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EUROPA

Students for Palestine: il movimento studentesco sfida i legami accademici con Israele

Dall’inizio del conflitto a Gaza, le proteste studentesche sono esplose in numerosi campus universitari. A Göteborg, in Svezia, abbiamo incontrato le e gli attivisti di Students for Palestine, che occupano da mesi l’area antistante l’università con l’obiettivo di spingere l’ateneo a prendere una posizione chiara e a interrompere i legami con istituzioni coinvolte nella guerra

Dall’inizio dell’ennesimo capitolo della guerra a Gaza, un’ondata di proteste organizzate da gruppi studenteschi ha attraversato vari campus universitari, esprimendo richieste chiare e decise per un rafforzamento dei processi di pace e per la cessazione del genocidio contro il popolo palestinese. Questi movimenti, intensificatisi in risposta all’escalation del conflitto a Gaza e in Cisgiordania, hanno esortato con urgenza le Università al disinvestimento da aziende che lucrano sull’occupazione della Palestina o sostengono l’esercito israeliano.

Oltre alla richiesta di disinvestimenti istituzionali da aziende collegate all’industria bellica, le proteste studentesche abbracciano una gamma più ampia di questioni etiche e umanitarie, che includono temi fondamentali come la libertà accademica, la responsabilità sociale delle università e il rispetto dei diritti umani.

All’Università di Columbia, gli studenti hanno avviato manifestazioni attive, chiedendo all’istituzione di interrompere i suoi rapporti con società connesse alle forze militari israeliane. Questa mobilitazione ha sottolineato la responsabilità etica delle istituzioni accademiche, tracciando un parallelo con storici movimenti per i diritti civili e di attivismo contro la guerra.

Le proteste hanno coinvolto anche rinomate istituzioni accademiche europee, tra cui Sciences Po e l’Università della Sorbona a Parigi, l’Università di Amsterdam nei Paesi Bassi, la Libera Università di Berlino in Germania, l’Università di Bologna e La Sapienza a Roma, oltre all’Università Federico II di Napoli. Anche nel Regno Unito, università di prestigio come Oxford e Cambridge hanno visto una mobilitazione significativa da parte degli studenti.

Le reazioni delle amministrazioni universitarie sono state variegate: alcune hanno scelto di reprimere le manifestazioni con l’intervento della polizia, mentre altre hanno dimostrato un sostegno parziale alle istanze degli studenti. In Belgio, il primo ministro ha espresso solidarietà con gli studenti dell’Università di Gand, mentre in Irlanda il Trinity College ha avviato un processo di disinvestimento dai fondi legati alle aziende attive nei territori palestinesi occupati.

La Confederazione delle università spagnole (CRUE) ha ufficialmente annunciato l’interruzione dei rapporti con 76 istituzioni accademiche israeliane, un gesto che segna un crescente sostegno della mobilitazione studentesca per la causa palestinese e riflette l’intenzione del governo spagnolo di riconoscere la Palestina come Stato. La CRUE ha inoltre dichiarato l’intenzione di intensificare la cooperazione con le università palestinesi, esortando Israele a rispettare il diritto internazionale. In un passo emblematico, anche l’Università di Barcellona ha votato per interrompere i legami con Israele, denunciandolo per genocidio e violazioni delle norme internazionali, consolidando così il sostegno attivo alla causa palestinese in un contesto caratterizzato da forti e costanti repressioni in altre parti del mondo.

Anche nei Paesi del Nord Europa, la situazione è sintonica ai principi delle mobilitazioni studentesche, con i campus universitari occupati e le manifestazioni che si susseguono incessantemente. La Svezia, che nel 2014 aveva innescato una crisi diplomatica con Israele a seguito del riconoscimento ufficiale della Palestina come Stato da parte del governo, allora presieduto dal socialdemocratico Stefan Löfven, è attualmente teatro di occupazioni di solidarietà in diversi centri universitari. Oltre alla capitale Stoccolma, i moti di protesta studentesca si sono intensificati a Göteborg, seconda città più popolosa della Svezia. Qui abbiamo incontrato il collettivo Students for Palestine, che dal 14 maggio, in collaborazione con Chalmers Social Justice, ha occupato l’area antistante l’ingresso principale dell’Università, dando vita a un presidio permanente, costituito da un accampamento e un punto informativo.

Il collettivo di Göteborg riunisce studenti di diverse discipline e facoltà, formando una rete coesa che attraverso cortei, manifestazioni e interventi nei punti nevralgici della città, esorta l’università svedese a interrompere ogni collaborazione con Israele e con le istituzioni accademiche israeliane, un cessate il fuoco immediato e permanente, nonché la fine del genocidio e della pulizia etnica del popolo palestinese

Tra le tende, gli stand e i gazebo, l’accampamento è animato da giovani studenti, militanti del movimento autonomo svedese e solidali impegnati nell’allestimento di un dibattito pubblico. Mentre sistemano casse, microfoni e strumenti musicali, l’atmosfera si fa vivace. In un angolo, un’area buffet offre cibo e bevande, mentre una biblioteca allestita con cura fornisce risorse per chi desidera approfondire. Una mostra fotografica permanente racconta storie e volti che hanno contraddistinto quest’anno di guerra, offrendo uno sguardo profondo sulle esperienze di chi ha vissuto il conflitto. In questo scenario, incontriamo Taha Khatab, un rifugiato palestinese cresciuto in Siria e ora residente a Göteborg. Taha, attualmente iscritto al Master in Social Work and Human Rights all’Università di Göteborg, è uno degli organizzatori del presidio. In un’intervista, ci racconta: «Il nostro movimento studentesco è supportato principalmente dalla società civile locale di Göteborg ed è parte di un movimento studentesco globale con un focus umanitario. Più di 200 ricercatori dell’Università di Göteborg hanno sostenuto le nostre richieste, insieme a diverse centinaia di studenti e personale. Le nostre richieste includono che l’università interrompa le collaborazioni con istituzioni israeliane, fornisca sostegno agli studenti e ricercatori palestinesi e condanni il genocidio contro i palestinesi».

Partendo dalle parole di Taha, le loro molteplici proteste si configurano come un elemento fondamentale di un movimento internazionale che sottolinea l’intreccio tra la battaglia per i diritti dei palestinesi e altri contesti e fenomeni globali, come i diritti civili, i movimenti contro l’apartheid, la discriminazione etnica. Un’interconnessione che evidenzia come le diverse forme di oppressione siano spesso collegate e non isolabili e come le dinamiche di dominio si influenzino reciprocamente.

Comprendere queste dinamiche consente di contestualizzare le specifiche mobilitazioni, all’interno di un panorama più ampio che aspira a dignità e giustizia. In questa ottica, il presidio delle e degli studenti di Göteborg è diventato un fulcro di informazione e discussione critica, affrontando tematiche quali il colonialismo, l’apartheid e la pulizia etnica

Altro aspetto centrale della protesta è la difesa della libertà accademica e il riconoscimento delle università come spazi di dibattito libero e critico. Su questo presupposto, le istituzioni che intrattengono legami con aziende o organizzazioni coinvolte nell’occupazione palestinese compromettono la propria indipendenza etica e minano la capacità di promuovere una ricerca imparziale e libera.

In numerosi campus, i manifestanti hanno messo in evidenza come le collaborazioni accademiche con istituzioni israeliane implicate nel conflitto possano erodere i principi di equità che dovrebbero orientare l’insegnamento universitario. La contestazione si ricollega a una responsabilità fondamentale delle università, vale a dire il dovere di opporsi attivamente a forme di repressione, discriminazione e violazione dei diritti umani, consolidando il loro ruolo essenziale nella formazione di una coscienza critica.

Tuttavia, nonostante l’appoggio di molti accademici, il movimento studentesco di Göteborg ha incontrato numerosi ostacoli a livello istituzionale. «Diversi ricercatori hanno scritto articoli d’opinione esprimendo il loro sostegno e spiegando perché le nostre richieste sono fondamentali per la libertà accademica e l’autonomia dell’università», prosegue Taha. «Purtroppo, dopo un incontro, la direzione dell’università ci ha informato di aver ricevuto direttive dal ministro dell’Istruzione, Mats Persson, per continuare la collaborazione dell’Università di Göteborg con le istituzioni israeliane. Vediamo questo atto come una minaccia diretta all’etica della ricerca e alla libertà accademica, poiché un ministro sceglie di esercitare pressioni sulle scelte della nostra università, nonostante in Svezia non esista una regola ministeriale».

Il governo svedese, da parte sua, condanna duramente le forme di protesta e, soprattutto dopo le elezioni del 2022, il contesto politico svedese si è notevolmente irrigidito, riflettendo un clima europeo caratterizzato dall’emergere e dal diffondersi dell’estrema destra. In effetti, con le ultime elezioni politiche in Svezia, per la prima volta un partito di estrema destra, i Democratici Svedesi, ha ottenuto un risultato rilevante, diventando il secondo partito con il 20,5% dei voti e offrendo supporto esterno a un governo di minoranza di centrodestra. Questo risultato segna un cambiamento storico per il paese, che fino a poco tempo fa aveva isolato i Democratici Svedesi a causa delle loro posizioni xenofobe e nazionaliste. La campagna elettorale è stata segnata da un diffuso senso di insicurezza, sia di natura interna, legata ai problemi di criminalità, sia di carattere esterno, connessa alla situazione geopolitica. Sebbene il partito socialdemocratico sia rimasto il primo partito, ha visto un calo di consensi a favore della coalizione di centrodestra, la quale ha adottato una retorica affine a quella dell’estrema destra. Il governo risultante, composto dai Moderati, dai Cristianodemocratici e dai Liberali, è ora vincolato al supporto esterno dei Democratici Svedesi. Tale situazione ha condotto a cambiamenti controversi, tra cui la soppressione del ministero della Transizione ecologica e un inasprimento delle politiche migratorie.

Taha sottolinea le difficoltà incontrate dal movimento rispetto a risposte politiche insoddisfacenti: «Uno degli ostacoli principali è che alcune forze politiche sembrano preoccuparsi più del prato su cui si trovano le nostre tende che dei diritti umani che sosteniamo. Siamo stati anche soggetti ad attacchi mediatici e incidenti di stampo razzista. I politici hanno falsamente affermato che i nostri cartelli contengono citazioni che potrebbero essere percepite come attacchi d’odio verso gli ebrei. In realtà, mentre gli studenti musulmani dormono nel campo, abbiamo residenti ebrei di Göteborg che vegliano su di loro con lo scopo di proteggerli, a dimostrazione della nostra solidarietà e unità, indipendentemente dall’etnia, dalla religione o dal background».

In un contesto di crescenti disuguaglianze e tensioni politiche, le mobilitazioni studentesche si configurano come una risposta necessaria e determinata alle sfide odierne. Questa protesta, come tante altre, rappresenta un’invocazione più ampia alla responsabilità sociale e umana delle istituzioni educative, a tutti i livelli

In un periodo in cui le scelte politiche sembrano compromettere questi principi fondamentali, gli attivisti di Students for Palestine continuano a presidiare il campo universitario, dimostrando che la solidarietà e la resistenza possono prosperare anche nel cuore della comunità accademica.

Conclude Taha: «Speriamo che l’Università di Göteborg, come altre istituzioni educative svedesi, si attenga alle linee guida etiche che afferma di seguire. Vediamo un doppio standard quando si tratta dell’invasione dell’Ucraina e del genocidio in Palestina: alcuni gruppi ricevono sostegno, mentre altri vengono ignorati. Speriamo che la nostra rettrice dia priorità alla libertà accademica e all’etica della ricerca piuttosto che alle proprie ambizioni personali di carriera».

Tutte le immagini sono state realizzate da Dario Spallotta e catturano alcuni dei momenti più significativi dell’evento svoltosi il 24 agosto a Gazaplatsen, lo spazio antistante l’università, e così rinominato dagli studenti. L’iniziativa ha segnato 100 giorni di mobilitazione studentesca e di organizzazione del presidio permanente.


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