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ITALIA

La sicurezza come fiera della forca. Intervista con l’avvocato Francesco Romeo

Il ddl sicurezza è un pericoloso tentativo di rafforzare i dispositivi di disciplinamento sociale, limitare il dissenso e potenziare gli strumenti repressivi. Nell’intervista all’avvocato Francesco Romeo è analizzata la portata politica di queste norme, che mirano a inasprire molte fattispecie di reati e scoraggiare forme di protesta pacifica

Se dovesse essere approvato definitivamente, il disegno di legge in tema di sicurezza determinerebbe un deciso salto di qualità nella costruzione di una società governata dalla disciplina per via del suo contenuto oltremodo allarmante. Di pari passo con l’iter parlamentare, le ultime settimane sono state caratterizzate da intense mobilitazioni, in moltissimi territori: segno di quanto questa ipotesi di nuova normativa sia inquietante su larga scala. Abbiamo chiesto all’avvocato Francesco Romeo qual è, dal suo punto di vista, la portata di questo disegno di legge e qual è la sua dimensione politica.

Qual è il disegno politico e giuridico che informa la proposta di legge?

Il disegno politico e giuridico è facile da individuare. Sono norme simboliche, costituiscono un manifesto: non costano nulla dal punto di vista economico, perché aumentare le pene o introdurre un nuovo reato non comporta nulla dal punto di vista del bilancio dello stato. Hanno invece un impatto molto importante dal punto di vista del potenziale consenso popolare e della mentalità relativa ai luoghi comuni. Dal punto di vista giuridico, è chiaro che per l’attuale governo non è più sufficiente il codice penale “Rocco” attualmente in vigore – di origine fascista –, per questo hanno previsto aumenti di pene assolutamente spropositati rispetto a fattispecie di reato già presenti nel codice penale.

L’impostazione autoritaria del governo non tollera più neanche lo sviluppo di proteste pacifiche sulla sede stradale. Non è più tollerato che in luoghi chiusi come il carcere e i CPR si possa disobbedire agli ordini impartiti – molto spesso disumani – attraverso pratiche non violente come lo sciopero della fame, la “battitura” di protesta, e così via.


Quali sono le principali misure previste nel provvedimento e per quali motivi configurerebbe un decisivo salto in avanti in termini di gestione autoritaria del potere?

L’utilizzo della sicurezza per finalità repressive è stato politicamente sperimentato sia da governi di centrosinistra sia da quelli di destra. Se c’è stata una originaria degenerazione nell’uso della sicurezza intesa solo come repressione, a livello genealogico lo dobbiamo a governi di centrosinistra che, per quanto riguarda molti profili, hanno aperto la strada.

Dal punto di vista politico, i Ministri Minniti, Salvini e Piantedosi sono indubbiamente affini: sono espressioni della stessa politica fondata sulla gestione autoritaria del potere.

Il balzo avanti lo vediamo a livello cronologico. Negli ultimi due anni abbiamo assistito all’emanazione di numerosi provvedimento di tipo repressivo. Prima il decreto contro i cosiddetti raver, poi il decreto Cutro e quello “Caivano”, in seguito la legge contro i cosiddetti ecovandali e ora questo disegno di legge è uno scenario molto inquietante. Nella storia spesso le torsioni repressive che si susseguono preludono all’avvento di svolte di tipo autoritario.

Questa proposta è stata presentata e discussa in un momento storico nel quale il conflitto sociale, per molteplici ragioni, non è particolarmente acceso. Nonostante questo, il legislatore immagina di peggiorare la normativa applicata agli atti di dissenso. Quali obiettivi persegue? Da quali urgenze è mosso?

Mi sembra che il governo approfitti dell’assenza di conflittualità sociale in questo momento storico: non ci sono vertenze sociali significativa o mobilitazioni di piazza che si susseguono. Questo rappresenta un’occasione per il governo. Non c’è alcuna urgenza: l’unica finalità per il governo è l’aumento della propria visibilità.

Si possono immaginare altri scenari alternativi o complementari per impedire l’approvazione della legge? Che ruolo può avere il Presidente della Repubblica? È possibile prefigurare successivi ricorsi alla Corte Costituzionale?

A mio avviso, non ci sono margini perché il Presidente della Repubblica possa intervenire efficacemente per fermare questa torsione repressiva. Se anche il Presidente rifiutasse di firmare il disegno di legge, ciò implicherebbe solo un rinvio alle Camere, un’ipotesi piuttosto remota.

Per quanto riguarda il possibile intervento della Corte Costituzionale, occorre considerare che essa può essere investita del tema solo se un giudice solleva una questione di legittimità su una norma specifica della legge, non sull’intero testo. Inoltre, prima che un giudice possa inviare una parte della norma alla Corte, la legge sarà già in vigore, con il rischio che, nel frattempo, molte sentenze vengano emesse basandosi su queste disposizioni.

A mio parere, l’unica vera possibilità di contrasto rimane la mobilitazione sociale e di piazza. Si è già formato un vasto movimento critico contro questo disegno di legge, che possiamo definire “Piantedosi-Nordio-Crosetto” per sottolineare le sue origini politiche, piuttosto che con un semplice numero che rischierebbe di farlo apparire neutrale. È importante riconoscere che questa proposta proviene direttamente dai ministeri chiave del governo: Interno, Giustizia e Difesa. Per questo, l’ipotesi di un intervento risolutivo della Corte Costituzionale è molto incerta e lontana.

Immagine di copertina: Alberto Berlini su Flickr

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