MONDO

Resistenza performativa di Ahoo Daryaee contro il potere islamico

Il caso Ahoo Daryaee: il potere ha paura della libertà delle donne. Come le streghe bruciate sui roghi durante le società patriarcali medievali, oggi, in un contesto in cui la violenza del capitalismo si è unita al fondamentalismo religioso, vengono accusate, rinchiuse in manicomi, prigioni, arresti domiciliari, multate pesantemente

Negli ultimi giorni, un’immagine a lunga distanza di una ragazza che camminava nuda tra la folla, lasciando attoniti e terrorizzati gli agenti di sicurezza, le persone e la vigilanza universitaria ha fatto il giro di tutti i media. In un certo senso, con questo atto di ribellione, è riuscita a riportare alla mente del popolo e della società la rivolta di Zhina Mahsa Amini e lo slogan “Donna, Vita, Libertà”. Da allora, tutti i media che pubblicavano notizie di guerra e rilanciavano notizie politiche sui governi criminali hanno rivolto la loro attenzione alla ragazza ribelle dell’Università di Scienze e Ricerca. Ora, questa politica performativa, messa in atto dalla ragazza universitaria o Ahoo Daryaee, è riuscita a dimostrare ancora una volta che, nonostante tutto il potere dei governi e i crudeli decreti del sistema patriarcale, la resistenza è ancora viva e il potere non può dominare completamente la società ed è costretto a retrocedere. Sotto questo aspetto, questa performance politica di Ahoo Daryaee  è riuscita a infondere speranza nella lotta contro il regime islamico e il patriarcato all’interno della società e, in un certo senso, ha inaugurato un nuovo capitolo nella lotta delle donne iraniane contro il patriarcato e il sistema oppressivo della Repubblica Islamica.

Negli ultimi decenni, non è la prima volta che donnə lavoratorə e giovanə, che combattono contro un sistema basato sull’oppressione e lo sfruttamento, come la Repubblica Islamica, riuscendo a collegare un’azione individuale a una diffusione collettiva. Come Hama Darabi, un’insegnante e attivista politica con una lunga storia di lotta, anche contro il regime di Pahlavi he circa trent’anni fa, in uno dei centri più importanti di Teheran, in segno di protesta contro l’hijab obbligatorio, si diede fuoco.

Circa sette anni fa, Vida Movahed, in segno di protesta contro l’hijab obbligatorio, pose il suo velo su un bastone e salì su una piattaforma in una delle principali strade di Teheran. Con questo gesto, diede vita a un movimento chiamato “Ragazze di Piazza Enghelab”, in cui le ragazze in piazza esponevano i loro veli su bastoni. Questo movimento, nato da un’azione individuale, è riuscito, attraverso una forma di politica performativa, a sospendere il dominio della sessualità, del patriarcato e degli stereotipi di genere islamici e a opporre resistenza.

Dopo il movimento “Ragazze di Piazza Enghelab”, che è stato uno degli elementi chiave della rivolta “Donna, Vita, Libertà”, tutte le attiviste di questo movimento hanno affrontato severe condanne e sono state inviate in prigione, in ospedali psichiatrici o agli arresti domiciliari. La repressione non si è limitata a questo: la Repubblica Islamica ha deciso di arrestare in massa tutte le attiviste femministe. Dopo la rivolta “Donna, Vita, Libertà”, la paura della Repubblica Islamica dell’Iran nei confronti dei movimenti femministi (dalla sinistra al liberalismo) è rimasta forte e forse si è intensificata, portando a una repressione più violenta contro le lotte contro il patriarcato, la violenza domestica, l’hijab obbligatorio e così via.

Manifestazione per Mahsa Amini, credits Non Una di Meno Roma

La Repubblica Islamica, come il precedente regime Pahlavi e come altri regimi capitalistici, ha costruito parte del suo potere sulla misoginia, l’omofobia e il rafforzamento del patriarcato. È per questo che ha sempre temuto la leadership delle donne, delle persone queer e delle minoranze sessuali nelle lotte e l’esempio dell’azione performativa di Ahoo Daryaee è una risposta creativa e una sfida a questo assetto di potere.

Ogni volta che la Repubblica Islamica pensa di aver soffocato le potenzialità della rivolta “Donna, Vita, Libertà”, si trova di fronte a un’azione radicale, un rifiuto collettivo delle donne alle imposizioni governative e patriarcali, e un cambiamento nel modo di vivere di una parte della società. Anche Ahoo Daryaee, con la sua azione, ha annullato il piano della Repubblica Islamica di reprimere ulteriormente le donne e ha infuso in una parte della società la speranza di ricreare uno “spazio-tempo” al di fuori delle relazioni di potere dominanti. Svestendosi in un ambiente burocratico della Repubblica Islamica, come l’università, che lo stato cerca di controllare completamente, ha messo in scena in modo performativo i tre elementi chiave della rivolta “Donna, Vita, Libertà”: rifiuto, diffusione, riposizionamento.

Il rifiuto, in questo contesto, significa mettere in discussione, negare e sospendere tutti gli ordinamenti normativi islamico-statali, sospendere la legge basata su queste norme che riproduce corpi docili e obbedienti e al di fuori di questo ciclo non immagina altro che un corpo omogeneo rappresentato dal capitale (riproduzione), dalla religione e dallo stato (repressione); ma Ahoo Daryaee, rifiutando l’ordine e il processo di riproduzione del corpo docile, crea un altro modo di vivere e di immaginare una fuga da questa struttura.

Ora, questo rifiuto individuale non può essere necessariamente considerato individuale; anzi, Ahoo Daryaee, rifiutando di riprodurre il corpo docile, crea una forma di contagio emotivo nelle fila della società e collega un’azione individuale a una forma di affetto collettivo.

Questi due elementi insieme creano una sorta di dissonanza che genera una situazione al di fuori del dominio dominante. Possiamo definire questa azione performativa anche come “posizionamento”. La reazione della Repubblica Islamica a questo atto è stata l’arresto violento di Ahoo Daryaee e il suo trasferimento in detenzione. Poco dopo l’arresto, hanno accusato Ahoo Daryaee di follia e hanno chiesto di essere ricoverata in un ospedale psichiatrico. Tuttavia, non ci sono ancora notizie chiare e certe sulle condizioni di Ahoo Daryaee e ci sono preoccupazioni riguardo alla sua detenzione e al luogo in cui si trova.

Non è la prima volta che la Repubblica Islamica etichetta come folli e pazzi attivisti, persone che resistono, coloro che vivono al di fuori del suo dominio e rifiutano le sue norme oppressive, e li rinchiude in ospedali psichiatrici sottoponendoli alle più violente repressioni e torture. In questa lista ci sono coloro che hanno partecipato alla rivolta “Donna, Vita, Libertà”, coloro che hanno rifiutato l’hijab obbligatorio e così via. E ora la Repubblica Islamica vuole applicare queste stesse repressioni ad Ahoo Daryaee.

Immagine di copertina di Taymaz Valley

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