ITALIA
28 settembre: per un aborto libero sicuro e gratuito
Non una di meno e la rete nazionale dei consultori lanciano una giornata in difesa dell’aborto libero, sicuro e gratuito, sempre più a rischio nel nostro paese, tra tassi di obiezione di coscienza altissimi, consultori che chiudono e associazioni antiabortiste cattoliche pervasive
In uno spazio isolato, sopra una collina, nella periferia di Roma, collettivi femministi e transfemministi la scorsa settimana si sono dati appuntamento di fronte alla Asl – tre edifici rossicci che svettano in un disordinato quartiere fuori dal raccordo –per protestare contro la chiusura di un consultorio. L’ennesima. Il Consultorio di Consolata, zona sud-ovest della Capitale infatti verrà chiuso, e tutti i suoi servizi verranno trasferiti a tre chilometri di distanza, in una zona più lontana e difficilmente raggiungibili con i mezzi pubblici.
«Si parla tanto di disagio giovanile e gli ultimi dati degli accessi allo Spazio Giovani del Consultorio Consolata lo confermano, ma invece di migliorare il servizio, ampliando orario, aumentando gli spazi e assumendo più operatrici anche per riprendere a pieno ritmo sia le attività nelle scuole che i gruppi, si eliminano o riducono i Consultori». È quello che scrivono le Assemblee dei Consultori di Corviale e Trullo e il Coordinamento delle Assemblee dei Consultori del Lazio che hanno organizzato la protesta e che monitorano il servizio da anni.
Lo stabile verrà ristrutturato e trasformato in una Casa di comunità, così come il consultorio del Corviale. E nel più breve tempo possibile, perché le Case delle comunità sono i nuovi presidi per la medicina di prossimità previsti dal PNNR, i cui fondi devono essere spesi velocemente.
A Roma questa riorganizzazione dei poliambulatori sta diventando il pretesto per cancellare i consultori familiari, nati dalle lotte femministe degli anni ’70, che dovrebbero essere i luoghi dedicati al benessere e alla salute sessuale, riproduttiva e psicologica, completamente gratuiti e dove si viene ricevutə senza prescrizione medica.
Qui ci dovrebbero essere giorni dedicati alle giovani generazioni per visite e formazione. Qui è dove si dovrebbe poter abortire con la pillola RU486 ed è uno dei luoghi dove si ottiene il certificato per l’interruzione volontaria di gravidanza. E qui si richiede a gran voce che ci siano servizi dedicati alle persone non binarie e trans. Ma ormai i consultori sono aperti a singhiozzi, i loro servizi sono dimezzati e sono in perenne mancanza di personale.
Nella stessa settimana Medici nel Mondo presentava il suo report “Aborto a ostacoli” con un’installazione che riproduceva una sala ginecologica a piazza Santissimi Apostoli, dove poter ascoltare alcune delle testimonianze raccolte dalla pagina Obiezione Respinta e IVGstobenissimo. Il report racconta le zone grigie della legge 194 e di come le associazioni cattoliche e antiabortiste le abbiano sfruttate per rendere l’aborto sempre più difficile, doloroso e umiliante per le donne e le persone con utero che decidono di non portare avanti la gravidanza.
«Ospedale di Civita Castellana, unico in tutta la provincia di Viterbo per le IVG. La mia ginecologa con fare schifato e dopo molta insistenza mi manda lì. Mi fanno la visita, sono forzata ad ascoltare il battito cardiaco per tutta la durata. Mi forzano a incontrare la “psicologa” che per tutto il tempo mi chiede se sono sicura. Fanno passare un altro mese perché a detta loro devo pensarci bene. Un mese atroce di pianti. Arriva gennaio e il giorno della procedura. Mi portano sotto, solo un infermiere mostra compassione (…) e mi tiene la mano. Al risveglio dolori atroci, chiedo antidolorifici ma rifiutano, la dottoressa dice che “bisogna soffrire” in quanto donne (…). Ricordo i commenti delle infermiere e di questa ginecologa, sempre offensivi: “potevi pensarci prima”, “queste ragazzine sempre con le gambe aperte”».
Oggi sono 11 le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il 100% di obiettori: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto. Questo significa attese, spostamenti, possibilità di incontrare di nuovo personale obiettore, vessazioni, ascolti obbligati del battito del feto, fogli da firmare per seppellire il proprio feto, incontri con le associazioni antiabortiste, il tutto mettendo a rischio la propria salute mentale e corporea.
Tutti gli atti e le dichiarazioni del governo degli ultimi due anni non hanno fatto che peggiorare la situazione. A partire dal primo disegno di legge proposto da Gasparri, solo due settimane dopo la formazione del governo, per il riconoscimento giuridico del feto, fino all’emendamento alla legge di attuazione del PNRR, approvato lo scorso maggio, per dare libero accesso alle associazioni antiabortiste in tutti i consultori nazionali.
Per quanto variegata la situazione del nostro servizio sanitario nazionale, gli ostacoli a una piena giustizia riproduttiva si trovano in tutte le regioni e province autonome dello stivale. Per questo Non una di meno e la Rete nazionale dei consultori e delle consultorie scenderanno in piazza nella giornata del 28 settembre. Da Palermo a Milano, da Trento a Messina «l’aborto è una pratica medica essenziale: deve essere gratuita, sicura, e accessibile (…). Pretendiamo di farlo in condizioni di sicurezza, senza subire giudizi e discriminazioni, anche di natura paternalistica, razzista, abilista, transfobica, grassofobica e ageista. Vogliamo che sia una scelta autodeterminata».
Immagine di copertina di Margherita Caprilli
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