OPINIONI

Sante Notarnicola, tra fuori e dentro

Nel 2000 il bandito e rivoluzionario otteneva finalmente la libertà: alla sera non si doveva più tornare dentro. Fuori un mondo da riscoprire, una vita da riconquistare. Il racconto di chi ha conosciuto Sante da vicino

Ho incontrato Sante Notarnicola nel 1995 a Bologna, fuori dal carcere della Dozza, detenuto in semilibertà. Sono andato all’appuntamento accompagnato da Severina, che è stata al suo fianco nei lunghi anni di detenzione. Una donna, una compagna che ha speso la vita al fianco di detenute e detenuti percorrendo centinaia di migliaia di chilometri per raggiugerli nei colloqui che ogni settimana richiedeva, intrecciando un amore assoluto con Sante, oltre le sbarre, condannato all’ergastolo. Ripensavo, andando all’incontro, a quando da ragazzino, per la prima volta Sante Notarnicola entrò dentro i miei pensieri e la mia “fantasia”, mi sembrava di chiudere un cerchio incontrandolo, in realtà si stava aprendo una storia reale.

 

Nel 1967 vivevo in Piemonte poco lontano da dove si concluse la fuga di Sante Notarnicola e Piero Cavallero dopo una rapina al Banco di Napoli, il 25 settembre in largo Zandonai a Milano ed ebbe inizio la lunga detenzione.

 

Quella che poi venne definita la “banda Cavallero” aveva rotto gli schemi della malavita tradizionale e messo nel panico l’apparato poliziesco dello Stato. Nell’Italia del boom economico che si affermava su un nuovo sviluppo, industriale nel nord, fondato sullo sfruttamento di manodopera proveniente dal sud, un piccolo nucleo si pone il problema di contrastare tutto ciò con azioni (rapine) per finanziare il movimento rivoluzionario. Cavallero e Notarnicola ne sono i capi e i simboli.

Proletari, politicizzati, uno milanese della periferia, militante, l’altro emigrato dal sud ex-segretario di sezione della Fgci (l’organizzazione giovanile del Pci) e con Donato Lopez, disoccupato, meridionale, Adriano Rovoletto ex partigiano e Danilo Crepaldi mettono a segno in quegli anni una serie di rapine che per la prima volta assumono la connotazione di espropri.

 

Il 3 ottobre 1967, Notarnicola e Cavallero in fuga da giorni, vengono arrestati in un casolare nell’alessandrino. Alla fame, entrati in paese per comprare del cibo vengono segnalati da una donna che li vede lavarsi ad una fontana.

 

La sproporzione delle forze dispiegate con rastrellamenti nelle campagne, le perquisizioni, i posti di blocco ovunque, l’accanimento e il terrore diffuso dai giornali, la caccia a due persone mi fanno riflettere e propendere per i più deboli che si sono ribellati rapinando a una banca 6.750.000 di lire.

Ma dentro di me non è solo a quei giorni che penso andando all’appuntamento. Riaffiorano le letture dei testi e delle poesie scritte da Sante, L’evasione impossibile, La nostalgia e la memoria tra tutte.

Ci incontriamo, ma tutto quello che pensavo svanisce, ciò che immaginavo non avviene. Ragazzo mio, mi sembra che dica, avremo tempo per parlare, per confrontarci. Abbiamo cose da affrontare, dobbiamo guardare avanti. Stare dentro le cose da fare, nella realtà, mantenendo uno stretto rapporto con tutto ciò che sta fuori di noi è una linea guida, di condotta che ho sentito costantemente con lui.

 

La semilibertà dopo vent’anni di carcere. Bisogna cercare un lavoro per usufruire di questa forma particolare di detenzione.

 

Lo troviamo, viene a lavorare con me in un’azienda di trasporti, un corriere espresso. Alla mia perplessità sulla possibilità che potesse muoversi in una città ancora sconosciuta mi fulminò con uno sguardo. Così ogni mattina, fuori dal carcere caricava il suo furgoncino di pacchi e consegnava in città.

Mai avrei immaginato che con Sante Notarnicola mi sarei incontrato per andare a lavorare insieme. Come poteva uno con la sua storia adattarsi al lavoro? La risposta era semplice e lineare: «Io lavoro e faccio quello che devo per avere quei quattro soldi per vivere, ma non permetto che mi venga negato il minimo diritto e ridotta di un millimetro la mia dignità».

 

Avevo immaginato grandi discussioni, confronti, racconti a partire da quei vent’anni, otto mesi e un giorno passati in carcere che hanno segnato le lotte dei detenuti in Italia, le rivolte dei “dannati della terra”.

 

Sono gli anni in cui la carcerazione di proletari, di compagni determinano quel legame tra dentro e fuori il carcere per cui la galera non è più solamente il luogo di espiazione della pena ma il contraltare delle contraddizioni e delle lotte che esplodono in Italia. Sante Notarnicola le ha attraversate tutte diventando suo malgrado un simbolo e un riferimento.

 

 

Molte volte negli innumerevoli incontri a cui partecipava ricordava che ogni oggetto, ogni spazio dentro il carcere è il frutto di lotte. Il fornello da campeggio per cucinarsi il cibo, il diritto a detenere più di un libro o carta e penna per scrivere, ci sono perché sono stati conquistati. Sante ha praticato tutte le forme di lotta possibili nelle carceri dalla battitura delle sbarre alle rivolte, all’evasione (come quella tentata dal carcere di Favignana nel 1976). È arrivato ad accumulare più reati da prigioniero che da libero.

 

Conoscendolo da vicino mi è stato più facile capire con quale carisma fosse diventato un simbolo e il riferimento delle lotte carcerarie.

 

L’autonomia di pensiero, uno sguardo sempre rivolto in avanti alla soluzione del problema e una coerenza esemplare lo hanno portato a essere riconosciuto all’intero mondo carcerario al di sopra delle divisioni e differenze esistenti. Riconosciuto dai detenuti comuni e da tutte le organizzazioni con uomini incarcerati. Perfino lo Stato lo accetta come interlocutore.

Avviene nel 1976 quando l’8 ottobre viene sequestrato da un detenuto all’interno del carcere speciale di Favignana il giudice di sorveglianzadurante una visita. La situazione sta per precipitare con il detenuto armato che minaccia il magistrato dentro il carcere e gli agenti speciali che stanno preparando un’irruzione da fuori. Notarnicola partecipa alla trattativa, delicata perché deve trovare una soluzione e al tempo stesso garantirne il rispetto. Il magistrato viene rilasciato e il detenuto trasferito incolume.

 

Come si può contribuire alla liberazione di un giudice dopo aver partecipato a ogni sorta di rivolta? Al giudice Giovanni Falcone che lo ringrazia per averlo salvato, Sante risponde di averlo fatto per salvare la vita di un detenuto.

 

Durante il sequestro Moro sono le Brigate Rosse che inseriscono il nome di Sante Notarnicola nell’elenco di prigionieri da liberare (pur non avendo mai fatto parte dell’organizzazione) in cambio del rilascio dell’onorevole Aldo Moro.

Intanto a Bologna alla fine degli anni ’90 si affronta questa nuova situazione che è anche una contraddizione; la semilibertà. Ci si ritrova al lavoro al mattino e molte volte a cena la sera. Una sorta di lockdown; è concesso solo lavorare, vanno evitati gli incontri e alla sera le cene da concludere sempre in tempo utile per ritornare nel carcere della Dozza prima delle 10, mai un bicchiere in osteria. I discorsi da fare e gli argomenti da affrontare sono sempre tanti, ma bisogna seguire con attenzione l’iter del regime di semilibertà e gradualmente la conquista della libertà.

 

Tribunale e giudice di sorveglianza sempre presenti, ma poco alla volta si ottengono i primi permessi di non rientro serale per poi vedere autorizzati i primi viaggi.

 

Finalmente nel 2000 l’ottenimento della libertà, alla sera non si torna più dentro! Fuori un mondo da riscoprire, una vita da riconquistare. Un entusiasmo e un’energia accumulati dopo vent’anni otto mesi e un giorno, come scrisse in una delle prime poesie da semilibero, di carcerazione dura, di privazione totale della libertà.

Sante si tuffa nella vita come dovesse recuperare tutto il tempo che gli è stato rubato. Apre con altri compagni il Mutenye l’osteria che diventa un riferimento, non solo di ritrovo, ma di incontro, confronto della Bologna (e non solo) viva che non ci sta a farsi omologare. Prende il nome da un legno di origine africane particolarmente forte e resistente, difficile da scalfire. Che fatica sistemare il massello che funge ancora oggi da bancone, ma quale altro materiale poteva abbinarsi a Sante Notarnicola?

 

Un luogo, un’osteria, in cui una volta dentro hai la sensazione che ogni momento, incontro sia prezioso, interessante, ricco, in cui ogni mediocrità o frivolezza resta fuori.

 

Sante ne è il fulcro attorno cui si muove. Mutenye si trova nel Pratello, storico quartiere del centro di Bologna. A finpe Ottocento zona delle lavandaie, poi sempre più degradato trasformato in bassofondo frequentato da prostitute e relativi clienti per poi caratterizzarsi come quartiere popolare cuore della bologna proletaria. Negli ultimi decenni, luogo per antonomasia della Bologna-che-resiste. Quale altro luogo poteva accogliere meglio Sante Notarnicola?

 

(foto: Laura Ranuzzi)

 

Ma Sante non è un oste, è dietro al bancone, con te al tavolo, con lui intrecci ragionamenti e continui a masticare politica come etica di vita. Non c’è momento in cui non si possa approfondire un argomento o lui non si interessi a una questione che gli venga posta. Attorno a lui trovi le generazioni più diverse, dai militanti storici alle nuove generazioni che animano l’università o gestiscono i centri sociali. Mutenye è piuttosto una piattaforma dove si connettono molteplici e diverse realtà e la presenza di Sante ne è il motore e l’energia.

 

Ci incontriamo in osteria a volte alla chiusura, tardi, ci si aggiorna anche sulla nostra quotidianità, ma sono sempre occasioni di approfondimenti interessanti.

 

Molte volte siede al tavolo con generazioni molto più giovani con la capacità di non porsi mai come il vecchio maestro che dispensa sapere ed esperienza o che racconta il passato. Anzi dai giovani si aspetta e pretende che siano loro a condurre a determinare il futuro. Ha ben chiaro che la situazione rispetto al periodo delle lotte portate avanti è completamente cambiata. In una intervista a Radiondarossa descrive con molta semplicità un aspetto del cambiamento. Se mancano strumenti per comprendere la realtà, se i testi sacri della politica non ci sono sufficienti, se ci mancano riferimenti bisogna costruirseli, scrivere, crescere. Concetti banali che si traducevano in sollecitazione nei confronti dei giovani con la sua determinazione a essere con loro in ogni processo di crescita.

Comincia così il suo peregrinare per l’Italia. Delia, la sua compagna macina centinaia di chilometri, questa volta non più sola, per accompagnarlo a presentare, discutere, partecipare a eventi, lotte, manifestazioni. Diventa un luogo privilegiato tra le sue mete la Val Susa. Dentro quella valle si risente a casa, con gente a cui riconosce la determinazione e la resistenza nel condurre una lotta per il proprio e altrui futuro. Ancora una volta la necessità di vedere avanti e coniugare resistenza e progresso, un percorso che tenga dentro il senso della vita e fuori lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sull’ambiente.

 

Continuo a frequentarlo, passano gli anni, ma tutto è estremamente attuale. La nostalgia, la memoria, il presente e il futuro sono le componenti che condizionano ogni passo quotidiano.

 

Tutto si lega ed è evidente il filo tra le lotte in carcere e l’impegno a testimoniare la Resistenza partigiana, l’attività dei centri sociali e la lotta in val Susa. Ricordo le intense emozioni durante i sopralluoghi a Monte Sole sopra Marzabotto nel bolognese nelle zone dove si perpetrarono orrende stragi naziste. Da quelle emozioni Bernardo Iovene ne trasse il primo reportage di Sante durante il periodo in semilibertà. Ma dalla resistenza era facile a passare alla condizione dei detenuti. È evidente che la detenzione è stato l’elemento che ha condizionato la vita di Sante.

Su questo ha lottato con tutte le armi a disposizione comprese le iniziative in relazione ai passaggi legislativi, istituzionali (tra le tante: decreto di amnistia maggio 1975 per detenuti “autunno caldo”, L 663/86 detta legge Gozzini, istituzione dei carceri speciali, applicazione dell’art. 41/bis, opposizione al “fine pena mai” dell’ergastolo). Soprattutto sul carcere Sante, pur inquadrando il problema nel contesto generale, ha sempre messo in evidenza il fattore umano, le persone che rappresentano o vivono il problema. Dei detenuti poteva parlare in generale, ma le sue parole rappresentavano persone, nomi, volti, così come per ogni argomento trattasse. I compagni in carcere sono sempre stati considerati individualmente e collettivamente per rivendicare il diritto alla libertà e alla vita. L’attaccamento alla vita che ho continuato a sentire in Sante è stato preponderante, dirompente.

 

Lo si legge nella vita riconquistata con entusiasmo da libero, ma anche in alcuni passaggi chiave che ho interpretato in tal senso.

 

La risposta al giudice Falcone è stata emblematica; la vita di un detenuto. L’arresto nel casolare dell’Alessandrino, armato, non è stata una resa ma la tutela della vita. Perché i movimenti che possono modificare lo stato presente delle cose, il futuro, non hanno bisogno di martiri, ma di uomini, compagni liberi che lottano per una vita migliore.

Sante ci hai lasciati il 22 marzo 2021 da combattente dopo aver sconfitto il covid, colpito a tradimento una volta a casa, libero. Combattente, prigioniero, ribelle, poeta, sono tantissime le declinazioni che si potrebbero usare, che tutti noi usiamo, in questi giorni per cercare di scolpire la tua immagine nella memoria. Tu le eviteresti e non ti faresti definire, incastrare e resteresti così più libero, vivo con noi.

Io non ci provo nemmeno a definirti ti tengo dentro di me, fratello che adesso mi manca tantissimo per guardare fuori dove il tuo sguardo sarebbe rivolto.

 

IL GUARDIANO DELLE MACCHINE

Venni dal Sud con la mia valigia
(di cartone)
Il padrone
gettò al volo cinquanta lire
al guardiano delle macchine:
“tieni ragazzo, divertiti!”
Le cinquanta lire rotolarono
sull’asfalto fermandosi
vicino ad un tombino.
Soddisfatto il padrone
entrò nell’hotel
con la sua puttana.
Guardai la moneta
allungai il piede
spingendola nel buco.
Pioveva. Lunga,
lunga la strada
per la periferia. Quella
sera non presi il tram,
mi mancavano cinquanta lire.
Venni dal Sud con la mia valigia
(di cartone)

Sante Notarnicola
San Vittore 25 marzo 1970

 

Immagine di copetina di Vittorio Giannittelli