approfondimenti

Albania - Marta D'avanzo

EUROPA

Accordo Italia-Albania: un pericoloso capitolo della politica europea sulle migrazioni

Inchiesta sul campo realizzata nei famigerati centri di trattenimento ed espulsione esternalizzati in Albania: loro carattere illegale rispetto al diritto italiano ed europeo, violazione della sovranità albanese, inefficienza della soluzione giuridica

L’8 novembre scorso, un altro gruppo di migranti è stato trasferito in Albania per avviare le procedure di identificazione, asilo e rimpatrio. I nuovi centri di smistamento e trattenimento, situati rispettivamente a Schengjin e Gjadër, offrono uno spaccato della complessa architettura di questo accordo bilaterale tra Italia e Albania, sia per le sue funzioni operative che per le implicazioni politiche e giuridiche.

Nel porto di Schengjin è stato istituito un hotspot destinato all’identificazione dei migranti soccorsi in mare da imbarcazioni italiane. Dopo il rilevamento delle generalità, secondo quanto previsto dalle procedure iniziali, i migranti vengono, quindi, trasferiti a Gjadër, località situata a circa venti chilometri nell’entroterra. In questa zona sono state predisposte tre strutture: un centro per il trattenimento dei richiedenti asilo, una sezione per il rimpatrio e un’area con funzione penitenziaria.

La struttura di Gjadër, attualmente in fase di espansione, si presenta come un grande cantiere: alcune aree sono già operative, mentre altre sono ancora in costruzione. Il sito, messo a disposizione dalle autorità di Tirana, era un’ex-base dell’aeronautica albanese in condizioni di forte degrado. Per mesi, il personale tecnico italiano è stato impegnato in complessi lavori di recupero e allestimento, che hanno compreso la riattivazione delle reti idriche e fognarie, oltre al consolidamento del terreno. Oggi il centro per migranti appare isolato, circondato da ampi spazi vuoti. Sparse al di fuori della struttura, si trovano alcune piccole abitazioni occupate da cittadini albanesi, una delle quali situata proprio di fronte all’ingresso principale. La struttura è delimitata da alte mura di cinta e dotata di un sistema di videosorveglianza che copre l’intero perimetro. Una peculiarità di questa nuova struttura è la sovrapposizione di competenze tra autorità italiane e albanesi. Mentre all’interno del centro il controllo è interamente italiano, con la gestione affidata a forze dell’ordine e funzionari italiani, all’esterno la giurisdizione è albanese. Questa cessione parziale di controllo e gestione crea un’ambiguità giuridica che apre a numerose questioni, rendendo il quadro normativo complesso e ancora da chiarire.

Il centro per migranti si inserisce nel quadro dell’accordo bilaterale tra Italia e Albania, firmato con l’obiettivo di trasferire temporaneamente i richiedenti asilo che giungono sulle coste italiane. Presentato dal governo italiano come una soluzione innovativa per affrontare la pressione migratoria, l’accordo ha sollevato fin da subito forti critiche. Organizzazioni come ASGI e Amnesty International lo hanno definito una violazione del principio di non-refoulement, sollevando dubbi sulla legittimità legale ed etica di delegare ad altri paesi la gestione dei flussi migratori.

La scelta dell’Albania come partner, non è casuale: Tirana ha accettato in cambio di incentivi economici e politici, consolidando il suo ruolo strategico nei Balcani. Tuttavia, le condizioni dei centri albanesi hanno destato preoccupazioni riguardo al rispetto dei diritti umani, spingendo diverse Ong a richiedere un monitoraggio indipendente e istituzionale.

Francesco Ferri di ActionAid, intervenuto durante il monitoraggio svolto il 9 novembre presso il centro di Gjadër, organizzato dal Tavolo asilo e immigrazione con la partecipazione di delegate e delegati italiani, ha evidenziato l’importanza di questa iniziativa: «Abbiamo avuto l’opportunità di accedere al centro per verificare le procedure adottate, fondamentali per garantire la tutela dei diritti delle persone migranti. Questo monitoraggio riveste un significato politico e sociale di grande rilievo, poiché rompe l’isolamento in cui si trovano i migranti confinati in Albania. È fondamentale sostenere le organizzazioni della società civile albanese che si oppongono al protocollo; l’unica soluzione possibile è la sua abrogazione e l’adozione di procedure che rispettino pienamente i diritti umani». Ha poi illustrato un aspetto cruciale della gestione del centro: «All’interno, vige una giurisdizione completamente italiana, con le forze dell’ordine italiane responsabili della sicurezza. All’esterno, invece, la gestione ricade sotto l’autorità albanese. Si tratta di una sovrapposizione giurisdizionale peculiare: tutto ciò che accade all’interno del centro è sotto il controllo esclusivo dell’Italia». Proseguendo, Ferri ha chiarito che il secondo modulo del centro è destinato a operare come CPR, previsto per le persone che ricevono un provvedimento finalizzato al rimpatrio. «Al momento, questa sezione non è ancora operativa», ha precisato, «ma potrebbe esserlo a breve». Infine, ha richiamato un precedente significativo: «In passato, con il primo trasferimento di migranti tra l’Italia e l’Albania, alcune persone sono state trattenute nella prima sezione del centro, ma il tribunale ha dichiarato illegittimo il trattenimento, ordinandone il rilascio. Sono state successivamente riportate in Italia via nave. Questo episodio mette in luce la fragilità giuridica su cui si fonda l’intero sistema, con decisioni facilmente contestabili e revocabili».

Interviene quindi Fioralba, attivista albanese, anche lei presente davanti al centro di Gjadër in occasione della conferenza stampa del 9 novembre, seguita al monitoraggio interno del Tavolo asilo e immigrazione e del Gruppo di Contatto parlamentare: «Siamo giunti a Gjadër, dove sono stati istituiti campi di detenzione per migranti in seguito all’accordo Rama-Meloni. Ieri sono arrivate otto persone, trasportate dalla consueta “nave della vergogna”, la Libra: cinque dall’Egitto e tre dal Bangladesh. Una di loro è già stata trasferita nuovamente in Italia a causa di vulnerabilità fisiche non rilevate durante lo screening iniziale. Noi, come collettivo albanese, siamo presenti oggi per ribadire la nostra netta opposizione a questo accordo e alle politiche che ne derivano».

Fioralba fa parte di un collettivo chiamato Mesdhe, nato con l’obiettivo di contrastare le ingiuste disposizioni in materia di migrazione. «Siamo attivisti per i diritti umani e ci opponiamo fermamente alla narrazione che dipinge l’immigrazione come un problema. Il nostro impegno non si limita a contestare questo protocollo specifico, ma si estende a smascherare l’intero sistema di propaganda che lo sostiene e il ruolo complice dell’Albania». Le loro azioni di protesta hanno preso avvio mesi fa, quando la Corte Costituzionale Albanese ha deciso di esaminare la legittimità dell’accordo. «Abbiamo organizzato manifestazioni davanti alla Corte, ma la sentenza è stata un colpo durissimo: nonostante la palese anticostituzionalità, l’accordo è stato confermato». Successivamente, le proteste si sono spostate nelle aule del Parlamento albanese. «Abbiamo distribuito cartellini rossi ai parlamentari, elencando le ragioni per cui l’accordo non doveva essere ratificato. In Albania, il cartellino rosso simboleggia il voto contrario in occasione delle elezioni, ma, nonostante il nostro sforzo, anche in Parlamento l’accordo è stato approvato».

Fioralba prosegue, ribadendo l’illegittimità del protocollo: «Questo accordo non avrebbe mai dovuto superare l’esame parlamentare. Tuttavia, una volta ratificato, abbiamo concentrato i nostri sforzi sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, attraverso interviste e altre iniziative, per continuare a denunciare le sue gravi implicazioni».

Fioralba rievoca un episodio emblematico avvenuto durante la visita ufficiale di Giorgia Meloni in Albania: «Quando Meloni è venuta per questa inaugurazione fittizia nel mese di giugno, abbiamo organizzato un’azione dimostrativa. Da un edificio, abbiamo annunciato, con un messaggio provocatorio, l’unione simbolica tra l’Impero d’Italia e il Regno d’Albania». Fioralba spiega il significato di quell’iniziativa: «Volevamo richiamare l’attenzione sulle pratiche colonialiste del passato. Era un evidente riferimento al periodo in cui Vittorio Emanuele III fu proclamato re d’Albania con l’approvazione del Parlamento albanese, dopo giorni di violenti scontri e perdite tra gli eserciti italiano e albanese.

Abbiamo esposto uno striscione che accostava la data di quell’evento e quella di quest’ultimo accordo sui migranti, per sottolineare la continuità di certe politiche. La data della firma di quest’ultimo protocollo segna, simbolicamente, un nuovo momento in cui l’Albania cede un frammento della sua sovranità all’Italia, un gesto che riecheggia pratiche neocoloniali».

Fioralba prosegue raccontando una delle ultime azioni del collettivo: «Dopo il primo arrivo dei migranti nel mese di ottobre, abbiamo esposto uno striscione per ribadire un messaggio inequivocabile: il sogno dell’Europa si infrange qui. Noi albanesi sappiamo bene cosa significhi essere migranti e cosa rappresenti l’idea del sogno europeo. Per decenni è stato un faro di speranza, un ideale di libertà e dignità che ha ispirato intere generazioni. Oggi, però, quel sogno sembra infranto, non solo per noi, ma anche per gli stessi cittadini europei, che hanno visto i valori fondanti dell’Unione ripetutamente traditi. Questo accordo segna, a nostro avviso, il punto di non ritorno: non solo perché l’Europa non si è opposta all’esternalizzazione delle sue frontiere, ma perché l’ha attivamente incoraggiata».

Alla domanda sull’impatto delle azioni di sensibilizzazione, Fioralba spiega: «La società civile albanese ha reagito fin da subito. Già a novembre o dicembre, è stata pubblicata una lettera aperta per denunciare l’accordo. L’annuncio stesso del nuovo protocollo, fatto in lingua italiana e in Italia, ha mostrato quanto fosse destinato a passare sotto silenzio nel nostro paese. La reazione è stata chiara: questo accordo è percepito come un’imposizione e un tradimento dei principi democratici. Alcune Ong e organizzazioni internazionali hanno espresso solidarietà, ma il silenzio dei principali paesi europei è assordante. L’Albania si ritrova così a portare il peso di responsabilità che dovrebbero essere condivise da tutta l’Unione Europea».

Fioralba continua, evidenziando il ruolo fondamentale delle proteste da parte della società albanese: «Quando parliamo con esponenti delle associazioni, troviamo moltissime persone contrarie all’accordo. La società civile albanese, infatti, è abituata a confrontarsi su temi di diritti umani e politiche di gestione, comprendendo pienamente cause e conseguenze di azioni come questa. Sono pienamente consapevoli del pericolo rappresentato da un’operazione che considerano chiaramente anticostituzionale».

Fioralba pone l’accento sugli aspetti giuridici dell’accordo: «L’intesa tra Rama e Meloni rappresenta una violazione della Costituzione albanese per due motivi fondamentali: non rispetta la separazione dei poteri e implica la cessione di una porzione del territorio nazionale a un paese straniero. Questo è inaccettabile per qualsiasi Stato. Da parte albanese, la sua incostituzionalità risiede nel fatto che sia stato annunciato dal Primo Ministro, ma trattati di questa natura dovrebbero essere prerogativa del Presidente della Repubblica. In questo caso, il Presidente ne è stato informato attraverso i media e, anziché opporsi, ha accettato passivamente una riduzione del proprio ruolo a semplice figura burocratica. Tuttavia, il Presidente non è un burocrate: il suo compito è rappresentare la volontà popolare albanese. In secondo luogo, l’accordo risulta incostituzionale perché prevede la cessione di una porzione del territorio albanese, trasferendone la giurisdizione all’Italia. Questo crea numerose falle e zone grigie dal punto di vista legale. In caso di violazioni dei diritti umani all’interno dei centri, non è chiaro a chi spetterebbe la responsabilità legale. È vero che il protocollo prevede che, qualora l’Albania fosse citata in giudizio, la responsabilità ricadrebbe sull’Italia. Tuttavia, questa disposizione non risolve il problema, lasciando irrisolte molte questioni giuridiche».

Fioralba prosegue con un’amara riflessione: «È assurdo costringere un migrante, già provato da viaggi estenuanti, a giungere in un luogo sconosciuto, al di fuori dell’Unione Europea e diverso dalla sua destinazione iniziale. Si tratta di una pratica profondamente disumana, che aggiunge ulteriori sofferenze a chi ha già affrontato innumerevoli pericoli e privazioni».

Fioralba conclude indicando la complessità della situazione: «Le problematiche si articolano su diversi livelli, dai profili legali alle implicazioni politiche, fino agli effetti sulle comunità locali e sulla percezione dei diritti umani. È una sfida che tocca non solo l’Albania, ma il cuore stesso dell’Europa».

Tutte le foto sono state realizzate da Marta D’Avanzo

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