approfondimenti

eloy sanchis - cc

EUROPA

Il rumore del diluvio è la risposta della natura alla distruzione che le stiamo infliggendo

Un lucido aggiornamento sul bilancio e le conseguenze dell’alluvione valenciana, le responsabilità politiche regionali e centrali, la potenza della risposta dal basso

Dopo circa due settimane dalla storica alluvione del 29 ottobre scorso, si continua a scavare tra il fango e le macerie per ripulire strade e abitazioni, recuperare ciò che è possibile e cercare i corpi delle persone ancora disperse. Mentre la classe politica e imprenditoriale ha dimostrato ancora una volta di anteporre i propri interessi alla vita e al benessere di molti, la partecipazione e l’autorganizzazione dal basso hanno superato ogni aspettativa, dando luogo a un’incredibile operazione di solidarietà per portare avanti i lavori di ricostruzione, pulizia e raccolta di materiali di prima necessità per le persone colpite.

Tuttavia, non si tratta di un esercizio neutro e acritico di volontariato. Al contrario, siamo di fronte a un’inedita autorganizzazione dei lavori di cura, che ha saputo trasformarsi in conflitto, come dimostrato dalla manifestazione del 9 novembre scorso, brutalmente repressa dalla polizia. Per comprendere meglio questo processo, ci interessa dare voce a chi è fisicamente presente sul campo. Per questo motivo, traduciamo questa intervista di Yayo Herrero a Samuel Romero Aporta, militante di Ecologistas en Acción, pubblicata la settimana scorsa sulla rivista spagnola “Contexto”.

Samuel Romero Aporta (Madrid, 1987) è ingegnere civile, membro di Ecologistas en Acción e residente di Aldaia, una delle località valenciane più colpite dalla DANA del 29 ottobre. In questa intervista, spiega come sia il Governo della comunità valenciana sia quello centrale abbiano agito in modo negligente e con una lentezza esasperante, concentrandosi più su questioni di partito e sulla battaglia del discorso politico che sulla sicurezza della popolazione. Al contrario, sottolinea che è stata la classe lavoratrice a «rimboccarsi le maniche per aiutare, pulire, rimuovere il fango, portare cibo, lasciare il lavoro e dedicarsi a tutto ciò che fosse necessario. È la prova di quanto il sistema politico e sociale sia distante dalla realtà».

Cronaca della catastrofe

Come ricordi il giorno dell’evento? Che tipo di informazioni avete ricevuto e quanto eravate preparati?

La verità è che lo shock vissuto rende un po’ confusi i ricordi di quella giornata. Rimangono soprattutto sensazioni ed emozioni avvolte in un misto di ansia, rabbia, tristezza e incertezza. Non abbiamo ricevuto nessun allarme vero e proprio, poiché un’allerta dovrebbe segnalarti un pericolo o un’emergenza imminente. E, infatti, non abbiamo ricevuto nulla del genere. La prima notifica d’allerta che ho potuto verificare è arrivata alle 20:12, quando ormai c’erano già paesi sommersi dall’acqua, persone annegate e case distrutte. Al suono della prima presunta allerta, Aldaia era già allagata.

Le informazioni che stanno emergendo sulle ore precedenti all’inizio del disastro, sull’incompetenza nella gestione dei dati e sulla lentezza esasperante nel prendere coscienza della situazione e nell’elaborare una risposta rappresentano perfettamente l’atteggiamento di una certa classe politica e del sistema economico e politico nei confronti del cambiamento climatico. Il loro livello di disprezzo per i costanti avvertimenti scientifici sugli effetti del cambiamento climatico e la gravità del contesto ecologico e sociale si è riflesso nella lentezza con cui hanno affrontato questa catastrofe.

Dov’eri quando è iniziato l’alluvione e com’è stata l’esperienza fino all’arrivo dell’acqua?

Fortunatamente, io e la mia compagna eravamo a casa con i nostri figli, di 3 anni e 4 mesi rispettivamente. Stavamo finendo di preparare la cena quando abbiamo visto passare in strada, davanti alla nostra finestra, delle auto in senso contrario. Dopo le auto, è arrivata la prima ondata di acqua e fango, seguita dalla corrente di un fiume che trascinava tutto con sé. È stata una notte terribile. Siamo riusciti a far addormentare i nostri bambini, ma sentivamo grida, urti di auto contro case e negozi, e il rumore assordante dell’acqua che trascinava tutto ciò che incontrava. Quel rumore non si dimentica. Era l’immagine vivida della risposta della natura ai danni che le stiamo causando come specie.

Le responsabilità

Qual è il tuo giudizio sul ruolo giocato dalle amministrazioni locali e regionali?

La risposta a livello locale è collassata. I comuni colpiti non hanno la capacità di far fronte a una catastrofe di questa portata e stanno dedicando enormi sforzi, ancor oggi, per cercare di coordinare gli aiuti in arrivo e rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione.

La risposta a livello regionale manca di criterio, rigore e onestà fin dal primo minuto. È contaminata da menzogne, ignoranza nella gestione di questa catastrofe e da una battaglia politica. Ci sono tre questioni principali. La prima è la mancanza di preavviso dell’emergenza, nonostante gli avvisi di AEMET (l’agenzia statale metereologica) e dei comuni in cui pioveva in modo torrenziale; la seconda è il primo livello di risposta, concentrato esclusivamente nel cercare colpevoli e spostare il problema sul piano politico tra Stato e Generalitat; la terza è la mancata mobilitazione di risorse e la mancanza di richiesta di aiuto per far fronte a uno scenario che ha travolto la loro limitata capacità, lasciando irrisolti i problemi più critici anche nei giorni successivi. Non ci sono alternative abitative, risorse sanitarie o scolastiche. È sconvolgente che, a dieci giorni dall’evento, non sappiamo ancora dove potranno andare a scuola i nostri figli, dopo che il loro istituto pubblico è stato distrutto. Non riesco a capire quale altra priorità abbia avuto la Conselleria de Educación in questi dieci giorni.

Come giudichi l’azione del governo centrale?

Il governo centrale ha svolto un ruolo altrettanto deplorevole. Ancora una volta, la battaglia per il discorso politico ha prevalso su tutto. Sebbene sia vero che lo stato d’emergenza debba essere dichiarato dalla Comunità Valenciana affinché lo Stato possa intervenire, il governo dispone di strumenti sufficienti per affrontare questa situazione senza giochi politici assurdi, in un contesto in cui ogni minuto può essere cruciale per salvare vite umane. Ancora una volta, si è dimostrata la totale disconnessione tra le istituzioni e la realtà. L’ambito istituzionale è ancora dominato dalla lotta partitica, anziché politica, mentre la vita delle persone va in rovina.

Il collasso dei nostri ecosistemi e della vita come la concepiamo ci infligge colpi mortali. E mentre ciò accade, l’ambito istituzionale si rivolge altrove, preoccupato della risposta mediatica e del danneggiamento del rivale politico. Non sto facendo un discorso antipolitico, tutt’altro. Credo fermamente nella politica come strumento per cambiare e migliorare le vite. Tuttavia, con questo sistema economico, sociale e politico, l’unica risposta possibile, se vogliamo cambiare le nostre vite, è prendere coscienza collettiva.

Come si sente la gente? Confusione, dolore, paura, rabbia…?

Il sentimento generale è di tristezza, angoscia e stanchezza. Sono ormai molti giorni che si lotta contro il fango, gettando via ricordi e beni di prima necessità in una montagna di fango dove tutto si spersonalizza. Dove ogni ricordo perde identità e cade nell’oblio. E, naturalmente, c’è un senso di esasperazione e rabbia molto diffuso, che può essere positivo per rivendicare i diritti di fronte a un sistema che non risponde alle esigenze delle persone, ma può anche essere pericoloso se si incanala, in uno scenario di shock, verso posizioni fasciste e di ordine verticale.

Il ritorno alla normalità, inteso come ripristino della vita prima del 29 ottobre, sembra molto lontano. E ciò è un pericolo, perché può portare a normalizzare la miseria, il fango, il rumore costante; limitare le giornate alla ricerca della sopravvivenza può ridurre la nostra capacità di godere del tempo libero.

Il livello di risposta a questa catastrofe è stato caotico. E centralizzare la risposta su aiuti minimi per riparare case, negozi, strade, piazze e parchi lascia alla capacità economica individuale la possibilità di ricostruzione. Il fascismo ha dimostrato come riesca ad allinearsi con il neoliberismo più feroce nelle situazioni di crisi e shock. Dovremmo iniziare a pensare a come strutturare questo scenario affinché diventi una guida non per ritornare alla vita che avevamo, ma per costruirne una migliore.

Con chi bisogna arrabbiarsi?

Con coloro che diffondono il negazionismo climatico, in primo luogo. Questo atteggiamento porta a ignorare gli avvisi meteorologici o qualsiasi altro messaggio lanciato dalla scienza. Ignorare la scienza è letale, ma i leader politici e l’élite economica lo fanno da decenni, perché ciò che la scienza ha da dire non piace, o semplicemente si dedicano a cercare alternative all’interno di un sistema che ormai non funziona più. E, naturalmente, con tutte le istituzioni pubbliche, dallo Stato fino alla Generalitat Valenciana, per la pessima gestione della catastrofe.

Come pensa si debba agire in contesti e territori in cui questi fenomeni sono sempre esistiti e saranno sempre più frequenti?

La risposta deve essere globale. Poiché il principale motivo di questo scenario è il cambiamento climatico e, nel caso di Valencia, l’interazione tra l’alterazione della Corrente Atlantica e un Mediterraneo eccessivamente caldo. A livello locale e regionale, secondo me, bisogna articolare tre piani di risposta:

  • Piano di emergenza climatica, con procedure scrupolose di allerta, aggiornate al livello di incidenza attuale.
  • Piano di ristrutturazione delle ecoregioni, collegando città, paesi e terreni naturali, per poter offrire una risposta che concili i bisogni primari dei comuni, la protezione degli ecosistemi e la difesa naturale di fronte a tali catastrofi. La massiccia urbanizzazione e la costruzione indiscriminata di autostrade non hanno fatto altro che aggravare il problema.
  • Piano di risposta sociale: è necessario preparare una risposta educativa, sanitaria, abitativa, ecc., perché non si può delegare tutto alla buona volontà delle persone.

La risposta dal basso

Sull’auto-organizzazione e l’aiuto reciproco… le persone, dal basso, sono in grado di collaborare in una situazione di catastrofe senza preoccuparsi dell’ideologia politica, dell’esistenza o meno del cambiamento climatico o della provenienza?

La risposta auto-organizzata della gente è la migliore notizia in mezzo a tanta devastazione. È un raggio di luce sulla capacità del popolo, come classe sociale, di superare le difficoltà e di sostenersi a vicenda. Purtroppo, l’ideologia politica, negli ultimi decenni, si muove secondo una sorta di mode dettate dalla battaglia culturale e mediatica e dal difficile equilibrio con cui il capitalismo influenza le nostre vite. Ma c’è qualcosa che non cambia: la classe sociale. È la classe lavoratrice che si è rimboccata le maniche per aiutare, pulire, rimuovere il fango, portare cibo, lasciare i propri lavori e dedicarsi a tutto ciò che fosse necessario. Credo sia la prova di quanto il sistema politico e sociale sia distante dalla realtà.

Vuole aggiungere qualcosa alla luce della sua esperienza?

Sui bisogni attuali. Il livello di risposta alle donazioni di beni di prima necessità: acqua, latte, cibo, prodotti per la pulizia, pale, rastrelli, ecc. è stato sorprendente. Ci sono centri di raccolta e donazione che sono sommersi dall’ondata quotidiana di donazioni. Tuttavia, le esigenze cambiano di giorno in giorno e nella fase di ricostruzione di case, locali e aziende, molte famiglie avranno bisogno di materiali da costruzione, di squadre di costruttori e riparatori professionisti e di personale tecnico per consigliare e progettare progetti che gli aiuti pubblici non copriranno. È essenziale che gli aiuti siano modulati, ma soprattutto che gli aiuti istituzionali coprano il maggior numero di spese necessarie per recuperare tutte le vite in ogni comune e mettere in atto i piani necessari per arrestare l’avanzata delle conseguenze del cambiamento climatico e la resilienza delle nostre città e paesi.

Immagine di copertina: Eloy Sanchis


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