chiunque altro, anche perché contrariamente a quanto la regina Cersei cerca di inculcare al suo primogenito Joffrey: i re non possono fare quello che vogliono. Anche se una volta al comando saranno loro a “decidere la verità” e a tramandarla.

Inoltre, a proposito di punti di vista, seguendo le regole dei Guardiani della Notte (che per vocazione e stile di vita ricordano in parte i Templari), i criminali ordinari sono ridefiniti come protettori dei sette regni, ottenendo una “riabilitazione” sociale rischiando la vita a proteggere la Barriera, il muro eretto per separare il mondo civilizzato dai Bruti (Wildlings), coloro che sostanzialmente sono nati dalla parte sbagliata del continente, dunque nemici. I riferimenti storici spaziano dal Vallo di Adriano al muro in Palestina. Secondo altre interpretazioni la Barriera che segna il confine tra civiltà e barbarie è l’emblema della Grande Muraglia cinese che oltre ad essere un confine nazionale ben visibile (anche al di fuori del pianeta Terra…) rappresenta anche la delimitazione di un mondo, di una cultura e di una organizzazione di principio.

Considerando che generazioni di governanti di Pechino hanno collegato la loro legittimità e il diritto di governare a un passato comune, per sottolineare la sua sovranità sulle regioni del Tibet e dello Xinjiang, Pechino invoca l’eredità delle conquiste della dinastia Qing .

Come ben sottolinea anche un articolo negli ultimi anni, la struttura del “Muro” tra l’altro, si presta agilmente anche ad un’altra interpretazione metaforica, ovvero il cosiddetto Great Firewall, gli ostacoli che colpiscono la rete Internet del paese, bloccando il libero accesso alle informazioni sul web.

Mischiare continuamente le carte in tavola, è qualcosa che il fortunato autore George R. R. Martin sa fare bene, tra sorprese, e colpi di scena vari, e quando la situazione sembra avere un esito scontato gli schemi vengono capovolti di nuovo.

La lama del boia sulla testa di Ned Stark, che nella prima serie era parso come uno dei motori principali della storia, ci ricorda ancora quanto una testa mozzata e piantata su una picca possa essere quel MacGuffin che scatenerà la guerra dei 5 re e la conseguente precipitazione degli eventi.

Non mancano riferimenti alla crisi economica e alla situazione statunitense che vede il suo debito pubblico “in mano” alla Cina. Anche il reggente assoluto Tywin Lannister sa bene che il potere si fonda sul denaro e sull’incutere timore verso gli altri, insomma: niente glorie,onori,valore, ma realismo politico. Ed è lui a ricordarci che certamente «le crisi portano grosse opportunità», ma che tutto ha un suo prezzo, infatti il tempio vero del potere di Westeros (il Continente Occidentale) risiede in una entità economica, La banca di ferro, la banca di Braavos, la Iron Bank quasi una via di mezzo tra la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. «Tutti viviamo nella sua ombra, ma quasi nessuno di noi lo sa. Non puoi sfuggire, non puoi ingannarla e non puoi influenzarla con le tue scuse. Se sei un debitore e non vuoi cadere a pezzi, devi restituire tutto» – perché il motto della casata è: «un Lannister paga sempre i suoi debiti»?. No, perché «le guerre non si vincono con i soldati, ma con l’oro». «Brucia i villaggi, fa capire ai contadini da che parte devono stare».

E sua figlia, la spregiudicata Cersei ha appreso in pieno le lezioni del padre: «governare, ecco che vuol dire! Dormire su un letto di erbacce ed estirparle una per una prima che ti strangolino».

La politica fiscale di Westeros è semplice e spietata: tassare i rifugiati che arrivano in fuga dalla guerra. Oltre ai prestiti, altro strumento è il coin clipping un sistema per “stampare moneta”, molto in uso nel Medioevo, ovvero il diluire l’oro di una moneta tra più monete, sistema che il furbo Lord Baelish importa ad Approdo del Re (King’s Landing) città che ricorda un po’ Costantinopoli, la capitale dell’Impero Bizantino.

Altro personaggio chiave in quel contesto è il machiavellico eunuco Lord Varys, il ragno tessitore, colui che re dopo re rimane sempre a galla nella capitale reggendo abilmente i fili della fitta trama di segreti che si estende anche oltre i confini del regno, e che in un episodio ci ha fornito in poche frasi il senso della natura trascendente e illusoria del potere regio, che «sta dove gli uomini credono che stia. E’ un trucco, un’ombra sul muro».

Molti i dialoghi interessanti, non per niente la straordinaria caratterizzazione dei personaggi è garantita dalla sapiente penna di Martin. Ma anche alcune scene visive della serie sono bellissime. Come non ripensare alla liberazione delle città di Astapor, Yunkai e Meereen, ad Essos (il Continente Orientale) società basate e fondate sul commercio e il lavoro degli schiavi?

«Vuoi vivere il resto dei tuoi giorni in catene?»

«Voglio vivere»

«Ho assistito a due rivolte degli schiavi ragazzo. Finiscono sempre nello stesso modo: i padroni restano al potere e gli schiavi muoiono».

«Valar morghulus (Chiunque può essere ucciso). Ma vi assicuro che un solo giorno di libertà, vale più di una vita in carcere. Nessuno può darvi la libertà, se la volete, dovete prenderla. Kill the masters!».

Niente da aggiungere…

E se poi volessimo trovare dei rimandi meno mitopoietici ma più concreti ed attuali sul tema schiavitù e precarietà basta pensare all’ultima puntata della quarta serie appena terminata, quando l’ultima discendente (per ora…) della dinastia dei Targaryen si trova a governare nelle città ora formalmente liberate dallo schiavismo. «Libertà significa prendere da soli le proprie decisioni» – ma appare subito evidente quanto i rapporti di forza con la classe più ricca economicamente (gli “ex-padroni”) e il potere contrattuale (dunque ora “legale”) di cui essa dispone andrà totalmente a discapito di tutti gli altri abitanti più deboli. Come sottolinea infatti Barristan Selmy: «I padroni si approfitteranno presto di questa situazione. Gli uomini che li serviranno saranno schiavi anche se non avranno tale nome».

Sono molti i riferimenti e gli spunti storici da cui l’ideatore della saga ha attinto, e davvero si potrebbero versare fiumi d’inchiostro per sviscerarli un po’ tutti.

La guerra dei cent’anni (1337 – 1453) tra il Regno d’Inghilterra e il Regno di Francia sembra aver in parte “fornito” l’atmosfera giusta, considerando che in quel secolo era cominciata la “piccola era glaciale”, un periodo di netto abbassamento delle temperature e avanzamento dei ghiacciai, il cui inizio, con la conseguente devastazione dei raccolti, coincise proprio con il conflitto tra i due regni europei più importanti, l’ultima guerra medievale. Dunque…“Winter is coming”.

Il popolo di cavalieri dei Dothraki, invece, riecheggia quello degli Unni, le cui orde si riversarono più volte sull’Europa partendo dalle steppe euroasiatiche. Mentre l’esercito degli Immacolati ricorda un pò i Mamelucchi, gli schiavi guerrieri persiani usati da almeno quattro dinastie di califfi nell’arco di sei secoli. Non erano eunuchi ma erano addestrati come fossero tali, e smettevano di essere schiavi solo dopo aver cessato il loro servizio negli eserciti. Oppure i Giannizzeri turchi, soldati-schiavi al servizio dell’Impero Ottomano. Di solito rapiti nei Balcani, dovevano rimanere celibi e subivano anche loro un addestramento durissimo. Una terza interpretazione per gli Immacolati può essere la corrispondenza con gli Immortali persiani (vengono citati come Athanatoi nelle “Storie” di Erodoto), l’unità d’élite della guardia imperiale del Grande Re dell’impero persiano(lo shahanshah)esercito che combattè nella Battaglie delle Termopili.

E poi i sette regni: il Continente Occidentale di Westeros, dove ha luogo la guerra per la conquista del trono di spade, è ispirato a un periodo poco conosciuto dell’Inghilterra altomedievale, quello dell’Eptarchia.

Come nel mondo immaginato da Martin, sette regni si contendevano la supremazia territoriale: Northumbria, Mercia, Anglia Orientale, Essex, Wessex, Sussex e Kent.

Eredi delle invasioni dei popoli germanici degli Angli e dei Sassoni, che avevano occupato il vuoto di potere lasciato dalla fuga delle legioni romane attorno al 410 d.C., i sette regni subentrarono alla precedente cultura celto-britanna, i cui ultimi sussulti di rivalsa sono testimoniati dalle leggende narrate nel ciclo bretone di re Artù, l’ultimo sovrano britanno ad aver governato su un’Inghilterra unita.

E poi, come dimostra il personaggio di Robert Baratheon, primo del suo nome (che fisicamente ricorda un pò Enrico VIII nell’ultima fase decadente della sua vita) il quale è stato un magnifico conquistatore in gioventù: chi sa guadagnare un regno non è detto che sappia poi governarlo.

Ma al centro dei romanzi e della serie tv Game of thrones c’è soprattutto la guerra fra i Lannister e gli Stark, una rivalità così imbevuta di crudo realismo che non può non far pensare a un suo corrispettivo storico. Si tratta della Guerra delle Due Rose, il sanguinoso conflitto dinastico per il trono inglese che vide fronteggiarsi per trent’anni (1455-1485) due rami della casata dei Plantageneti, i Lancaster e gli York, a cui Martin ha dichiarato di essersi ispirato in parte.

Ned Stark ricorda parzialmente Riccardo di York: entrambi sono uomini del Nord e lottano contro un sovrano mentalmente instabile; il primo contro il re folle Aerys e il secondo contro Enrico VI di Lancaster, a più riprese precipitato nella demenza ed entrambi vengono investiti di una carica di nomina regia (il primo assume il titolo di Primo Cavaliere, il secondo di Lord Protettore).

Il figlio di Ned, Robb Stark, presenta invece alcune somiglianze con il figlio di Riccardo di York, il futuro re Edoardo IV, infatti, dopo la morte dei rispettivi padri, tutti e due radunano un esercito e marciano sulla capitale, sconfiggendo in battaglia i propri nemici.

In seguito, salito sul trono, Edoardo IV scatena l’irritazione del suo più fidato alleato, Riccardo Neville, conte di Warwick, sposando in segreto Elisabetta Woodville, appartenente a una famiglia della piccola nobiltà e rompendo la precedente promessa di matrimonio combinata dal lord.

Cersei, invece, sembra una trasposizione di Margherita d’Angiò, la bellissima moglie di Enrico VI (fazione Lancaster) e tessitrice di intrighi; inoltre la deformità fisica di Riccardo III, così tramandataci da Shakespeare nell’omonima tragedia, anche se molto probabilmente accentuata dalla propaganda negativa dei Tudor (la casata originata da uno stalliere, che alla fine della guerra la spuntò) e di Thomas More, può aver ispirato il nanismo di Tyrion Lannister….Insomma si potrebbe continuare a lungo con le similitudini storiche, anche considerando eventi fondamentali per la serie come le Nozze Rosse, (Red Wedding) espressione che rimanda, ad altre celebri nozze insanguinate, le cosiddette “nozze vermiglie”, quelle che nel 1572 furono celebrate a Parigi fra la cattolica Margherita di Valois e l’ugonotto Enrico di Borbone, erede designato al trono di Francia.

Ispirate ad episodi (addirittura più cruenti di quello inventato dallo scrittore!) accaduti realmente in Scozia (la Black Dinner nel 1440 e il Massacro di Glencoe 1692) e in Italia (il matrimonio del 28 giugno 1500 a Perugia fra Astorre Baglioni e Lavinia Orsini Colonna, in cui una fazione dei Baglioni trucidò l’altra parte della famiglia, compreso lo sposo, cui venne persino cavato il cuore).

In quel drammatico episodio della terza serie risulta molto evidente anche quell’inquadramento drammaturgico da tragedia elisabettiana che contraddistingue i dialoghi e le scene di tutta la saga.

«Al gioco del trono si vince o si muore, non c’è une terza possibilità»- sintetizza Cersei Lannister. Dunque guerre fratricide della durata di anni tra famiglie e casate per la conquista del potere, contestualizzate in quelle che Foucault definiva società la cui simbologia di potere era legata al “sangue” e al “diritto di morte”, incentrate sull’importanza del fattore della discendenza e dell’antichità della stessa, sui sistemi di alleanza, sulla forma politica della sovranità, sulla differenziazione in ordini e in caste. Si palesa anche il problema di definire ciò che conferisce sovranità, che è un punto centrale della saga.

Martin nel delineare i tratti di una sua personale rivisitazione del Medioevo, sembra in parte ispirarsi anche alla visione di J. Le Goff, inventando una storia il più possibile “globale”, contrapponendo alla storia come racconto di avvenimenti (événementielle) una storia concepita essenzialmente come proposta di problemi.

Non a caso i suoi personaggi rappresentano la società tutta: l’intellettuale, il banchiere, il commerciante,la prostituta e soprattutto l’essere umano nel suo vivere quotidiano, mantenendo una attenzione particolare alla memoria collettiva, alla sua realtà e alla sua manipolazione come strumento di potere.

Forse in uno scenario come quello odierno, in cui di fatto anche tutta la simbologia del potere è legata e ancorata strettamente alla sfera economica e tecnologica e si dipana attraverso un immaginario vasto che ne racchiude la gestione attraverso entità,quali banche, corporation, mafie, un potere senza volti, in realtà, si sente il bisogno di dare ad esso, al “potere” contemporaneo complesso,diffuso,produttivo, strutturato in maniera policentrica e dinamica un volto, o dei volti, quasi ad umanizzarlo per poterlo meglio percepire, individuare, analizzare,e combattere. Forse è questa una delle ragioni per cui ci si riesce così bene ad immedesimarsi ed amare oppure ad odiare il re folle di turno, il cavaliere, la principessa, il reggente: nomi che semplicisticamente possiamo identificare precisamente qui e ora.

La storia si è evoluta dunque da fiaba oscura di malvagi re e regine in una mega saga geopolitica con complesse e mutevoli regole, infatti le sfide della diplomazia internazionale sono “più o meno” le stesse, non importa che al comando ci sia un Presidente americano o un re feudale alle prese con un debito nazionale in mano al governo cinese o ad una mistica e potente banca straniera; oppure che i propri scomodi partner commerciali siano i cartelli del petrolio o degli schiavisti; oppure che i fondamentalismi religiosi siano incarnati da sacerdotesse che vedono il futuro nelle fiamme dei sacrifici umani.

Da un punto di vista geopolitico, la serie sembra mettere in luce l’importanza del “soft power” e degli accordi segreti raggiunti attraverso canali tenuti accuratamente celati dietro le quinte, in cui vengono tratteggiate complesse reti diplomatiche che includono anche, chiaramente, interessi economici di vario tipo.

Infine, nel formulare la domanda cruciale: chi deve (dovrà?) governare i sette Regni dell’Occidente? Emerge l’aspetto moderno dell’interrogativo, e anche, da un certo punto di vista, la questione della rappresentanza politica. Insomma, c’è in palio, nel gioco dei troni, molto di più della vincita di un trono…

Lord Varys: «Tre grandi uomini siedono in una stanza, un re, un prete e un ricco con il suo oro. Tra loro c’è un mercenario, un ometto di umili origini. Ognuno dei tre grandi uomini ordina al mercenario di uccidere gli altri due. ‘Uccidili’ dice il re ‘perché io sono il tuo signore’. ‘Uccidili’ dice il prete ‘perché io te l’ordino nel nome degli dei’. ‘Uccidili’ dice il ricco ‘e tutto quest’oro sarà tuo’. Per cui, dimmi, mio lord: chi sarà a vivere e chi a morire? ».

E Tyrion Lannister prontamente risponde: «dipende dal mercenario».