ROMA

Ridare voce all’Università. Verso gli Stati di agitazione e oltre

Abbandonata dalla politica quasi tutta, l’Università sarà vittima di tagli che non potranno che metterla ko. A rischio, già da gennaio, decine di migliaia di precarie/precari. Il 20 dicembre, giornata di mobilitazione e di contestazione del Governo e degli Stati generali della CRUI

L’Università non fa più notizia. Tra i settori del welfare più colpiti dai tagli (1,3 miliardi in meno, dal 2024 al 2027), afflitta da una platea precaria (almeno 40 mila) senza precedenti, l’Università è ormai largamente sottovalutata dalla politica italiana. Il centrodestra, in verità, se ne occupa da sempre: umiliandola, sia dal punto di vista finanziario che della precarizzazione (del preruolo, della ricerca). Il centrosinistra, che un tempo coccolava i movimenti delle/degli studenti, salvo rare eccezioni neanche nomina più il problema. Parla di Sanità e di Scuola, giustamente; si occupa degli Enti di ricerca, menomale; sull’Università, invece, parole poche, distratte, poco incisive. Segno dei tempi.

Tempi cupi, quelli nei quali l’Università – a stringere – viene considerata un “privilegio” per un numero tutto sommato limitato di cittadine/i e, soprattutto, di elettrici/elettori. I dati, d’altronde, sono impietosi: dal 2008 a oggi, circa 20 mila posizione strutturate sono andate perdute; circa un terzo dei docenti sono a contratto; il 40% del personale, complessivamente, è precario. Ma poi occorre aggiungere che il PIL dedicato all’alta formazione raggiunge a malapena l’1%, mentre la media nei Paesi OCSE è dell’1,5%; il corpo docente è il più vecchio dell’OCSE, per il 56% è over 50; solo il 38% dei docenti è donna, con la media OCSE del 45%.

I tagli che colpiscono il Fondo di Finanziamento Ordinario, come si diceva oltre 500 milioni per il 2024, oltre 700 per il triennio 2025-2027, sono prossimi a quelli che lo colpirono con la Legge 133 del 2008 (1,5 miliardi dal 2009 al 2013).

Con una differenza non banale: allora i precari erano 12 mila, oggi quasi 40 mila. Ma è la natura del FFO, dal 2010 in poi, a essere cambiata: se prima il 90% era quota base, ora lo è soltanto il 45%, mentre la quota premiale ha raggiunto il 30%. Ciò vuol dire che gli Atenei inseriti in contesti produttivi e istituzionali dinamici e ricchi, quelli del Nord, raccolgono il grosso delle risorse; gli altri, annaspano. L’autonomia differenziata, per l’Università pubblica italiana, si è già concretizzata.

La questione che conta, che rende afona anche la sinistra, è la seguente: il tessuto produttivo e delle imprese, in Italia, è affetto da nanismo (basta leggere gli studi della Banca d’Italia, in merito), non investe in innovazione e ricerca; il sistema-Paese è parzialmente competitivo solo perché i salari sono fermi, anzi sono calati, negli ultimi trent’anni. Per essere ancora più chiari: la forza-lavoro qualificata è strutturalmente eccedente. Non casualmente, dunque, nell’ultimo decennio sono fuggiti all’estero 15 mila cervelli.

Le Camere del Lavoro Autonomo e Precario hanno attraversato e sostenuto le mobilitazioni degli ultimi mesi. Dalle assemblee allo sciopero del 29 novembre. Le precarie e i precari, spesso in combinazione con strutturati e studenti, stanno animando in tutta Italia momenti di confronto, azioni di protesta, cortei. Evidentemente, considerando che il Governo procede spedito e l’opposizione è ancora flebile, la strada da percorrere è lunga. I media non aiutano, sostanzialmente rilanciando il negazionismo sui tagli della Ministra Bernini. Ma una nuova consapevolezza sta emergendo. Va coltivata, fatta maturare, va estesa. I sindacati debbono dunque essere uno strumento, mettersi al servizio del processo, favorendo ovunque democrazia radicale e auto-organizzazione.

Il 19 e 20 dicembre, la Conferenza Italiana dei Rettori delle Università italiane organizza presso la Camera dei deputati gli Stati generali dell’Università. Nella kermesse si fa finta che la mannaia dei tagli non stia colpendo il FFO; la voce delle precarie e dei precari, che a migliaia rischiano di essere espulse/i o di rimanere appese/i ancora per anni, non è prevista.

Tutto ciò, è gravissimo. Per questo motivo, le CLAP daranno massimo sostegno agli Stati di agitazione dell’Università che, nella giornata del 20 dicembre, vedranno un incontro mattutino (presso Roma Tre) e un presidio rumoroso sotto il MIUR, a partire dalle ore 15. Una mobilitazione importante, perché importante manifestare indignazione mentre la Legge di Bilancio viene approvata alla Camera, ma in nessun modo conclusiva. Da gennaio, sarà fondamentale dare slancio all’accumulo degli ultimi due mesi, sollecitando una convergenza ampia del corpo vivo delle università, capace di rilanciare forme di lotta efficaci e durature.

Immagine di copertina: Jacopo Clemenzi

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