NELLE STORIE
19 ottobre 1944: invasione repubblicana di Val d’Aran
Si tratta di un episodio poco noto e poco ricordato anche in Spagna, almeno fino agli ultimi anni quando si è riacceso l’interesse sul Maquis cui sono stati dedicati studi storici, monumenti commemorazioni, film (il bellissimo Labirinto del fauno, o il recente Sordo) e romanzi, da Eduardo Mendoza ad Almudena Grandes, che gli ha specificamente dedicato nel 2010 Inés y la alegría.
Il 19 ottobre 4.000 soldati dell’antico esercito repubblicano spagnolo, che avevano combattuto per tre anni con i partigiani francesi e partecipato in prima fila alla liberazione di Parigi, rientrano nel territorio natio, abbandonato dopo la rotta catalana del gennaio-febbraio 1939, occupando una valle pirenaica debolmente presidiata dai franchisti e abbastanza isolata nella stagione invernale dal resto del paese. Altri 4.000 soldati ben armati sono pronti a intervenire in un secondo tempo.
I soldati issano la bandiera repubblicana, si impadroniscono di alcuni paesi (ma non del capoluogo, Vielha) e progettano di instaurarvi un governo provvisorio o almeno una sua delegazione, dovrebbe essere l’inizio di una “Reconquista” della Spagna, nella speranza che le forze anti-naziste, ormai prossime alla vittoria in tutta l’Europa, colgano l’occasione per abbattere anche l’ultimo regime fascista esistente, la Spagna di Franco – che però era stato abbastanza astuto dall’offrire a Hitler soltanto un appoggio simbolico.
Contano anche sull’innesto di una rivolta popolare e di un rapido collegamento con i focolai di guerriglia sparsi in tutte le zone montuose della penisola, dall’Andalusia al Maestrazgo aragonese e ai monti cantabrici, gli huidos, cioè i repubblicani comunista, socialisti e anarchici rimasti isolati nelle retrovie franchiste dal 1936 o evasi dalle carceri e dai campi di concentramento dopo il 1939.
L’operazione è stata concepita, sotto l’etichetta unitaria della UNE dalla nuova dirigenza comunista dell’interno di Jesús Monzón, che approfitta della lontananza dei capi storici incarcerati o esiliati a Mosca o in Messico per costruire un’ampia coalizione e rilanciare la lotta armata, in primo luogo riorganizzando i quadri militari espatriati nel 1939 e fatti uscire dai campi di concentramento di Vichy per raggiungere le file dei TTP comunisti francesi nel Midi, poi cercando di infiltrarli al di là dei Pirenei.
Il PCE ufficiale diretto nominalmente dalla “Pasionaria”, Dolores Ibárruri, e di fatto da Santiago Carrillo, aveva di fatto perduto il controllo sia della rete clandestina iberica sia dell’organizzazione dei partigiani in Francia, fa buon viso a cattivo gioco ma di fatto sabota l’iniziativa (già di per sé spericolata).
Alle prime difficoltà incontrate dalla spedizione (indifferenza di una popolazione stremata dalla repressione, mancanza di collegamento con i focolai di guerriglia e le aree politicizzate troppo distanti, assenza di movimenti di massa nelle città, rapida risposta delle forze armate franchiste) l’afflusso delle riserve viene bloccato, il governo Negrín in esilio non si scalda, non ci sono segni di interesse da parte di Usa, Inghilterra e tanto meno dal regime gollista. Dopo una settimana e qualche scaramuccia, la spedizione rientra in Francia e cala il silenzio per decenni.
Santiago Carrillo colse al volo l’occasione per far fuori la dirigenza autonoma di Monzón, appropriandosi sia dell’idea di un’ampia convergenza anti-franchista dai comunisti ai carlisti e falangisti delusi (che peraltro, a differenza da Monzón, non è in grado di realizzare) e rilancia in grande stile una nuova fase di guerriglia, il Maquis, con quadri prevalentemente comunisti in tutto il paese, conseguendo iniziali successi fra il 1945 e il 1947 e poi cedendo alla repressione franchista, fino all’abbandono ufficiale della lotta armata e all’avvio di una fase differente di resistenza. Monzón nel frattempo è stato espulso dal Partito, arrestato nel 1945 dalla polizia, il suo vice Gabriel Trilla assassinato come dissidente e il PCE dell’interno normalizzato. Il regime franchista non ha più nulla da temere dalle potenze occidentali e anzi si stabilizza mediante gli accordi militari con gli Usa all’inizio degli anni ‘50.
La breve incursione in Val d’Aran fu un episodio di guerra di movimento che fece da piattaforma girevole fra due fasi di guerra di posizione: la guerriglia di sopravvivenza degli huidos e quella centralizzata condotta dal Pce (1945-1948).
Fu certo di alto valore testimoniale – gli sconfitti della Retirada del 1939 erano diventati l’avanguardia della liberazione di Parigi nell’agosto 1944, formando la divisione La Nueve e guidando carri armati intitolati “Guernica”, “Guadalajara”, “Jarama”, e ora rimettevano piede sul suolo patrio. Ma militarmente fu un fallimento e, malgrado la giusta formula di coalizione dell’UNE, non riuscì a superare le divisioni del fronte repubblicano, logorato dal settarismo comunista, dalla sanguinosa repressione di anarchici e Poum nel 1937, dalla rottura con la destra socialista dopo il golpe di Casado nel marzo 1939.
La stessa guerriglia del Pce dopo il 1945 con la direzione di Carrillo ribadì quei limiti e per di più risultò infelicemente sovradeterminata, come quella greca, dalle tattiche del Cominform e dalle esigenze della guerra fredda.
La mancanza di un’autonomia paragonabile a quella jugoslava, cinese e vietnamita (e più tardi cubana) ostacolò il radicamento e compromise la stessa efficacia bellica. Restò un’eroica testimonianza, ma la liberazione dal franchismo passò attraverso altre strategie e generazioni: le lotte urbane e gli scioperi delle Comisiones obreras formate da comunisti, socialisti catalani e cattolici di sinistra negli anni ’60, l’accendersi della guerriglia ETA nei Paesi baschi (dal 1937 rimasti estranei a ogni resistenza) a partire dal 1968. Tuttavia il ritorno di interesse storiografico e mediatico per il Maquis attesta la volontà di superare i compromessi della Transición post-franchista e di prendere le distanze dalle versioni ufficiali della sinistra spagnola.
Immagine di copertina: Wainman, Alec Miliziani republicani sul fronte Aragonese nel luglio 1936. Pubblicata su iwm.org.uk