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ITALIA

Discriminazioni e accompagnamenti all’aborto: lotte per una salute riproduttiva

In Italia è sempre più difficile abortire, ma se sei una persona razzializzata, trans* o disabile diventa un calvario stressante e traumatico. Per questo la pratica dell’accompagnamento è diventata un metodo di supporto femminista e sa raccontarci molto di più dei dati parziali e vecchi del Ministero

L’attacco congiunto dei no choice e delle forze conservatrici globali contro la giustizia riproduttiva è sempre più forte e la vittoria di Trump è solo l’ultimo tassello della battaglia contro il diritto di scelta e l’autodeterminazione delle donne e delle persone trans*.

Ma anche se di salute riproduttiva si parla da anni, ci sono ancora delle intersezioni su cui è necessario porre attenzione perché i dati pubblicati mettono in luce solo una parte della questione.

Il femminismo ci ha fatto comprendere che i nostri corpi sono politici, quindi dobbiamo porci delle domande che ci permettano di far emergere le contraddizioni e discriminazioni multiple che viviamo.

Quali sono le motivazioni per cui in Italia, e nel mondo, l’aborto è messo fortemente in discussione? Innanzitutto le politiche familistiche, a colpi di delibere e leggi regionali, da decenni hanno funto da grimaldello, permettendo lo svuotamento dei luoghi pubblici della salute, a scapito anche di coloro che scelgono la genitorialità. Il welfare italiano è basato su sussidi che mettono sul piatto pochi spiccioli, beni di prima necessità solo per il primo anno di vita e decontribuzioni fiscali con parametri rigidi che agevolano le fasce sociali più agiate escludendo gran parte delle persone con un basso reddito, lavoratricə della cura e precariə. 

L’aborto farmacologico è diventato prassi sanitaria dal 2020, ma è così in tutto il Paese? In Italia la pillola ru-486 dovrebbe essere erogata fino alla nona settimana, anche in consultorio, ma la situazione è disomogenea e in alcune regioni come il Molise, la Basilicata, le Marche, la Sicilia e la Calabria, la situazione è più critica. Su questo, però, abbiamo pochissimi dati, quelli del Ministero risalgono al 2021 e non ci dànno il polso della situazione odierna, ma siamo in attesa da più di nove mesi del report sulla 194 a cura del Ministero della Salute.

Chi sceglie di non portare avanti la gravidanza spesso non trova un ecografo nei consultori e si ritrova a percorrere chilometri per fare un’ecografia, arenandosi in liste d’attesa fino a venti giorni per una visita ginecologica d’urgenza. Così inizia il calvario per effettuare una ivg col servizio pubblico. 

Partiamo dalle nostre esperienze di accompagnamento all’aborto e dalle decine di realtà che in questi anni hanno fatto sì che potesse avere luogo un’altra narrazione sui nostri corpi. Parliamo di una rete con scambi di pratiche, di esperienze, che ha avviato campagne informative in materia di salute riproduttiva e che è stata così prolifica da colmare i vuoti informativi della sanità e dello Stato. 

Discriminazioni multiple anche nelle esperienze di aborto

Negli accompagnamenti di questi anni abbiamo potuto vedere come le persone che abortiscono non sono tutte uguali. Fino a qualche anno fa l’aborto per le persone trans* non era neanche contemplato e ancora oggi per le persone con utero non c’è quasi mai personale sanitario preparato o in grado di dare informazioni adeguate.

Spesso vengono indirizzate verso il metodo chirurgico senza informare sull’opzione dell’aborto farmacologico come invece accade alle donne cisgender. La situazione sta cambiando solo grazie al lavoro di informazione delle realtà femministe che si occupano di salute riproduttiva che squarciano tabù e parlano apertamente di aborto trans*.

Il primo scoglio, invece, per chi non comprende pienamente l’italiano è quello linguistico. Ma avere o meno una figura di mediazione culturale, sebbene questa sia prevista dalla normativa, è una prassi totalmente affidata alla buona coscienza delle strutture sanitarie.

Inoltre, le persone razzializzate incontrano atteggiamenti razzisti, che infantilizzano, un linguaggio sanitario incomprensibile, eppure indispensabile per il consenso informato e per l’accesso alla documentazione. 

Ottenere una tessera sanitaria temporanea (STP) è difficile, si ottengono informazioni parziali e può essere a pagamento, fio a 700 euro.

Un altro dato che non emerge dai report, ma dai nostri accompagnamenti, è che il metodo utilizzato per effettuare l’ivg non sempre corrisponde a quello scelto da chi la richiede. E questo è vero soprattutto per le persone trans*, indirizzate quasi automaticamente all’aborto chirurgico, quanto per le donne migranti e rifugiate.

Odissea disabile e accessibilità dei consultori

La salute riproduttiva delle persone disabili è ancora un grande tabù così come la loro sessualità. È come se il loro corpo non esistesse. Vivono una disparità riguardo l’accesso alle informazioni sulla salute sessuale e agli screening. L’infantilizzazione che molte di loro vivono nel corso della vita rende loro più difficile l’esposizione all’educazione sessuo-affettiva. Inoltre il materiale didattico e informativo risulta spesso non fruibile a persone con disabilità sensoriale o che non usano una comunicazione verbale.

Il personale sanitario spesso non è formato riguardo alla sessualità e riproduzione in caso di disabilità e i servizi ginecologici mancano di accessibilità.

Un dato indica quanto le persone disabili siano invisibilizzate in ambito ostetrico-ginecologico: negli ultimi dieci anni in Italia è stato elaborato un solo report che offra uno scenario sull’accesso ai servizi ginecologici per le persone disabili e sul loro rapporto con la sessualità e la genitorialità.

Il report è derivato dai questionari “Rilevazione dell’accessibilità dei servizi ostetrico-ginecologici alle donne con disabilità” e “Sessualità, maternità, disabilità” del Gruppo Donne e del Gruppo Psicologi UILDM, elaborati tra il 2020 e il 2021. In questi questionari si indaga l’accesso all’informazione sulla sessualità, la violenza istituzionale, i desideri riproduttivi, la qualità dell’accessibilità dei servizi ginecologici-ostetrici. 

Solo un consultorio in Italia è completamente accessibile. Un solo consultorio. Privato. Gli altri centri ginecologici accessibili sono tre. Di cui uno è l’ospedale Sant’Anna di Torino dove è stata appena aperta la “stanza dell’ascolto”. Qui puoi entrare con la sedia a rotelle e vederti riconosciuto un diritto e poter incontrare un anti-scelta che ti nega un altro tuo diritto. 

Certo, in un paese in cui la GPA è ormai reato universale e la discriminazione contro le persone LGBTQIA+ diventa legge, è difficile immaginare consultori e strutture sanitarie accessibili a tuttə. In un paese in cui la ministra chiede all’ordine dei medici di denunciare le famiglie che tornano da un percorso di GPA, sembra impossibile poter rivendicare un aborto libero, sicuro e gratuito. In un paese impoverito e rancoroso, sembra assurdo richiedere un servizio sanitario nazionale gratuito, non discriminatorio e accessibile.

Guardare queste lotte a partire dalle storie delle persone più marginalizzate che abbiamo accompagnato in quei corridoi nelle strutture sanitarie, ci aiuta a comprendere meglio le battaglie che abbiamo di fronte, costruendo approcci intersezionali e riconoscendoci nelle esperienze delle altrə.

Dall’inizio di questo anno ho accompagnato 48 persone di diverse provenienze e paesi, con loro – e tutti i collettivi e associazioni di accompagnamento e supporto all’aborto, come Obiezione Respinta, Laiga, Prochoice, IVGstobenissimo – ho imparato nuove pratiche di sorellanza e supporto, perché l’aborto è un diritto fondamentale, una cura essenziale, e non può essere negato a nessunə.

Abbiamo bisogno di abortire gratuitamente e in sicurezza. E continueremo a farlo.

La parte dell’articolo sulla disabilità è stata realizzata grazia al supporto di Ambra Zega.

Foto di copertina di Giulia Tomassetti Pellegrini della manifestazione di Ancona del maggio 2023

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