approfondimenti

Luca Mangiacotti

MONDO

Elezioni in India: intervista a Dipsita Dhar

Dipsita Dhar è candidata nella circoscrizione di Sreerampore nel Bengala per il Partito Comunista Indiano (Marxista) – CPI(M) – con l’alleanza delle opposizioni unite. Dhar, è stata tra le organizzatrici delle mobilitazioni universitarie alla Jawaharlal Nehru University e oggi è ricercatrice in sociologia del lavoro. Con lei cerchiamo di capire quali sono i temi di dibattito più importanti per le opposizioni in questa campagna elettorale

Dipsita Dhar, il partito e l’alleanza delle opposizioni presentano una piattaforma elettorale tematica alternativa alla NDA – Alleanza democratica nazionale – guidata dal BJP. Quali sono i temi principali del vostro programma elettorale?

Innanzitutto, abbiamo presentato una piattaforma alternativa, perché la NDA, espressione del Governo in carica da nove anni e mezzo, raccoglie forze politiche assolutamente antidemocratiche e anticostituzionali. Il nostro primo obiettivo è salvaguardare la Costituzione e la democrazia perché sono state il risultato di dure lotte contro il colonialismo, in cui troppe persone hanno perso la vita. Queste elezioni sono una lotta primaria per la loro salvaguardia.

I principali risultati del BJP sono stati due: l’aumento delle diseguaglianze e la comunitarizzazione della società. Secondo un’indagine, la disparità economica in India è addirittura superiore a quella che si registrava durante il periodo coloniale e, nello stesso periodo, l’1% della popolazione è arrivato a possedere il 40% della ricchezza nazionale.

La seconda cosa fondamentale che hanno fatto è stata comunitarizzare la società. L’India è un Paese molto vario, perché abbiamo diverse lingue, religioni, culture, ecc., ma quando fu fatta la partizione, l’India rifiutò l’idea di essere una nazione hindu per costruire una repubblica laica in cui il diritto di cittadinanza è garantito a prescindere dal proprio credo religioso. Il governo di Narendra Modi nel 2019 ha modificato la legge sulla cittadinanza – Citizenship (Amendment) Act – dicendo che tutti possono essere cittadini tranne i musulmani. Questo è assolutamente contrario al fondamento secolarista dell’India e alla Costituzione.

L’egemonizzazione e la divisione dell’India comportano anche la securizzazione dei confini esterni e la militarizzazione di quelli interni. Come vedete la situazione in Kashmir? E qual è la vostra posizione rispetto a ciò che sta accadendo in Manipur?

I due contesti sono molto diversi. Il Kashmir ha avuto una lunga storia ed è parte di un territorio conteso con il vicino Pakistan, tanto che ci si è dovuti appellare alla Corte internazionale per dirimere la controversia. Il problema di cancellare l’Art. 370 della Costituzione con cui si garantiva la semi-autonomia dello Stato è che questa decisione è stata presa in modo unilaterale dal Governo centrale, senza che i rappresentanti locali eletti democraticamente abbiano potuto esprimere la propria opinione a riguardo. La preoccupazione è dovuta al fatto che, se un governo centrale può fare questo al Kashmir oggi, domani può farlo a qualsiasi altro territorio. Per noi il primo problema è di metodo, su come l’art. 370 è stato abrogato. La seconda cosa è che l’art. 370 ha una storia. L’abrogazione ha come effetto la rottura della fiducia e del contratto sociale che il popolo kashmiro aveva con il popolo indiano e costituisce una violazione dei principi democratici-federali. 

Nel Manipur sta avvenendo un genocidio. I 226 morti, 1500 feriti, 60.000 sfollati e 22 dispersi segnalati dalle autorità, sono solo una parte delle vittime di questo conflitto che va avanti oramai da un anno. Qui ci sono due comunità in lotta: i Meitei – in maggioranza hindu – e i Kuki – in maggioranza cristiani. Per i nazionalisti hindu ci sono tre nemici interni dell’India: Musulmani, missionari e comunisti. I Meitei, sostenuti dall’RSS e dal BJP, credono che i cristiani stiano portando via tutti gli hindu dal fondo della società – soprattutto adivasi, caste inferiori e tribù classificate –; per i Kuki la conversione ha costituito una possibilità di emancipazione dallo stato di subalternità a cui erano relegati. Nel Manipur si sta cercando di usare la religione e di creare un conflitto etnico basato su di essa.

C’è un’altra ragione politico-economica dietro a tutto questo. I Kuki vivono di solito nelle zone collinari, dove hanno il controllo sulle risorse del territorio e ci sono molte possibilità di estrazione mineraria. Quello che il BJP al Governo del Manipur vuole fare è fondamentalmente una pulizia etnica per eliminare tutti i tribali dalle aree collinari e vendere le risorse alle grandi imprese indiane. Possono farlo perché nel 2019 hanno ritirato un’altra legge molto importante, quella sulla valutazione dell’impatto ambientale – Environmental Impact Assessment act. La legge dava alle comunità l’opportunità di avere voce in capitolo sulle questioni legate alla loro terra grazie alla presenza di una clausola che prevedeva l’autorizzazione obbligatoria da parte delle persone che vivono in quel territorio. Con il ritiro della legge non c’è più bisogno di tutti questi permessi: chiunque può andare ovunque senza che comunità e Stato possano avere voce in capitolo.

Quali sono le ragioni che stanno dietro alla crescita di questo tipo di violenza? 

Penso che quello che la destra voglia sia una psicosi di paura: se si ha paura per la propria vita, non si è in grado di porsi domande sulla propria condizione materiale. Se, come musulmano, sono già ansioso per il timore di essere cacciato da questo Paese, di essere mandato in un campo di detenzione o di temere di essere linciato per il solo fatto di essere diventato musulmano, allora le mie preoccupazioni si sposteranno dalla questione di classe a questioni esclusivamente identitarie. Quando ciò accade, si vanno ad alimentare i consensi dell’RSS e del BJP. In un certo senso, è una spinta per far sì che le persone non siano in grado di articolare discorsi e organizzazione sociale su linee di classe.

Dopo il G-20, il Governo indiano ha iniziato a parlare di se stesso come potenza globale centrale nel nuovo sistema di relazioni internazionali. A dispetto delle dichiarazioni del Governo, stiamo assistendo a una geometria schizofrenica delle relazioni internazionali: si compra petrolio dalla Russia, ma si firmano accordi di difesa con Israele e Stati Uniti; si hanno buone relazioni con Israele, ma anche accordi in più settori con l’Iran. Ad aggravare il quadro c’è la questione palestinese.

C’è un cambiamento nelle relazioni internazionali in India. L’India è stata uno dei primi Paesi non arabi a scendere in campo a sostegno della Palestina, riconoscendo l’appartenenza dei territori agli arabi, al popolo della Palestina. Ora, per la prima volta, l’India si è discostata dalla sua tradizionale posizione politica e ha preso posizione in favore del Governo israeliano. Anche l’export di armamenti dall’India ad Israele è aumentato negli ultimi anni. E vediamo che si hanno buone relazioni con l’Iran e la Russia e anche con gli Emirati Arabi Uniti, ma c’è un cambiamento molto consapevole che sta portando l’India sotto la sfera d’influenza americana. Forse, se il BJP vincerà ancora, saranno più espliciti, in questo momento sono sottoposti a diverse pressioni che non consentono loro di esporsi. Se questa volta dovessero vincere, vedremo un cambiamento molto netto e diretto in favore di USA e Israele.

Nel programma del BJP i riferimenti al mondo del lavoro sono quasi residuali, si fa per lo più riferimento a leggi e programmi di sostegno approvati dal Governo. Stando all’ultimo report dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro viene fuori che i lavoratori informali costituiscono il 90% della forza lavoro indiana e la situazione di giovani e laureati è disastrosa.

La legge sul lavoro Labour Court Amendement approvata dal Governo in carica sta cancellando i diritti fondamentali dei lavoratori in materia di contrattazione, organizzazione del lavoro e previdenza sociale. Noi chiediamo l’abrogazione di questo codice.

In secondo luogo, vogliamo che lo Stato si assuma la responsabilità di garantire sicurezza sociale per i lavoratori impiegati nel settore regolarmente organizzato e in quello informale, poiché pensioni, welfare e agevolazioni sono assolutamente assenti per chi lavora nel settore informale. In questo senso, lo Stato non si prende affatto cura dei suoi cittadini.

C’è anche la grande questione dei lavoratori “gig”. In questo settore, c’è qualche opportunità di lavoro, ma possiamo dire che si tratta di una sorta di “pseudo-occupazione”. Per esempio, molti laureati hanno studiato a lungo per ottenere un certo tipo di lavoro a tempo indeterminato, ma invece sono costretti a fare i fattorini. Sulla carta sono lavoratori dipendenti, perché guadagnano qualcosa e hanno un contratto, ma si tratta di uno pseudo-impiego, perché le competenze non vengono utilizzate completamente in quel tipo di lavoro. Il caso dei giovani laureati è emblematico: il 63% di loro è al momento disoccupato.

Inoltre, vogliamo un maggiore controllo da parte dello Stato anche per gli addetti alle consegne e per i gig worker. Lo Stato è al di fuori della regolamentazione e del processo di contrattazione, perché le relazioni industriali sono strutturate in modo bidirezionale tra lavoratori e imprese. Il nostro programma prevede anche la regolamentazione delle piattaforme di lavoro digitale, l’intervento dello Stato nella regolamentazione del lavoro e l’iscrizione dei lavoratori ai regimi pubblici di previdenza sociale.

In questi anni si è parlato molto dello sviluppo delle infrastrutture necessario a garantire l’attrazione di investimenti esteri e per la logistica del settore manifatturiero. Il Governo ha spinto sull’implementazione dello sviluppo di infrastrutture altamente inquinanti – soprattutto autostrade, porti e aeroporti – costruite grazie a licenze e fondi statali. Gli investimenti nel trasporto pubblico sono appena accennati e non approfonditi. 

Si dice che si intende rinnovare e meccanizzare l’intero sistema ferroviario e per questo si sono introdotti i treni ad alta velocità. È meraviglioso, nessuno si fa problemi a tale riguardo; il problema sta nella riduzione del numero di treni locali, treni passeggeri e vagoni non riservati su tutti questi mezzi che sono utilizzati principalmente dalla classe operaia.

Durante il COVID, con il lockdown, abbiamo visto il grande esodo dei lavoratori migranti indiani, e in questo momento non ci sono ancora statistiche adeguate su di loro, nemmeno il parlamento sa quanti siano. Questa è l’ennesima dimostrazione che per il Governo le loro vite non hanno alcuna importanza.

Sì, investiranno nelle infrastrutture come i porti ma la maggior parte di questi sta andando nelle mani dei privati: in pratica il settore pubblico investe in infrastrutture che saranno utilizzate dalle imprese per i loro interessi privati e queste società sono le stesse che poi finanziano le campagne elettorali di tutti i grandi partiti per ricambiare i favori ottenuti.

Questi aspetti sono tutti collegati. Ho iniziato parlando di democrazia, torno a chiedere: perché la democrazia è in pericolo? Perché se da domani le opinioni dei cittadini non contano più, se posso comprare qualsiasi deputato e influenzare il Governo, allora la democrazia perde di significato. Questo sistema di scambio è un altro elemento della progressiva distruzione della democrazia indiana.

Negli anni passati c’è stato un grande movimento femminista in India, la campagna #MeToo si è diffusa in tutta l’India e in molte hanno preso parola sulla propria condizione di genere. Oggi se si leggono i giornali internazionali si parla della questione di genere in India solo per i casi di stupro o per scandali. Qual è la situazione oggi? 

Con l’arrivo del BJP al Governo, la questione di genere è stata trascurata. Negli ultimi mesi c’è stata un’enorme protesta da parte di ragazze wrestlers di livello internazionale ripetutamente molestate dal presidente della Federazione indiana del wrestling – che è anche un deputato del BJP. In questi mesi sono scese in strada, hanno fatto un lungo sit-in in cui anche noi eravamo con loro. Il BJP le ha definite come «persone [che] vogliono un po’ di attenzione», riproponendo tutte quelle domande che sono state fatte alle donne durante il MeToo: «Perché siete state in silenzio per tutto questo tempo, perché ci avete messo così tanto a uscire allo scoperto?» per svilire le loro istanze. Sulla questione di genere il BJP è assolutamente assente perché crede nella manusmriti – trattati di diritto hindu –, crede che uomini e donne non siano uguali, e che le donne non siano altro che uno strumento per produrre prole. 

Il CPIM propone di utilizzare un terzo dei fondi dei parlamentari per creare centri di autodifesa, autoprotezione – non intesi esclusivamente come autoprotezione fisica, anche se certamente ne avremo bisogno per fronteggiare gli stupratori – e di sostegno per le donne vittime di violenza. In questi centri vogliamo garantire l’emancipazione economica, politica e sociale delle donne, uscendo fuori dal sistema dei sussidi statali che abbandonano le donne a loro stesse quando sono parte attiva delle opposizioni.

Il modello che vogliamo adottare è quello delle cooperative, dove l’emancipazione sociale avviene attraverso il mutuo aiuto e lo scambio di conoscenze, e l’obiettivo finale è quello di garantire la piena autonomia alle donne, affinché non siano più subordinate a famiglie o mariti.

tutte le immagini sono di Luca Mangiacotti

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