OPINIONI
Centinaia di intellettuali ebrei statunitensi: «La critica a Israele non è antisemitismo»
Un gruppo di intellettuali ebrei statunitensi denuncia la scorrettezza dell’affermazione secondo cui criticare Israele è antisemita. La lettera ha raccolto in pochi giorni centinaia di adesioni. Dopo che diverse testate statunitensi, su consiglio dei loro legali, ne hanno rifiutato la pubblicazione, è stata pubblicata sul sito n+1 (e tradotta in italiano da Volere la Luna, da cui lo riprendiamo).
Questo documento non ha soltanto un grande valore politico, ma un profondo significato spirituale, per il forte riferimento alla giustizia come risvolto secolare e immanente della riparazione del mondo, che nient’altro è che la ricomposizione dell’infranto della teologia cabbalistica palestinese di Yitzak Luria, cosi cara nel nostro tempo a Walter Benjamin. Ebbene al entro di questa riparazione del mondo, dei suoi vasi infranti, viene posto il riconoscimento dei diritti e della vita dei palestinesi – e questo è qualcosa di più della stessa condanna dei crimini di guerra e degli intenti genocidi. [ndr]
Siamo scrittori, artisti e attivisti ebrei che desiderano contestare la narrazione diffusa secondo cui qualsiasi critica a Israele è intrinsecamente antisemita. Israele e i suoi difensori hanno a lungo usato questo espediente retorico per mettere Israele al riparo dalle sue responsabilità, per dare copertura morale agli investimenti miliardari degli Stati Uniti a sostegno dell’esercito israeliano, per oscurare la realtà mortale dell’occupazione e per negare la sovranità palestinese. Ora questo insidioso bavaglio alla libertà di parola viene utilizzato per giustificare i bombardamenti dell’esercito israeliano su Gaza e per delegittimare le critiche della comunità internazionale.
Noi condanniamo tutti i recenti attacchi contro i civili israeliani e palestinesi e piangiamo la perdita di vite umane. E siamo addolorati e inorriditi nel vedere la lotta all’antisemitismo usata come pretesto per crimini di guerra dal dichiarato intento genocida.
L’antisemitismo è una parte dolorosa del passato e del presente della nostra comunità. Le nostre famiglie sono sfuggite a guerre, molestie, pogrom e campi di concentramento. Abbiamo studiato la lunga storia di persecuzione e violenza contro gli ebrei e prendiamo sul serio l’antisemitismo attuale che mette a rischio la sicurezza degli ebrei in tutto il mondo. Lo scorso ottobre è stato il quinto anniversario del peggior attacco antisemita mai commesso negli Stati Uniti: l’assassinio, nella sinagoga di Tree of Life – Or L’Simcha a Pittsburgh, di 11 fedeli da parte di un uomo armato che sosteneva teorie complottiste sulle colpe degli ebrei per l’arrivo dei migranti centroamericani, disumanizzando così entrambi i gruppi. Rifiutiamo l’antisemitismo in tutte le sue forme, anche quando si maschera da critica al sionismo o alle politiche di Israele. Ma rileviamo che, come ha scritto il giornalista Peter Beinart nel 2019, «l’antisionismo non è intrinsecamente antisemita, e sostenere che lo sia sfrutta la sofferenza ebraica per cancellare l’esperienza palestinese».
Troviamo questo espediente retorico antitetico ai valori ebraici, che ci insegnano a riparare il mondo, a mettere in discussione l’autorità e a difendere gli oppressi dagli oppressori. È proprio a causa della dolorosa storia dell’antisemitismo e delle lezioni dei testi ebraici che sosteniamo la dignità e la sovranità del popolo palestinese. Rifiutiamo la falsa alternativa tra la sicurezza degli ebrei e la libertà dei palestinesi, tra l’identità ebraica e la fine dell’oppressione dei palestinesi. Crediamo, infatti, che i diritti degli ebrei e dei palestinesi vadano di pari passo. La sicurezza di ciascuno dei due popoli dipende dall’altro. Non siamo certamente i primi a dirlo, e ammiriamo coloro che hanno dato forma a questa linea di pensiero pur in presenza di tanta violenza.
La confusione tra l’antisemitismo e la critica di Israele o del sionismo ha delle ragioni precise. Per anni, decine di paesi hanno sostenuto la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance. La maggior parte degli 11 esempi di antisemitismo in essa contenuti riguarda giudizi sullo Stato di Israele e alcuni di essi limitano di fatto l’ambito delle critiche accettabili. Inoltre, la Lega Anti-Defamation classifica l’antisionismo come antisemitismo, nonostante i dubbi di molti dei suoi stessi esperti. Queste definizioni hanno favorito l’intensificarsi delle relazioni del Governo israeliano con forze politiche di estrema destra e antisemite, dall’Ungheria alla Polonia agli Stati Uniti e oltre, mettendo in pericolo gli ebrei della diaspora. Per contrastare queste definizioni generiche, un gruppo di studiosi dell’antisemitismo ha pubblicato, nel 2020, la Dichiarazione di Gerusalemme, che offre linee guida più specifiche per identificare l’antisemitismo e distinguerlo dalla critica e dal dibattito su Israele e sul sionismo.
Le accuse di antisemitismo di fronte alla minima obiezione alla politica israeliana hanno a lungo permesso a Israele di mantenere in vita un regime che organizzazioni per i diritti umani, studiosi, giuristi e associazioni palestinesi e israeliane hanno definito di apartheid. Queste accuse hanno un effetto spaventoso sulla nostra politica. Ciò ha comportato la soppressione politica dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, dove il Governo israeliano confonde l’esistenza stessa del popolo palestinese con l’odio per gli ebrei di tutto il mondo. Nella propaganda interna rivolta ai propri cittadini e in quella esterna rivolta all’Occidente, il Governo israeliano afferma che le rivendicazioni dei palestinesi non riguardano la terra, la mobilità, i diritti o la libertà, ma piuttosto l’antisemitismo. Nelle ultime settimane, i leader israeliani hanno continuato a strumentalizzare la storia del trauma ebraico per disumanizzare i palestinesi. Nel frattempo, degli israeliani vengono arrestati o sospesi dal lavoro per post sui social media in difesa di Gaza e giornalisti israeliani temono conseguenze per aver criticato il loro governo.
Definire tutte le critiche a Israele come antisemite, inoltre, schiaccia, nell’immaginario collettivo, il popolo ebraico su Israele. Nelle ultime due settimane negli Stati Uniti, abbiamo visto sia democratici che repubblicani difendere l’identità ebraica sulla base del sostegno a Israele. Una lettera molto vaga firmata da decine di personalità e pubblicata il 23 ottobre ha riproposto il Presidente Biden come sostenitore del popolo ebraico sulla base del suo appoggio a Israele. La 92NY, nel rinviare un evento con l’autore Viet Thanh Nguyen, che aveva firmato una lettera in cui chiedeva la fine degli attacchi di Israele a Gaza, ha sottolineato la propria identità di “istituzione ebraica”. Come altri hanno osservato, i tentativi di contestualizzare gli attacchi del 7 ottobre sono visti come negazione della sofferenza ebraica piuttosto che come necessari strumenti per comprendere e porre fine alla violenza.
L’idea che tutte le critiche a Israele siano antisemite diffonde la visione che palestinesi, arabi e musulmani siano intrinsecamente sospetti, agenti dell’antisemitismo finché non affermano esplicitamente il contrario. Dal 7 ottobre, i giornalisti palestinesi hanno dovuto affrontare una repressione senza precedenti. Un cittadino palestinese di Israele è stato licenziato dal lavoro in un ospedale israeliano per un post su Facebook del 2022 che citava il primo pilastro dell’Islam. I leader europei hanno vietato proteste a favore della Palestina e criminalizzato l’esposizione della bandiera palestinese. A Londra, un ospedale ha tolto dei disegni realizzati da bambini di Gaza dopo che un gruppo pro-Israele ha affermato che essi facevano sentire i pazienti ebrei «vulnerabili, molestati e vittimizzati». Persino dei disegni di bambini palestinesi vengono associati a un’allucinazione di violenza.
I leader statunitensi alimentano ulteriormente la confusione schiacciando la tutela della sicurezza degli ebrei sul finanziamento militare incondizionato e costante di Israele, senza alcuna intenzione di fare la pace. Il 13 ottobre, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha diffuso una nota interna per esortare i funzionari a non utilizzare espressioni come “de-escalation/cessate il fuoco”, “fine della violenza/spargimento di sangue” o “ripristino della calma”. Il 25 ottobre, Biden ha messo in dubbio il numero di morti palestinesi e lo ha definito il “prezzo” della guerra di Israele. Questa logica crudele continuerà a favorire l’antisemitismo e l’islamofobia. Il Dipartimento di Sicurezza Nazionale si sta preparando a fronteggiare un aumento dei crimini d’odio contro ebrei e musulmani, che è già iniziato.
Per ciascuno di noi, l’identità ebraica non è un’arma da brandire nella lotta per il potere dello Stato, ma una fonte di saggezza che dice: “Giustizia, giustizia, perseguirai” (Tzedek, tzedek, tirdof). Ci opponiamo allo sfruttamento del nostro dolore e al silenzio dei nostri alleati.
Chiediamo un cessate il fuoco a Gaza, una soluzione per il ritorno sicuro degli ostaggi trattenuti a Gaza e dei prigionieri palestinesi in Israele e la fine dell’occupazione israeliana. Chiediamo inoltre ai governi e alla società civile degli Stati Uniti e dell’Occidente di opporsi alla repressione del sostegno alla Palestina. E ci rifiutiamo di permettere che tale sostegno, urgente e necessario, vengano represso in nostro nome. Quando diciamo “mai più”, lo diciamo sul serio.
2 novembre 2023
Leah Abrams, scrittore
Tavi Gevinson, scrittore e attore
Rebecca Zweig, scrittrice e regista
Nan Goldin, artista e attivista
Naomi Klein
Tony Kushner, scrittore
Deborah Eisenberg, scrittrice
Sarah Schulman, scrittrice
Vivian Gornick
Annie Baker, drammaturgo e regista
Hari NeIf, attore e scrittore
Judith Butler, scrittrice
seguono centinaia di altre firme.
La traduzione dall’inglese è stata curata dalla redazione di Volere la Luna, che ha pubblicato la versione intregrale in italiano, che riprendiamo sul nostro sito.
Immagine di copertina da Flickr di Jewish Voice for Peace