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“Controfuoco“: una rivista tra attivismo e ricerca per la libertà di movimento

“Controfuoco” nasce dall’esigenza di condurre riflessioni fuori dai circuiti accademici, rendendole accessibili per chi vuole comprendere e trasformare le strategie migratorie

Il progetto Melting Pot ha lanciato la rivista “Controfuoco per una critica dell’ordine delle cose. Si tratta di un nuovo progetto editoriale ideato e realizzato con il supporto di ricercatorə e attivistə che si occupano da una prospettiva critica di migrazioni, interne ed esterne al progetto Melting Pot. Nel corso del 2024 sono stati pubblicati due numeri e un terzo è atteso per l’inizio del 2025. Abbiamo chiesto alla redazione di Melting Pot come nasce questa iniziativa e quali esigenze politiche e comunicative hanno portato alla sua ideazione.

La redazione di Melting Pot, insieme a un gruppo di ricercatorə e attivistə, ha ideato e lanciato la rivista “Controfuoco – per una critica dell’ordine delle cose“. Come nasce questa iniziativa?

Questo nuovo spazio, che vuole collocarsi a metà strada tra l’attivismo e la ricerca, nasce da una duplice riflessione. Da un lato, ci siamo resə conto di quanto sia articolata, ricca e qualitativamente molto rilevante la produzione di saperi critici e radicali – testi, ricerche, approfondimenti, ecc. – che interrogano il funzionamento dei confini geografici, politici, sociali e giuridici e come questi impattano sulla vita materiale delle persone immigrate. Tuttavia, questa produzione ha spesso una circolazione parziale, perlopiù limitata agli ambienti accademici e allə addettə ai lavori. Dall’altro lato, vediamo come necessario un salto di qualità nella capacità di critica e di iniziativa della società civile, che non occasionalmente si mobilita esprimendo solo una generica indignazione, ma anche dei movimenti stessi, che si ritrovano a inseguire un arretramento incrementale dei diritti e delle condizioni di vita delle persone razzializzate (e non solo) senza riuscire a costruire discorsi e azioni che aggrediscano in modo complessivo i nodi del presente. La rivista nasce innanzitutto da queste considerazioni e vuole essere uno strumento – una “cassetta degli attrezzi”, come spesso l’abbiamo definita – a disposizione di chi vuole comprendere e soprattutto sovvertire l’ordine delle cose. Nasce dalla necessità di raccontare in modo articolato, complesso ma accessibile la realtà sociale, non da un punto di vista esterno o neutrale, ma collocandosi chiaramente nel dibattito politico dalla parte di chi lotta, delle persone immigrate, razzializzate, solidali.

Quali esigenze politiche e comunicative sono alla base del lancio di “Controfuoco”?

Come dicevamo, l’esigenza politica e comunicativa è quella di portare fuori dall’accademia e rendere accessibili analisi e riflessioni preziose, di stimolare le nostre intelligenze collettive, di andare oltre l’indignazione. Ma non solo, si tratta anche di fare un passo indietro rispetto alla cronaca e alla pioggia di notizie – tendenzialmente negative – che quotidianamente ci sommerge, per provare a guardare ai processi di lungo periodo, a unire i puntini, cercando allo stesso tempo di prendere parola nel dibattito corrente. Un aspetto fondamentale è quello di mettere al centro le voci delle persone migranti e immigrate, guardando non solo alla complessità dei dispositivi di confinamento ma anche alle lotte, alle resistenze, ai micro e macroconflitti che sempre si aprono. Il numero 0, uscito a gennaio 2024, si è focalizzato sulle politiche e i discorsi del governo Meloni, mentre il numero 1, pubblicato il 20 giugno di quest’anno, è stato dedicato alla decostruzione del lessico razzista con cui si parla di migrazioni, in particolare di alcune figure stereotipate che inquinano il linguaggio mediatico.

Da quale ragionamento nasce il nome della rivista?

Controfuoco significa «incendio, appiccato volontariamente, per eliminare il materiale combustibile e quindi contrastare l’avanzata di un incendio di grandi proporzioni, spec. nei boschi». Questa scelta vuole sottolineare la postura “offensiva” delle rivista, nasce dal sentirci stanchə di “giocare in difesa” e dal voler finalmente segnare un colpo, rispondendo con un (contro)fuoco al fuoco incrociato che da troppo tempo attacca la libertà di movimento, i diritti e la vita delle persone migranti e di tuttə noi. In questo senso la rivista vuole essere esplicitamente uno strumento non solo di critica ma anche di lotta e sovversione.

Quali linguaggi e stili comunicativi sono sperimentati nella scrittura degli articoli?

L’obiettivo è mantenere un carattere accessibile e divulgativo, per cui gli articoli solitamente non eccedono i 12 mila caratteri, hanno un linguaggio piano, non hanno una bibliografia e le note sono ridotte al minimo necessario. Negli articoli si cerca di dare spazio alle esperienze di ricerca-attivismo, riportando e contestualizzando in modo sintetico parti o estratti di lavori sul campo che lə ricercatorə che collaborano con noi stanno portando avanti. Fin da subito ci siamo datə il compito di esplorare anche linguaggi diversi, come il podcast o il fumetto, che finora non abbiamo ancora sperimentato. Per ogni numero viene scelto un ambito tematico e poi viene lanciata una chiamata per i contributi. Il prossimo, per cui stiamo lavorando in questi giorni, sarà sulla detenzione.

Come si colloca “Controfuoco” nell’attuale scenario del racconto pubblico sulle migrazioni in Italia?

Prima di tutto sarebbe necessario definire attualmente in che fase ci troviamo del racconto pubblico sulle migrazioni e quali strumenti lo producono. Eccetto poche anomalie, nei media mainstream ci sembra di vedere una regressione che è coincisa anche con l’insediamento del governo Meloni. Ciò è confermato anche dai rapporti dell’Associazione Carta di Roma. La presenza di ministri, soprattutto nei telegiornali, è aumentata in modo esponenziale e sempre meno spazio viene dato alle persone con background migratorio oppure a voci critiche rispetto alla narrazione artificiosa costruita dal governo. Infatti, sono entrati nell’uso comune del linguaggio termini coniati dalla politica. Ieri il mantra era il “clandestino”, oggi lo sono la parola “scafista” e “trafficante”. Un’altro esempio è il concetto di “difesa dei confini nazionali” che viene utilizzato tanto per difendere Salvini dal processo che lo vede coinvolto per sequestro di persona, quanto per sostenere l’accordo Italia-Albania.

Costruire una contro-narrazione efficace e di peso rispetto a quella governativa continua a essere sempre molto difficile e, probabilmente, al momento passa da canali di comunicazione che permettano di offrire uno sguardo più ampio, talvolta complesso, cercando però di essere nel contempo comprensibili e se possibile, come si dice oggi, di uscire “dalla bolla”. 

In che modo è possibile partecipare a questo progetto editoriale?

Il modo migliore è scrivere alla email collaborazioni@meltingpot.org e presentarsi. La nostra prospettiva è di mantenere la redazione aperta e discutere collettivamente i contenuti di ogni numero e il modo in cui portare avanti le pubblicazioni. 

Melting Pot è collocato nel punto di intersezione tra la comunicazione e l’attivismo. È il riferimento per un’ampia rete di persone, attivistə, ricercatorə, movimenti e organizzazioni. Quali obiettivi persegue Melting Pot? Con quali strumenti?

Melting Pot si avvicina ai 30 anni di attività e sicuramente alcuni obiettivi di fondo sono rimasti sempre gli stessi. È  un progetto di comunicazione nato guardando fuori dalla finestra, conoscendo i quartieri popolari e le trasformazioni sociali in atto, l’affacciarsi di una nuova composizione lavorativa –  di classe si diceva un tempo – che prima di tutto richiedeva di essere riconosciuta e lottava per avere diritti. Al suo fianco stava emergendo un movimento antirazzista, che pur con i limiti di allora, ha cercato di sostenere queste lotte e al tempo stesso di analizzare come stava cambiando il quadro giuridico e culturale. Negli ultimi anni, dopo la cosiddetta crisi dei rifugiati del 2015 e con la riorganizzazione grafica del sito, abbiamo fatto anche una scelta di campo inserendo nel sottotitolo “Per la libertà di movimento” che si affianca, senza sostituirla, alla storica dicitura “Per i diritti di cittadinanza”. Per noi l’informazione è un “campo di battaglia” e quindi gli strumenti che utilizziamo sono molteplici e si collocano non solo nell’intersezione tra comunicazione e attivismo, ma anche proponendone alcuni di taglio più progettuale.


Negli ultimi anni il progetto Melting Pot è stato caratterizzato da importanti novità, tra le quali una sostanziale riorganizzazione, non solo grafica, del portale. A che punto è il progetto Melting Pot?

Abbiamo cercato di mantenere una continuità con la struttura originaria e quindi – semplificando – sono rimaste due sezioni principali: “Cittadinanze” e “Sans-Papiers”. L’obiettivo è di coniugare informazioni, approfondimenti e reportage giornalistici a strumenti di formazione e aggiornamento per avvocatə, operatorə del settore e per persone con background migratorio. Pensiamo sia inoltre necessario saper ascoltare e, al tempo stesso, dare sempre più voce e spazio alle persone protagoniste delle migrazioni e razzializzate, valorizzando anche le tante esperienze di solidarietà, antirazzismo e supporto alle persone in movimento che sono nate in questi anni.

Oltre appunto alla rivista “Controfuoco“, sono stati attivati dei progetti specifici realizzati da gruppi eterogenei di persone con competenze e attitudini complementari che lavorano o sono attratte dall’ambito. Per questo motivo, al progetto editoriale si è affiancato uno strumento più organizzativo, un’associazione di volontariato – Melting Pot Odv –, che ha valorizzato l’apporto di persone che hanno alle spalle percorsi di attivismo, di impegno sociale e professionali molto diversi tra loro, ma spinti da passione e voglia di attivarsi per cambiare la situazione odierna. Da questi percorsi di cooperazione sociale sono nate inchieste e reportage nelle zone di confine, il progetto di Radio Melting Pot con la produzione di podcast, schede pratiche e audio-schede multilingue, sportelli di orientamento legale, fino al progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare” che tiene insieme attività di assistenza legale, advocacy e una campagna di comunicazione sociale.

Immagine di copertina: Paul Sableman

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