approfondimenti
ROMA
Acca Larentia tra fascismo e antifascismo: intervista a Valentina Mira
Come ogni anno, il 7 gennaio si è ripetuta la cerimonia commemorativa per i fatti di Acca Larentia. Abbiamo intervistato Valentina Mira, che con il suo libro “Dalla stessa parte mi troverai”, prova a far luce sull’incarcerazione e la morte in prigione di Mario Scrocca, ingiustamente coinvolto nella vicenda
Quest’anno le celebrazioni per i ragazzi fascisti uccisi davanti alla sede dell’Msi di via Acca Larentia sono di nuovo accompagnate da polemiche. Sorprende che a indignarsi e rifiutare di partecipare al consueto rituale celebrativo sia Francesco Rocca, presidente della Regione e appartenente al partito Fratelli d’Italia, indignato verso il Comune per la recente rimozione di una targa commemorativa dedicata da un generico “i camerati” a Stefano Recchioni, raggiunto da un proiettile esploso durante un sit-in seguito proprio ai fatti di Acca Larentia, sempre nel 1978.
«La pacificazione non si costruisce tirando giù a picconate una targa commemorativa», fa eco Rampelli, vice-presidente della Camera e deputato FDI. Questo mentre 31 persone che l’anno scorso hanno preso parte al saluto fascista e al rito del “presente”, che entrambi scandiscono la commemorazione in oggetto, sono stati per questo denunciati e ancora in attesa di giudizio. Per i ragazzi non è ancora stata fatta giustizia, lo ribadiscono con la loro presenza le tante persone che ogni anno partecipano al rituale commemorativo, tra le quali solitamente spiccano figure istituzionali oramai prominenti (la Presidente del consiglio Giorgia Meloni, ad esempio, era solita prendere regolarmente parte alle celebrazioni).
Abbiamo intervistato Valentina Mira, scrittrice che, con il suo ultimo libro, Dalla stessa parte mi troverai, in dozzina allo Strega nel 2024, prova però a indicare un’altra via verso la giustizia, ovvero l’ingiustizia.
Mira che, non dimentichiamolo, ha sopportato pesantissimi attacchi da parte di cariche istituzionali quali Federico Mollicone, Augusta Montaruli e Andrea De Priamo, deputati e senatori FDI, nonché anonime minacce di morte, per aver cercato di ricostruire non i fatti di Acca Larentia, ma la misteriosa morte in prigione di Mario Scrocca, ingiustamente accusato degli omicidi di due dei ragazzi coinvolti.
Nel tuo libro affronti temi legati alla memoria storica e all’identità politica. Secondo te, quali fattori influiscono oggi sulla fascinazione che alcunə giovani provano per il neofascismo?
Da una parte sono d’accordo con la visione che portava Valerio Renzi nella sua newsletter, quando recensiva il libro di Davide Coppo, La parte sbagliata: a volte si tratta semplicemente di chi incontri. C’è dunque una questione di prossimità, quasi di casualità, che non è da sottovalutare. Esiste tuttavia un arbitrio – non del tutto libero, invece condizionato da circostanze esterne e interne – che è comunque arbitrio. E su questo tocca ragionare, perché non credo che il caso e gli incontri siano sufficienti a rispondere alla domanda. Vedo tre eventualità che hanno a che fare con questo arbitrio e che non per forza si escludono: c’è la recrudescenza del maschilismo in questi anni, un canto del cigno patetico e fallocentrico in risposta all’innegabile forza del transfemminismo; il secondo caso riguarda chi crede alle bugie raccontate in quegli ambienti e si beve la storia del fascismo amico del popolo, come alternativa addirittura rivoluzionaria, laddove è notorio che è il braccio armato del potere da sempre; e infine c’è chi, fieramente classista, sessista, razzista e quant’altro, fa semplicemente schifo e in tutta “coscienza” si rivede in quella visione del mondo. La capisce, la condivide e la sposa. Si sente superiore, punto. Per il poco che vale, è la casistica che mi agghiaccia di più e che mi lascia con più domande (non solo a me, penso a L’origine del male dello psichiatra Simon Baron-Cohen). Sono gli Hitler, non gli Eichmann, per capirci. Lui per questi singoli parla di una serie di concause talmente complesse che rimanderei alla lettura del saggio.
La struttura del libro sembra riflettere una volontà di dialogo tra passato e presente. Come hai lavorato per creare questa dinamica narrativa?
Per il passato ho seguito il flusso del racconto della protagonista, Rossella Scarponi. Poi purtroppo non sono il tipo di scrittrice che segue modelli prestabiliti (il cosiddetto “viaggio dell’eroe”), per cui ho difficoltà a rispondere su come dialoghi col presente, se non con: come mi suonava bene. Temo di essere legata al concetto antico e probabilmente fallato di ispirazione. Magari mi passerà con la vecchiaia.
Acca Larenzia è spesso oggetto di una narrazione polarizzata. Qual è la tua interpretazione del modo in cui è stata affrontata dal giornalismo, dalla politica e dalla storiografia ufficiali?
I fatti sono i seguenti: un commando a oggi anonimo spara e uccide Ciavatta e Bigonzetti, 7 gennaio 1978. I fascisti accorrono lì e qualche ora dopo Stefano Recchioni riceve uno sparo in fronte da – secondo i presenti, secondo la famiglia che lo denuncia – Sivori, un carabiniere (che sarà assolto e farà carriera). Stefano Recchioni muore due giorni dopo. L’Msi si rifiuta di andare in giudizio contro l’Arma. Questa è, in breve, la vicenda di Acca Larentia.
Giornalismo, politica e storiografia ufficiali si sono allineati su dei concetti di fatto falliti: pacificazione, equiparazione tra lotta armata e terrorismo nero (penso ai Nar, che avevano come mandanti i servizi segreti, come conferma per es. la sentenza di più di 1000 pagine del giudice Leoni sulla strage di Bologna), l’idea che se qualcuno è vittima allora ha ragione. È qualcosa di diverso dal rispetto per i morti. Ci sono state vittime anche dalla parte del torto. C’è molto altro da dire e ho motivo di affermare che avverrà quando sarà il momento e nel giusto modo. Il mio libro però parlava di Mario Scrocca, che non fu vittima di Acca Larentia ma della repressione di quegli anni. Suo figlio Tiziano quest’anno l’ha definito un partigiano dei nostri tempi: in effetti finì in carcere e morì unicamente perché antifascista, quindi non ha torto e suo padre meriterebbe di essere ricordato, e col dovuto rispetto. Trovo aberrante che la sua memoria la dobbiamo quasi solo a Rossella Scarponi, moglie di Mario, e a pochi scalcagnati alleati e amici tra cui sono fiera di potermi annoverare.
La tua narrazione sembra rifiutare una visione dicotomica di vittima e carnefice. Cosa ha significato per te lavorare su un tema così complesso?
Abbracciare parti molto oscure dell’umanità, a partire dalla mia. Puoi volere bene a una fascista stuprata da fascisti? Io fino a quest’anno no.
Chissà perché qualche compagn* non aveva capito che i miei libri parlano esattamente di questo, e non della vittima perfetta, quella che piace ai e alle white savior de noantri. Per me non c’è niente di narrativamente più interessante dei percorsi di liberazione. Ma mi rendo conto che se non hai vissuto in una gabbia purtroppo il massimo della liberazione che puoi immaginare è quella degli altri per mano tua: non è troppo distante dallo spirito paternalistico che muove i fascisti che ho conosciuto io da più piccola. L’antifascismo da stellette, le vittime, i carnefici, gli eroi e le eroine; tutta questa roba non mi sa convincere, infatti nei miei libri non c’è.
Quest’anno c’è stata una contromanifestazione molto partecipata all’Alberone: qual è il rapporto del quartiere con le realtà locali impegnate nell’antifascismo?
Quest’anno per me è stato intenso e incredibile: si è visibilmente spostato qualcosa. È come se quel «quotidiano, rumoroso silenzio» di cui il collettivo dell’Alberone parla in un suo comunicato di questi giorni fosse finalmente emerso. Il quartiere deve tantissimo al collettivo, dalle vertenze sul cinema Maestoso alle stesse pratiche di autodifesa proletaria. Non è un collettivo che si fa pubblicità, è distante da un modo tronfio e da influencer di fare politica e questo per me è un suo punto di forza; allo stesso tempo – data anche la natura del quartiere – è per questo che solo ora in molti hanno scoperto che esiste. Però ora è successo, il 7 c’erano tantissime persone giovani. Mi fa sorridere che io stessa non l’abbia mai frequentato, ho iniziato a Centocelle a fare politica benché la mia famiglia viva lì da tre generazioni. Lo percepisco come una resistenza rimasta invisibile e benevola per molto tempo, ora finalmente visibile. Credo e spero che l’anno prossimo saremo ancora di più e, se penso che questa presenza può rappresentare un’alternativa – stavolta sì – rivoluzionaria a chi è giovane e non si rivede nel modello dominante nel quartiere (andare a ballare al Piper, le borse di marca), mi si riempie il cuore. In fondo è proprio cercando quell’alternativa che sono finita dritta nelle braccia dei fascisti, all’epoca. Sapere che una ragazza in meno potrebbe essere violentata da un infame con la celtica al collo o peggio (perché per me resta peggio) indottrinata e dunque connivente, per me vale tutto. Ogni cosa.
Immagine di copertina: Valentina Mira durante la presentazione del suo libro il 5/09/24 presso la sede del VII municipio, a cura della redazione
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