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Da Assab a Black Lives Matter: l’ambigua ombra del colonialismo italiano
La lettura di Storia del colonialismo italiano di Valeria Deplano e Alessandro Pes offre l’occasione di ripensare al passato coloniale interrogandosi – senza interpretazioni monodimensionali – sulle forme di dominio nel tempo presente
Durante l’epidemia di Covid-19 e nei due anni successivi, il governo italiano ha utilizzato alcune grandi imbarcazioni private, posizionate nei pressi dei porti, come “navi quarantena” per l’isolamento fiduciario dellə migranti. Questo ha comportato una sistematica privazione della libertà, con gravissime violazioni dei diritti. La prima nave utilizzata per questo scopo è stata il traghetto “Raffaele Rubattino” della Tirrenia-Compagnia italiana di navigazione.
Raffaele Rubattino è uno dei primi nomi che si incontrano nel libro Storia del colonialismo italiano. Politica, cultura e memoria dall’età liberale ai nostri giorni di Valeria Deplano e Alessandro Pes (Carocci editore, 230 pagine, 19 euro). L’armatore genovese ha un ruolo centrale nell’avvio dell’espansione coloniale italiana: su indicazione del governo, la sua società acquistò nel 1869 la baia di Assab, nel mar Rosso. Questo passaggio è fondamentale in quanto «Assab rappresenta ufficialmente il momento iniziale dell’espansione coloniale del Regno d’Italia» (p. 22).
Storia del colonialismo italiano è un’opera agile e appassionante. Deplano e Pes, professorə associatə di Storia contemporanea all’Università di Cagliari, ripercorrono il periodo coloniale in ordine cronologico, con particolare attenzione alle ragioni sociali, politiche ed economiche che hanno spinto il Regno d’Italia verso l’occupazione coloniale.
L’espansione italiana ha un andamento inquieto fin dalle sue origini: procede per strappi, salti in avanti e retromarce. Solo nel 1882 il governo acquista Assab dalla società genovese, assumendo il controllo e l’amministrazione diretta del territorio.
Da quel momento decolla la fase liberale del colonialismo italiano: mezzo secolo di guerre, rovinose sconfitte e brutali violenze. Nel testo di Deplano e Pes c’è un continuo rimando tra il processo di espansione coloniale e le vicende politiche, sociali ed economiche della penisola. La relazione tra le due dimensioni è complessa. Ad esempio, particolarmente interessanti sono le pagine dedicate alle società e associazioni geografiche, che «agevolarono e accompagnarono la spartizione dell’Africa e dell’Asia […] tramite spedizioni esplorative, lavori di mappatura, ma anche attività di tipo propagandistico» (p. 42).
Il desiderio coloniale era confinato tra le élites politiche e militari, ma era fatto proprio e riprodotto anche da molti corpi intermedi. Le società geografiche e le associazioni di esploratori giocano un ruolo fondamentale non solo nell’esplorazione e nella cartografia, ma anche nel creare consenso per l’espansione coloniale.
Queste organizzazioni, attraverso pubblicazioni, conferenze e mostre, diffondono un’immagine idealizzata dell’«avventura coloniale», contribuendo a costruire una politica dell’imperialismo che permea vari strati della società italiana.
Al colonialismo fascista sono dedicate le pagine centrali del libro. Questo periodo è probabilmente il più conosciuto e discusso. Il metodo con cui Deplano e Pes lo affrontano è convincente sia dal punto di vista storiografico sia nelle sue implicazioni politiche. Attraverso il confronto con un’importante mole di fonti, lə autorə mettono in risalto continuità e discontinuità tra la fase liberale e quella fascista dell’espansione coloniale italiana. L’affresco che emerge è puntiforme. Dal punto di vista degli obiettivi coloniali, delle strategie militari e politiche e della narrazione di fondo, il regime fascista produce un salto di scala rispetto al paradigma precedente, ma con importanti aspetti di continuità.
Per Deplano e Pes è importante che i lettori colgano le persistenze e le rotture tra i vari periodi dell’espansione coloniale e all’interno delle singole fasi. È da rifiutare l’idea che il colonialismo italiano sia stato sostanzialmente omogeneo; allo stesso tempo è pericoloso ritenere che la fase fascista del progetto coloniale abbia caratteristiche radicalmente diverse e proprie. Appare, più che altro, un’accelerazione delle tendenze razziste e predatorie presenti fin dalla genesi di questa esperienza.
Nel capitolo conclusivo, dedicato al rapporto tra «La repubblica italiana e la questione coloniale», è descritto il complesso percorso che ha portato alla dismissione dei territori coloniali conquistati. La vicenda del dominio “oltremare” si conclude formalmente solo il 1° luglio del 1960 con la nascita della Repubblica di Somalia e la fine del mandato di amministrazione fiduciaria del paese.
La persistenza delle tensioni coloniali anche dopo l’indipendenza esemplifica quanto il colonialismo italiano abbia avuto un enorme impatto sulle strutture sociali, demografiche ed economiche dei territori conquistati. Anche le complesse vicende dei rimpatriati dalle colonie e degli ex “sudditi” testimoniano in tal senso.
È facile immaginare che Deplano e Pes abbiano progettato e realizzato Storia del colonialismo italiano per molteplici utilizzi. L’opera è un ottimo punto di partenza per chi, per motivazioni di ricerca accademica e non, vuole confrontarsi con l’argomento attraverso un testo accessibile e rigoroso. La descrizione puntuale degli eventi cruciali e il costante rimando al contesto generale in cui si iscrivono si mescolano con un ritmo efficace, mai noioso o eccessivamente pedagogico. Allo stesso tempo, il libro è adatto anche a un uso più sociale, politico e militante. Può diventare la lettura di riferimento per chi vuole orientarsi davanti al complesso tema del colonialismo italiano anche per comprendere meglio il presente.
Da questa prospettiva, la pubblicazione di Storia del colonialismo italiano arriva in una delicata congiuntura politica nazionale e globale. La guerra – anche quella finalizzata alla conquista e alla dominazione coloniale – è uno dei fattori determinanti del nostro tempo. Più in generale, in Italia e in Europa l’avanzata delle destre estreme – certificata dai recenti risultati elettorali – rende urgente l’elaborazione di anticorpi collettivi contro il rischio della rimozione dell’importanza delle vicende coloniali e della loro matrice predatoria.
Infine, il libro può avere una specifica utilità dal punto di vista del pensiero critico e dell’azione politica dei movimenti antirazzisti contemporanei. A partire dall’affermazione globale del movimento Black Lives Matter attraversiamo un’intensa fase di riscoperta dell’importanza storica del colonialismo come elemento fondativo della modernità occidentale.
Negli ultimi anni, anche in Italia e in Europa i movimenti sociali e lə attiviste antirazzistə hanno compiuto un salto di qualità in relazione alla capacità collettiva di cogliere i tratti di continuità tra il colonialismo formale e le attuali politiche di razzializzazione nei confronti delle persone con background migratorio. Linguaggi, prospettive e proposte dei movimenti sociali sono efficacemente rinnovati sotto questa spinta.
In questo scenario produttivo e stimolante, siamo a volte esposti al rischio di raccontare le attuali politiche di razzializzazione, controllo delle frontiere e detenzione amministrativa dellə migranti come speculari alle politiche coloniali del passato. Più in generale, le forme di neocolonialismo – che pure hanno una precisa rilevanza politica – sono a volte descritte, all’interno dei movimenti, in sostanziale continuità con l’esperienza storica del colonialismo, a scapito delle significative discontinuità e delle differenze specifiche.
Tra l’acquisto della baia di Assab da parte di Rubattino e l’utilizzo del traghetto a lui intitolato come strumento di contenimento coatto dellə migrantə ci sono centocinquant’anni di storia e innumerevoli cambi di paradigma politici e sociali. In questo contesto, l’insubordinazione e l’insurrezione dellə colonizzatə hanno segnato, nella storia del colonialismo italiano, una radicale discontinuità. Si tratta di un tema centrale: l’espansione italiana è stata scandita senza soluzione di continuità da rivolte, battaglie vittoriose della resistenza e molteplici forme di guerriglia. Deplano e Pes dedicano pagine intense e avvincenti a questi temi.
In molti contesti geografici – a cominciare dall’Etiopia – le rivolte hanno contribuito a determinare la fine del colonialismo formale. Da questa prospettiva, Storia del colonialismo italiano – con la sua puntuale attenzione metodologica alla relazione tra continuità e discontinuità – può essere letta come un invito a evitare rappresentazioni piatte e assolute del colonialismo italiano e delle sue risonanze nel presente, anche quando mosse da nobili intenti.
Immagine in copertina di Syrio, da WikiCommons
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