NELLE STORIE
2 ottobre 1968: il massacro di Tlatelolco
Tra le rovine azteche di Tlatelolco, quartiere popolare dell’immensa metropoli di Città del Messico, si concludeva il 2 ottobre del 1968 una immensa manifestazione del movimento studentesco. A poche settimane dalle Olimpiadi, sotto i riflettori del mondo, l’esercito attaccò brutalmente con armi da fuoco la pacifica manifestazione nella Piazza delle Tre Culture.
Nello stesso luogo, il 13 agosto del 1521, i conquistadores spagnoli avevano inaugurato con quarantamila morti il massacro degli aztechi ed il genocidio dei popoli indigeni.
Con la conquista delle Americhe, che i libri di storia nostrani continuano a definire scoperta del Nuovo Continente, le potenze commerciali dei nascenti Stati nazione coloniali europei iniziano a far scorrere il sangue nelle arterie del continente. Se guardiamo tra le pieghe della storia, se ricostruiamo la memoria viva delle lotte e delle insurrezioni contro le atrocità della conquista e del capitalismo, se sappiamo ascoltare il ritmo pulsante della resistenza, possiamo sentire gli echi rinnovati degli aztechi massacrati a Tlatelolco nelle mobilitazioni della scorsa settimana che chiedevano, in Messico e in tutto il mondo, verità e giustizia per i 43 studenti desaparecidos ad Ayotzinapa.
Nella notte del 26 settembre del 2014 una operazione congiunta di polizia locale e federale ha causato sei morti e 43 desaparecidos a Iguala, nello stato del Guerrero, tra i normalisti delle scuole rurali delle comunità indigene messicane di Ayotzinapa che si stavano organizzando per andare a manifestare, come accade ogni 2 di ottobre da quarantotto anni, nella piazza centrale di Tlatelolco, per rivendicare verità e giustizia per la strage di Piazza delle Tre Culture.
Siamo nel pieno della contestazione studentesca e delle lotte operaie a livello mondiale e gli studenti messicani scesero in piazza per settimane in centinaia di migliaia contro le politiche del governo.
Pianificando e mettendo in atto la più sanguinosa repressione contro il movimento studentesco a livello mondiale il governo messicano, con l’appoggio degli Stati Uniti, mandò l’esercito in piazza per reprimere gli studenti.
I Giochi Olimpici di Città del Messico dell’ottobre 1968, per sempre macchiati da questa infamia, attirarono le attenzioni del mondo sulla capitale messicana già diversi mesi prima del loro inizio. Il Pentagono decise di inviare nel Distretto Federale decine di agenti per controllare il movimento con l’obiettivo di risolvere il problema delle contestazioni studentesche in tempo per l’inizio dei Giochi. L’ordine emerge chiaramente dalle carte della CIA, del Pentagono e della Casa Bianca, rese pubbliche nell’ottobre del 2003, 35 anni dopo il massacro, dal National Security Archive dell’Università George Washington.
L’immensa pacifica manifestazione studentesca del 2 ottobre 1968, accompagnata da migliaia di docenti, maestri, genitori, operai ed esponenti della società civile che appoggiavano le lotte degli studenti, finisce il suo percorso nella Piazza delle Tre Culture a Tlatelolco, costruita sulle rovine dell’antica città azteca.
Una piazza circondata da enormi edifici, un anfiteatro naturale in cui decine di migliaia di persone entrarono con i loro slogan, i cartelli, i sorrisi e i desideri di milioni di persone nel mondo che li accompagnavano, con la rabbia e la determinazione di un movimento che ha cominciato a combattere l’ingiustizia del capitalismo. Intorno, decine di mezzi blindati e battaglioni dell’esercito circondavano l’immensa manifestazione.
Dai balconi e dalle finestre dei palazzi circostanti, i franchi tiratori del battaglione Olimpia, creato per garantire la sicurezza delle Olimpiadi, cominciano a sparare nel mucchio, mentre i soldati caricavano i manifestanti sulle scalinate delle rovine azteche.
Octavio Paz rinunciò al suo incarico di ambasciatore in India, denunciando le responsabilità dello Stato messicano: eppure il 2 ottobre 2015, la Commissione Interamericana dei diritti umani ha dichiarato che il Massacro di Tlatelolco continua ad rimanere una strage impunita, non essendovi infatti, a cinquanta anni dai fatti, responsabili individuati dalla giustizia e condannati, mentre non sono mai stati resi noti né i nomi degli studenti uccisi, né i numeri esatti dei caduti (che secondo il governo furono 30, mentre le organizzazioni per i diritti umani affermano siano stati oltre 400).
C’erano morti da tutte le parti, racconta Diaz Contreras, uno dei fotografi che ha accompagnato e raccontato il movimento studentesco ed era presente durante la strage del 1968. L’obiettivo della repressione fu quello di disarticolare un movimento che faceva paura, impedire la connessione tra operai e studenti, schiacciare nel sangue la rivolta studentesca.
Lo stesso obiettivo perseguito due anni fa dalle forze federali messicane contro gli studenti normalisti, ed oggi contro i docenti in lotta a Oaxaca e in Chiapas.
Il Messico è oggi al centro di una violentissima guerra non dichiarata dal capitale globale contro l’umanità, contro i poveri, gli indigeni, i docenti, gli studenti, le comunità in lotta, contro chiunque decida di non accettare più la miseria, la devastazione ambientale e sociale funzionale ad un meccanismo di accumulazione capitalistica che stupra e uccide giorno dopo giorno.
Riportando alla memoria gli aztechi massacrati a Tlatelolco e gli studenti caduti sotto i colpi dell’esercito in piazza delle Tre Culture, nella forza di chi denuncia oggi le responsabilità dello Stato nel massacro di Ayotzinapa possiamo leggere, riprendendo le bellissime parole di Raquel Aguilar Gutierrez, un risveglio collettivo contro l’opacità strategica dello Stato e del capitalismo.
Con questa definizione la pensatrice e militante messicana definisce quella strategia che punta a rendere non intellegibile, oscuro ed incompresibile ciò che accade in Messico in questi anni, nel pieno dell’espansione violenta delle dinamiche estrattive, dell’intensificazione dello sfruttamento e della devastazione del territorio, della guerra al narcotraffico che altro non è che una accumulazione di ricchezza attraverso una guerra ai popoli e al territorio, attraverso militarizzazione e sistematica repressione nel sangue di qualunque resistenza ed opposizione, agiti contemporaneamente dalle organizzazioni criminali del narcotraffico e dallo Stato.
Questa opacità strategica comincia oggi ad essere squarciata dalla forza dei movimenti e delle comunità che sanno rimettere in gioco la memoria del 2 di ottobre del 1968 connettendolo ai fatti di Ayotzinapa, le memorie degli aztechi con le comunità zapatiste e i maestri in lotta.
A patto di poterci inoltrare nel dolore di una ferita non sanata per dispiegare la potenza collettiva che intravediamo nelle pieghe della storia, la foto che proponiamo in questa rubrica diventa viva, si trasforma e apre nuovi spiragli e nuovi cammini attraverso la memoria dispiegata tra le maglie di un presente opaco ed impotente che vogliono imporci a livello globale. Per continuare a saper sentire, nell’era della pedagogia della crudeltà che la nostra società esperisce giorno dopo giorno, sulla propria pelle l’ingiustizia commessa da chiunque contro chiunque in qualunque parte del mondo, nel tempo e nello spazio.
Poter ripartire da questa immagine, muovendosi lungo i ritmi infiniti delle resistenze possibili, per costruire un presente e un futuro degno, significa rivendicare la memoria come arma decisiva per trasformare il mondo, connettere collettivamente quelle linee molteplici che in questo 2 di ottobre ci si consegnano di fronte in tutta la loro violenza, ma anche con la potenza infinita di un ricordo capace di imporsi come opera viva per costruire nuove resistenze.
Octavio Paz: “Estoy mas y más convencido que la rebelión actual, sobre todo en Europa y EU, no es política sino moral y, más que moral, sensual, sentimental, emocional. Es la gran rebelión de los sentidos.”
Libri e film:
• Elena Poniatowska “La noche de Tlatelolco”
• Julio Scherer, Carlos Monsiváis “Parte de Guerra”
• Luis Spota, “La plaza”
• “El Grito” (1968), di Leobardo López Aretche
• “Tlatelolco: las claves de la masacre” (2007), di Canal seis de julio e La Jornada
• Le immagini del movimento studentesco messicano: un omaggio a cura di Desinformemonos a 48 anni dal massacro di Tlatelolco