approfondimenti
ITALIA
Il Governo Meloni tra decreti d’urgenza e norme eccezionali (prima parte)
La tendenza dell’esecutivo è di accentrare i poteri nelle proprie mani e di governare tramite la decretazione di urgenza, con lo scopo di introdurre nuove norme considerate eccezionali, che riducono i diritti e gli spazi di agibilità e irrigidiscono l’apparato penale in chiave più autoritaria. A partire dal decreto Caivano
Fin dai primi giorni del suo insediamento il Governo Meloni ha iniziato a occuparsi di temi quali la giustizia e la sicurezza e ha così proseguito nei mesi successivi.
Probabilmente lo avremmo dovuto capire fin dal primo momento, con il c.d. decreto anti-rave, quale sarebbe stata la tendenza, se non altro per la velocità e l’opportunismo con cui veniva sfruttata una finta emergenza per introdurre una nuova figura di reato, spendibile anche in altre e diverse circostanze.
Ed è così che sono già legge, oltre al decreto Anti- rave, il decreto Cutro, il decreto Caivano, la legge Anti-ecovandali e pronti per essere approvati il DDL sicurezza e il DDL Nordio.
In realtà il meccanismo utilizzato per l’approvazione dei decreti c.d. sicurezza, non è di certo una novità posto che si pone in linea di continuità con l’operato dei precedenti Governi, a prescindere dal loro colore politico, ed è un tratto comune nella storia di questo paese, quantomeno a partire dagli anni ’70.
Si tratta della tendenza dell’esecutivo di accentrare i poteri nelle proprie mani e di governare tramite la decretazione di urgenza, in particolar modo attraverso lo strumento del decreto-legge, anche al di fuori delle ipotesi per le quali è stato introdotto nella Costituzione, bypassando il Parlamento e il normale iter di approvazione delle leggi.
Ovviamente per giustificare l’urgenza deve potersi fare appello a una qualche “emergenza” che può nascere da un singolo episodio di cronaca, che suscita particolare clamore e sgomento, come spesso accade quando si tratta di violenza contro le donne, che viene così strumentalizzata, o da un fenomeno che, nonostante la sua evidente strutturalità, viene fatto percepire come risolvibile nel breve periodo, come accaduto in passato per la mafia o il terrorismo.
L’emergenza viene spesso enfatizzata da una campagna stampa ad hoc, capace di far aumentare il senso di insicurezza individuale della popolazione, in quanto la sicurezza è ormai considerata come l’immunità personale dall’essere vittima di reati e non è più legata all’effettiva garanzia di diritti, tutele ed erogazione dei servizi, che sentendosi più insicura oppone meno resistenza all’approvazione delle norme eccezionali.
E questo nonostante la sopra descritta percezione non sia in alcun modo giustificata dai dati che invece narrano di una progressiva diminuzione dei fenomeni criminali e di una stabilizzazione del numero degli omicidi (salvo i femminicidi e le morti sul lavoro).
Lo scopo di tutto ciò è ovviamente quello di introdurre nuove norme considerate eccezionali, che spesso riducono i diritti e gli spazi di agibilità, con lo scopo di irrigidire e sclerotizzare l’apparato penal-repressivo in chiave più autoritaria e che, soprattutto, invece che venire abrogate una volta risolta la presunta emergenza, diventano stabili nel nostro ordinamento e il loro perimetro applicativo viene ampliato fino a ricomprendere categorie e fenomenologie estranee alla finalità originariamente perseguite.
Tra i decreti così approvati vi sono stati, per rimanere in materia, il “decreto espulsioni” del 2007 del Governo Prodi o il “pacchetto sicurezza” del 2008 del Governo Berlusconi, emananti a seguito dell’omicidio di Giovanna Reggiani, che scatenò una vera e propria ondata di razzismo nei confronti dei migranti, che introducevano alcune misure poi riprese e sviluppate dai successivi esecutivi, come la possibilità per i sindaci di emettere provvedimenti in materia di “sicurezza urbana” e che portavano l’esercito in città con l’operazione “Strade Sicure” e la militarizzazione della Val Susa, che esiste ancora oggi.
Fino ai più recenti decreti che prendono il nome del Ministro di turno, come i “decreti Minniti” del 2017, che disciplinavano il Daspo urbano, misura simile al Daspo sportivo per contrastare il fenomeno Ultras e che in questo caso prevede il divieto di accesso in alcune aree della città, in particolar modo il centro storico o le stazioni ecc. a determinate categorie di soggetti, o i “decreti sicurezza Salvini”, che tra le altre norme, reintroducevano il reato di blocco stradale per mezzo di oggetti, o i vari “decreti Covid”, che con l’emergenza pandemica hanno portato all’applicazione di divieti che in altri momenti sarebbero apparsi inimmaginabili e illegittimi.
Tutti decreti che spesso intervengono sulle medesime tematiche come la sicurezza, il decoro e la repressione del dissenso, aumentando le pene per reati già esistenti o creandone di nuovi o ampliando il novero dei soggetti a cui possono essere applicate le sanzioni amministrative o quelle di prevenzione.
Ebbene, svolta questa necessaria premessa, appare quindi lecito domandarsi se il Governo Meloni, con la mole di provvedimenti così approvati o in via di approvazione, si sia semplicemente posto in linea di continuità con l’operato dei precedenti o se invece presenti elementi di innovazione ovvero se siamo di fronte a una torsione autoritaria particolarmente allarmante e alla quale occorre fare particolare attenzione anche e ovviamente per la collocazione molto a destra del Governo in carica.
A parere di chi scrive, fermo restando attuale quanto sin qui illustrato, sono diverse le novità che si legano indissolubilmente tra di loro.
La prima è una tendenza, in parte simile a quella della fase berlusconiana, in cui in apparenza sembra che gli esecutivi di destra si facciano promotori di idee più garantiste in tema di giustizia, opponendosi così a un centro sinistra considerato maggiormente giustizialista, ed è all’interno di questa narrazione che deve essere letto il DDL Nordio. Garantismo che, come vedremo, si rivolge solo ed esclusivamente a una parte della popolazione e che svela il posizionamento di questo Governo estremamente galantuomo e particolarmente attento agli interessi e alle esigenze dei propri sostenitori oltre che della classe dirigente, politica e non solo, di questo Paese e degli alleati atlantici, e autoritario e repressivo verso tutti gli altri che non rientrano nei piani o nella sfera di consenso.
La seconda novità, che si lega indissolubilmente alla precedente, è rappresentata dalla chiara identificazione degli altri ossia di quelli che vengono considerati dei veri e propri nemici interni, che devono essere individuati, esclusi e neutralizzati in ragione del timore di una ripresa, in maniera più organica e strutturata e non più solo frammentata come in passato delle lotte e del conflitto sociale, all’interno di un contesto che si vorrebbe pacificato ma che invece ribolle, esasperato com’è da una crisi economica di cui non si percepisce la fine e che è stata alimentata prima dalla pandemia e ora dalle guerre.
Nemici che vanno individuati nei migranti e nelle persone razzializzate, nei così detti scafisti (anche se dovremmo più propriamente chiamarli capitani), negli studenti, in chi vive ai margini della società ossia negli esclusi socialmente, negli abitanti delle periferie, nelle persone detenute e ovviamente in chi si oppone e lotta contro questo sistema e prova a manifestare il proprio dissenso, ma anche nelle donne, nella comunità LGBTIQ+, nelle famiglie omogenitoriali e in generale in chi si batte per i diritti civili, che vengono considerati problemi di ordine pubblico da trattare attraverso il ricorso al diritto penale, come la proposta di istituire un reato universale per la GPA.
Infine, l’ultima novità è ovviamente rappresentata dal carattere particolarmente repressivo e meramente punitivista delle norme approvate che, in un crescendo, ha visto prima interventi mirati per poi giungere ad azioni più strutturali con il DDL sicurezza, che esamineremo in seguito.
Entrando ora nel merito dei provvedimenti approvati, non si può non partire dal DL Caivano, in quanto classico esempio del meccanismo sopra descritto.
Anche in questo caso vi è la volontà di risolvere la problematica relativa al disagio giovanile, che nel caso specifico di Caivano è esasperato da una situazione di estrema marginalità e povertà, in un territorio abbandonato dalle istituzioni e innervato dalla criminalità organizzata , solo ed esclusivamente tramite l’utilizzo del diritto penale e della repressione, che diventano la panacea di ogni male sociale, invece che con politiche di welfare e di inclusione, come sarebbe stato logico e giusto fare, fatte di finanziamenti per la scuola e l’istruzione, per la cultura, per i centri sportivi, per le biblioteche.
Ma vi è di più, con il DL Caivano viene completamente rivoluzionato l’approccio alla giustizia minorile che, seppur a volte amministrata con fare paternalistico, aveva fatto della legislazione italiana un caso all’avanguardia, in cui la carcerazione era davvero considerata come una extrema ratio e in cui venivano sperimentati istituti premiali, quali la messa alla prova, che sono stati poi mutuati anche nel processo per adulti e in cui l’interesse del minore, in considerazione della sua personalità ancora in evoluzione, era considerato centrale.
Le norme introdotte via decreto hanno, inoltre, avuto un approccio meramente punitivo, muovendosi nella direzione di equiparare sempre di più la figura del minore a quella dell’adulto, indiziato/imputato di reati.
Ed è così che fattispecie quali l’ammonimento del Questore potrà ora essere applicato anche ai minori tra i 12 e 14 anni, che non sono imputabili, in caso di prospettazione di reati con pene a partire dai 5 anni, così come il Daspo Urbano e l’avviso orale che vengono estesi anche ai maggiori di 14 anni.
E ancora l’abbassamento dai 9 ai 6 anni della pena massima per procedere con il fermo, l’arresto e la custodia cautelare dei maggiori di 14 anni, che viene prevista anche per ulteriori e specifiche ipotesi di reato, come la resistenza a pubblico ufficiale, e l’equiparazione dei minori agli adulti per quanto concerne l’applicazione delle misure cautelari, con l’estensione del requisito del “pericolo di fuga”.
Viene, inoltre, aumentata la pena per il reato di spaccio di stupefacenti, nei casi di lieve entità, che passa da un massimo di quattro anni a un massimo di cinque anni di pena edittale, sia per minorenni che per i maggiorenni, consentendo così l’arresto obbligatorio in flagranza e la possibilità di applicazione della custodia cautelare in carcere, prima esclusi.
Tutte misure altamente criminogene che non faranno altro che aumentare il numero della popolazione detenuta, così come già riferito dal rapporto di Antigone sulla giustizia minorile, che sottolinea, come dopo l’approvazione del DL Caivano, nei primi mesi del 2024, siano già 500 i minori detenuti.
E ciò appare ancor più preoccupante se si considera che viene introdotta la possibilità per il direttore di un istituto penitenziario, in alcune determinate ipotesi, di richiedere al magistrato di sorveglianza il nulla osta al trasferimento dall’istituto minorile al carcere per adulti, nei confronti del detenuto di età compresa tra 18 e 25 anni che abbia commesso il reato da minorenne.
Si privano così i minori e i giovani adulti delle tutele che venivano garantite negli istituti a loro riservati – ossia gli IPM nei quali possono restare fino al 25esino anno di età se il reato era stato commesso da minori – e aumentando notevolmente il rischio che si ritrovino nelle case di reclusione per adulti, che presentano, come noto, problemi di sovraffollamento, di mancanza di risorse per processi di reinserimento sociale, di maggiore violenza, di rischio suicidio ecc. da cui i minori dovrebbe essere tutelati.
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