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CULT
So’ zecche, Diogneto, che te lo dico a fare?
I sovversivi di ogni fase storica hanno sempre interrotto il corso ordinario del tempo, hanno abitato il mondo senza conformarsi a esso. Un antico testo cristiano riletto come evento condizionato dalla situazione. Le promesse del NFP in Francia contro la complicità fra Macron e Le Pen
Come si manifestano i cambiamenti storici, i salti o lo strisciante impercettibile mutamento nelle forme di vita, come varia il rapporto con il mondo e come se ne crea uno nuovo?
Anche una pesciarola può fare cose buone
Una bella mattina del 1436 il chierico Tommaso d’Arezzo, in Erasmus a Costantinopoli per imparare il greco, passeggia lungo il Corno d’Oro, fuori dalle Mura marittime, con la precisa intenzione di rifornirsi di pesce. Adocchia una bancarella promettente e si avvicina attratto dai richiami della pescivendola e dallo strano ammasso di fogli che usa per incartare il pescato. Alla fine acquista una spigola e si fa regalare un mucchio di cartacce che hanno l’aria di un manoscritto antico. Scampa così alla distruzione un testo del II secolo, scritto in ottimo greco, una difesa dei Cristiani diffamati e perseguitati ancora ben lontani dall’integrazione nello stato. Tornato in Italia il nostro Tommaso ne fa fare diligentemente due copie che consegna a umanisti suoi amici. Per fortuna, perché l’avventuroso manoscritto originale, finito a Strasburgo, andrà in fiamme durante la guerra franco-prussiana del 1870. Ignoto, malgrado molte ipotesi, l’autore del testo apologetico e ignoto il destinatario, certo Diogneto.
Che dice il breve scritto, che ha acquisito una certa fama per le ripetute citazioni in recenti documenti conciliari e pontifici?
Come si viveva un tempo nei centri sociali
Prendiamo i paragrafi 5 e 6 dove l’antropologia prevale sulla teologia. Questi Χριστιανοὶ (come lo traduciamo? sono cristiani, certo, ma precostantiniani, coperti e semiclandestini, quando va bene, alla macchia in periodi di repressione; tradurre “comunisti” avrebbe un senso, ma per ora diciamo “sovversivi”), questi sovversivi, allora «non si distinguono dagli altri uomini né per patria, né per lingua, né per nazionalità, non abitano in città a sé né si servono d’un linguaggio speciale o conducono un genere singolare di vita. Risiedono tanto in città greche che barbare e si adattano alle costumanze locali […] Abitano la loro patria, ma come se fossero di passaggio, partecipano di tutti gli oneri pubblici come cittadini e sopportano ogni persecuzione come stranieri, ogni paese straniero è patria per loro e ogni patria è come terra straniera» (πᾶσα ξένη πατρίς ἐστιν αυτῶν, καὶ πᾶσα πατρὶς ξένη). Ogni contrada è patria del ribelle e nomadi e internazionalisti sono appunto quelle zecche – chiamiamoli finalmente con il loro giusto nome. Da stranieri accolgono gli stranieri – sentendosi fratelli di tutti i perseguitati.
Che siano zecche lo confermano le proposizioni seguenti; si sposano come tutti gli altri e fanno figli. «Amano apparecchiare una mensa comune» – come fanno le zecche di oggi, nei peggiori locali di Exarcheia, Torpigna e Belleville, appena un attimo prima che vengano gentrificati come accade di regola agli ex-covi sovversivi. Tuttavia comune è solo il mangiare, non il sesso, che anzi si ostentano casti, per non incappare nelle accuse di promiscuità orgiastica che spesso bollavano le sette gnostiche cui forse l’autore, paolino di osservanza marcioniana, è vicino. A loro è capitato di dimorare nella carne (ἐν σαρκὶ τυγχάνουσιν), ma non vivono secondo la carne (αλλ᾽ οὐ κατὰ σάρκα ζῶσιν), perché sono cittadini del cielo (ἐν οὐρανῶι πολιτεύονται). In questo le zecche del II secolo differiscono da quelle del XX e XXI. Però, osserviamo, la differenza essenziale è fra una situazione “ontica”, per usare il gergo filosofico, quel trovarsi per caso nella materia (τυγχάνουσιν), e una situazione “ontologica”, lo scegliere di vivere altrimenti (ζῶσιν), di soggettivarsi in una vita (zoé) qualificata, non solo biologica.
Infine, «vivono secondo le leggi stabilite, ma con la loro condotta morale sopravanzano le leggi». In pratica, seguono altre regole, ispirate a un eccesso di amore fraterno e per questo sono perseguiti in giudizio e odiati senza motivo nel fuoco incrociato del potere imperiale e dei media ebraici e pagani. Tipo Ilaria e Mimmo, oggi.
Abitare il mondo o farne parte
Il paragrafo 6 tira la grande conclusione (che richiama anche il vangelo di Giovanni, 15, 18-21). «Χριστιανοὶ ἐν κόσμωι οἰκοῦσιν, οὐκ εἰσὶ δὲ ἐκ τοῦ κόσμου», cioè traducendo alla buona: i comunisti abitano il mondo della politica quotidiana ma non sono di quel mondo, non vengono di lì e non vi appartengono veramente. Stavolta possiamo parlare, a questo livello di universalizzazione, di “comunisti” e completare la trasformazione metaforica del “mondo” in “sfera della politica”. Naturalmente omettiamo la parte successiva e più celebre del paragrafo 6 ovvero il paragone fra il nucleo separato dei Cristiani e l’anima in rapporto con il corpo, dove il neoplatonismo si taglia a fette e l’essere straniero al mondo si dà in tutta la sua valenza gnostica. Non tutto può essere reso contemporaneo. Poi certo anche oggi ci sono gruppi rispettabili che vivono esperienze mistiche.
Una volta tradotto quel “mondo” in mondo della politica e scisso l‘abitarlo in attraversamento casuale o viverlo facendosi soggettività attiva, possiamo aggiornare il concetto.
Jacques Rancière lo spiegherà pure meglio, assumendo il mondo come insieme del tutto immanente delle relazioni politiche di potere e di resistenza: c’è alternativamente police o politique. La prima è la gestione dei corpi docili e assegnati a ruoli predefiniti in una gerarchia, dove pochi comandano e molti obbediscono. La seconda, e opposta, promuove, con un gesto soggettivo ed eversivo volto contro la distribuzione “poliziesca” dei ruoli, la “parte dei senza parte”, chi resta “fuori di conto”. La comunità degli eguali senza qualità, che non hanno finora avuto voce in capitolo. La politique, lacerando la distribuzione “casuale” delle posizioni materiali scontate (la “carne” di Paolo e dell’ignoto autore della citata lettera), porta alla ribalta di volta in volta chi era escluso dal sistema al punto di non avervi nome (il proletario, il precario, il migrante, il non-binario, ecc.) e ne fa il soggetto di nuovi conflitti. Una singolarità non rappresentata», scrive Gilles Deleuze, che differisce radicalmente dai “tutti” – che in francese è, appunto, tout le monde. La moltitudine irrappresentabile è, allo stesso tempo, due cose distinte: un allargamento della classe e una presa in carico delle singolarità.
Eccezione miracolosa o bassa mescolanza?
Lo scarto dal mondo si configura come un miracolo perenne per i Cristiani della lettera a Diogneto e si riaffaccia come carattere quasi miracoloso nell’Evento-Verità di un moderno interprete di Platone e di Paolo, Alain Badiou, che spezza la continuità dell’Uno (il mondo quotidiano, la logica parlamentare in politica) e suscita la fedeltà all’Evento dei militanti. La politica è qui una sequenza rara che conosciamo più dai fallimenti (la Comune di Parigi, la Rivoluzione culturale) che non dalla stabilizzazione riuscita. Nella realtà politica, peraltro, il problema sta proprio nell’intreccio congiunturale inestricabile fra situazione data e occasione-rottura, nel fatto che i militanti fedeli sono, allo stesso tempo, corpi del mondo, mai indenni dall’inerzia di una distribuzione abituale dei ruoli. Nessun uccello, del resto, potrebbe volare senza sfruttare la resistenza dell’aria.
Prendiamo, per esempio, quanto di più simile a un “evento” o a una sequenza di politique o grande politica si dia nel nostro immediato presente. La creazione improvvisa, per un fortissimo impulso dal basso, del Nouveau Front Populaire in Francia è proprio uno di quei gesti che interrompono il tempo dei giochi di bassa politica (la politique politicienne), che tagliano l’Uno in Due. La citazione all’ordine del giorno (avrebbe detto Benjamin) del Fronte Popolare del 1936 fa venire in mente, al di là della risposta unitaria al fascismo rampante, il salto di qualità che si verificò allora nell’immaginario e nel quotidiano. Questo superò di gran lunga gli esiti politici del cambio di governo (due anni scarsi di tenuta) e le sue contraddizioni interne – principale il mancato aiuto alla rivoluzione spagnola –, così che l’immagine più folgorante che ne resta sono i bambini delle famiglie proletarie che, per la prima volta in vita loro, nel luglio 1936 vedono il mare, grazie alle vacanze retribuite stabilite negli accordi di palazzo Matignon.
La svolta del NFP – che noi invidiamo nel paludoso torpore di due anni di quasi incontrastato governo Meloni – si compie in effetti con gli uomini e le tradizioni della vecchia police, con i materiali opachi del mondo da cui repentinamente gli insoumis si sono sganciati prendendo il volo, gli Hollande, i Glucksmann e perfino, per certi aspetti, il tribuno Mélenchon che ne ha viste di ogni ed è reduce dalla disgregazione della Nupes. È dunque è una sfida e una scommessa per i fuori di conto coalizzati con i vecchi arnesi non solo vincere contro Le Pen e Macron, ma anche durare e operare in caso di vittoria. Già adesso, però, con il solo presentarsi e unirsi (meglio ancora con il “far presa” del vertice nelle mobilitazioni di base) hanno sfasciato l’esperimento macroniano, già logorato dai Gilets Jaunes e dalla battaglia sulle pensioni, svelandone la complicità con la destra, hanno strappato a Jourdan Bardella l’aureola della novità e hanno lanciato un segnale a tutte le sinistre che con maggiore o minore efficacia tentano di resistere in Europa all’ondata nera. A voler restare sul livello “ontico” l’elenco dei problemi irrisolti – in queste convulse settimane pre-elettorali ma anche nei cicli di lotta che durano a strappi sin dal 1995 – è lunghissimo: il ruolo dei partiti e delle loro litigiose dirigenze, il rapporto fra rivoltosi “bianchi” e “neri”, le scelte di politica europea e internazionale. Tuttavia è in questa “bassa” mescolanza di frattura epocale e di compromessi con i cascami del passato – così come nel collasso di un regime tecnocratico e centrista che teneva bloccato tutto – che si dà la possibilità, probabilmente non immediata, di abitare il mondo ma non secondo il mondo. Non sarà un evento istantaneo ma un’intera fase di confronto e di virtuale dualismo di potere.
L’immagine di copertina è tratta dal film Viridiana (1961) di Luis Buñuel
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