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MONDO

Verso il ballottaggio in Argentina: la politicizzazione femminista e le elezioni

Mancano poche ore al ballottaggio tra il candidato peronista Sergio Massa e l’estrema destra di Javier Milei, sostenuto anche da Macri. Al momento i sondaggi indicano la massima incertezza su chi dei due potrà diventare il prossimo presidente. Una analisi della contesa elettorale da una prospettiva femminista

Ogni analisi elettorale è un esercizio retroattivo (nel senso che è ogni volta più distante dall’esercizio predittivo dei sondaggi). Si tratta di creare una costellazione di elementi e costruire una relazione. Scoprire quelli che hanno operato molte volte sotto i radar per poi irrompere nelle urne. Ogni analisi elettorale cerca di svelare le relazioni sotterranee di questi elementi, le loro risonanze incrociate, per costruire un senso, una linea di interpretazione (che è sempre una linea di relazioni di forza). Qui diventa centrale anche l’immaginazione politica.

Non come modo di inventare ciò che non esiste, ma come modo di comprendere ciò che esiste da un’altra prospettiva. Solo così si aprono altre possibilità (di interpretazione, di azione, di forze). In qualche modo si tratta di un metodo anti-tiraposta, che è la ricerca disperata di un tratto della questione che possa monopolizzare l’argomentazione. Tiraposta: dicesi di quell’analisi che si sposta di volta in volta da un elemento principale all’altro. Per cui, per esempio, i risultati delle primarie si spiegano per l’inflazione; poi, invece, nelle elezioni del 22 ottobre, scompare il fattore economico per spiegare il voto. Dopo anni di accumulazioni di crisi del sistema politico (un tratto che persiste dal 2001, che continua a segnare la sua irrimediabile attualità), è ormai chiaro che i voti non si spiegano solamente per quello che succede “dall’alto”. Certo ci sono accordi, ci sono apparati politici, ci sono partiti, è ovvio. E nonostante questo, tale modo di rendere una lettura consistente non è sufficiente. Non è solo che la “svolta affettiva” delle scienze sociali ha raggiunto le previsioni elettorali che oggi devono sofisticare i metodi per rilevare i sentimenti del pubblico, le propensioni emotive e tutta la volatilità che non si aggrappa a identità di partito inamovibili.

Crediamo si tratti di qualcosa di più radicale: la dimensione affettiva adesso è politica in termini nuovi. Perché le soggettività sono attraversate da dinamiche di consumo, forme di guadagnarsi da vivere, da strategie di sopravvivenza e di violenze dirette che rendono la dimensione affettiva una forza produttiva e non solamente un fattore laterale o di circostanza. Ora la dimensione affettiva è politica perché deve confrontarsi giorno dopo giorno con quella macchina di produzione di insicurezza che è il neoliberismo.

Ora la dimensione affettiva è politica in modo diverso perché* è ormai evidente, dopo la pandemia in particolare, fino a che punto la cura e la salute mentale sono elementi materiali di una vita collettiva sempre più fragile. Qui è dove le spiegazioni economiche e politiche non possono essere comprese come fossero separate (argomentando, per esempio che nelle Primarie ha vinto l’economia e nel primo turno la politica).

La politica non è più autonoma da una razionalità economica che si confronta con la precarietà giorno dopo giorno. Non è una memoria identitaria che si eleva al di sopra del proprio portafogli. Troppa nostalgia verso la solidità svanita nell’aria che ogni tanto sembra riapparire come un puzzle misterioso e resiliente. La memoria politica, in ogni caso, è anche un oggetto di contesa e molteplici riattivazioni e non una risorsa ultima di antiquariato.

Foto di Valentina Fusco

La politicizzazione femminista in Argentina è stata decisiva nello smantellare questo binarismo tra politica ed economia; tra attualità e memoria, e nel coniugare interpretazioni micropolitiche con fenomeni di massa. Ci spieghiamo: in questi ultimi otto anni, la politicizzazione femminista ha lavorato per rendere la sensibilità rispetto ai fenomeni quotidiani e alle forme di sostegno della vita in contesti di violenza un cantiere di analisi politica e di articolazioni con capacità di intervenire nella congiuntura politica. La politicizzazione femminista è stata decisiva nella composizione di memorie che ha alterato addirittura il racconto della transizione democratica, connettendo calendari e momenti che molte volte sono rimasti abbandonati sugli scaffali della marginalità storica.

C’è stata una rottura con il fenomeno Ni Una Menos e con la Marea Verde che è al tempo stesso locale, nazionale e globale. Sappiamo che Milei è un rappresentante locale di una saga planetaria di leadership di estrema destra. È sufficiente vedere la campagna portata avanti dal giornalista di Trump, Tucker Carlson, e l’abbraccio stretto con la famiglia Bolsonaro. Nonostante questo, ci sono due questioni che situano la franchigia argentina dell’estrema destra transnazionale su un terreno singolare in cui muoversi: l’importanza di un movimento femminista trasversale e di massa – presente dentro e fuori le organizzazioni sociali e politiche, che si muove nelle strade e nelle urne – e la crisi economica segnata dalla coppia debito e inflazione. Sono punti salienti che modificano la fisionomia del fenomeno. E sono punti salienti che hanno richiamato l’attenzione del mondo sulle elezioni argentine. E che svolgono anche un ruolo nello spiegare il sollievo – momentaneo, almeno – di aver frenato durante il primo turno la via verso il successo che – sia i propri facenti parte del progetto che di altri – già auguravano alla coalizione “La Libertad Avanza”.

Questa congiunzione è ciò che chiamiamo politicizzazione femminista: un modo per rendere visibile la crisi nei modelli patriarcali di costruire le relazioni e un modo di connetterla con la crisi economica che democratizza sempre di più la svalutazione delle entrate economiche e le molteplici giornate di lavoro informalizzato, o piuttosto formali ma insufficienti in quanto alla remunerazione.

Torniamo quindi al punto: come non mettere sotto un tappeto la disperazione economica della precarietà di ogni giorno assieme alla politicizzazione femminista nel momento in cui analizziamo la rimonta (certamente al tempo stesso contundente e contestuale)? Non sarebbe meglio approfondire e comprendere l’articolazione tra questi due elementi – economia quotidiana e femminismo – piuttosto che respingerli o subordinarli?

Richiama l’attenzione il fatto che al momento di indagare la crescita elettorale della destra le analisi tendono a trovare figure “soggettive” che spieghino questo cambiamento: il rider, il migrante imprenditorie che sogna la convertibilità, il giovane streamer fobico dopo la pandemia, e così via. Ma nel momento in cui si tratta di spiegare la “svolta” elettorale che ha permesso a Massa di avere sette punti percentuali di vantaggio al primo turno, le analisi tornano a insistere sul campo dell’omogeneità: si è “svegliato” il peronismo, “la gente” ha avuto paura, “l’apparato” ha fatto la sua parte, è andato a votare “il conurbano” [area metropolitana di Buenos Aires, principale distretto elettorale del paese con oltre il 30% dei votanti, bacino storico di voti del peronismo, ndt].

Ma cosa succede se quando diciamo “peronismo” e “conurbano” parliamo anche dell’infaticabile militanza territoriale delle compagne che sono andate casa per casa chiamando  a discutere figure soggettivamente coinvolte nei processi di politicizzazione femminista e in alcune lotte che hanno generato anticorpi di fronte alla crudeltà neoliberista e alla sua via di uscita reazionaria di fronte alla precarietà. O quando diciamo “la gente” ha avuto paura, rendiamo visibili le sensibilità che sono state toccate a partire da migliaia di di iniziative e campagne realizzate in modo autogestito con un chiaro appello rivolto alle figure di “madri”, “nonne” e “ragazze” che affrontano le violenze che sono già presenti nelle scuole, nei quartieri o nelle piazze. Nella paura c’è comunque molta informazione politica: non si tratta di un affetto che possiamo sminuire, naturalizzare né, ancor meno, depoliticizzare. 

Questo ci eviterebbe di ricadere nella premessa che l’estrema destra funziona meglio nel cesellare le singolarità e che le proposte contro la destra dovrebbero basarsi sul richiamo all’indifferenziato collettivo. Le figure soggettive, utilizzate unilateralmente per la spiegazione del voto dell’estrema destra, sarebbe qualcosa come esemplari deviati, un insieme di “vite infami” che sono cresciute in modo selvaggio e per cui occorrerebbero descrizioni etnografiche per comprenderle solamente nel momento in cui bisogna spiegare l’estrema destra. Inutile dire che nelle analisi di questi giorni sembrano scomparsi “i giovani” e i “precari” che fungevano da figure del “nuovo” e che arrivavano a ignorare la memoria politica di un’Argentina democratica.

La nostra proposta è quella di discutere una prospettiva di analisi differente. Proponiamo una “costellazione” di elementi che, dal nostro punto di vista, hanno avuto un ruolo fondamentale rispetto alla rimonta nelle urne durante il primo turno, nel modo in cui la precoce sensazione di vittoria dell’estrema destra pretendeva chiudere la partita al primo turno.

Proponiamo mettere in evidenza il lavoro di scontro politico sui media, nelle case e nelle strade che a partire dal 14 agosto si è attivato come campo di battaglia. Concretamente, ci interessa approfondire la riflessione su come si è prodotta questa attivazione sensibile e politica che ha avuto nel voto delle donne e della popolazione lgbtqi (e non solamente) un freno a mano decisivo di fronte al pericolo della distruzione collettiva che nelle parole di Milei, Villarruel, Marra e Lemoine è diventato esplicito in modo estremo.

Torniamo allora a questo esercizio retroattivo. Torniamo a comprendere un modo di attivazione politica che ha portato voti e ha occupato le strade e il dibattito pubblico. Ad analizzare una serie di elementi che hanno in comune l’essere andati oltre la proposta di un certo know how esperto che diceva fosse meglio non scontrarsi apertamente, meglio non creare antagonismi su temi controversi, meglio nascondere il femminismo perché potrebbe irritare i potenziali votanti dell’estrema destra.

Primo punto. Frenare la crudeltà: femminicidi e porto d’armi

La proposta di Milei di liberalizzare il porto d’armi vorrebbe essere il modello della guerra di tutti contro tutti, per catturare la grande preoccupazione dei cittadini rispetto all’insicurezza. Nonostante questo, tutto quel che ci si aspettava esplodesse come polvere da sparo – per sottolineare l’ovvietà della metafora come “novità” della campagna elettorale – è stato smentito dalla preoccupazione delle madri. La proposta che i ragazzini vadano a scuola con le armi – perché l’appello era sempre rivolto ai maschi, occorre ricordarlo per quanto sembri ovvio – gli si è ritorta contro. Potremmo aggiungere che è una preoccupazione che attraversa il dibattito sui femminicidi. Come hanno studiato Aldana Romano e Julián Alfie, entrambi membri del INECIP (Istituto di Studi Comparati delle Scienze Sociali e Penali): il 97% delle persone registrate per il porto d’armi sono uomini e 1 ogni 4 femminicidi è commesso con armi da fuoco. La negazione dell’esistenza dei femminicidi da parte di Milei nel secondo dibattito elettorale non solamente ha negato questa realtà, ma ha anche creato allarme in tutte quelle donne che dal 2015 hanno fatto di questa questione una rivendicazione generalizzata. La scommessa sul fatto che la richiesta di più sicurezza che oggi preoccupa la maggioranza delle persone si declinasse nella forma del libero porto d’armi non ha funzionato. È stato fermato e il suo pericolo è stato avvertito da un’inaspettata figura transclassista: le madri e le donne che continuano a essere testimoni dell’orrore che viviamo nel nostro Paese con un femminicidio ogni 29 ore nel 2023. La politicizzazione della violenza nelle case ha portato risultati nelle urne.

Due. Le famiglie realmente esistenti: deresponsabilizzazione su paternità e alimenti

Il progetto di legge di Lila Lemoine, deputata della coalizione La libertad Avanza [estrema destra di Milei] che prevede la possibilità di “notificare” ai padri la propria gravidanza per dargli l’opzione di riconoscere la paternità ha generato un’andata di indignazione di massa che ha attraversato le discussioni in molti ambiti. Che riflesso sensibile si è attivato ed è cresciuto nella politicizzazione femminista che si compone di militanza territoriale nelle organizzazioni, discussioni, assemblee ma anche politiche pubbliche?

Il processo di politicizzazione della maternità – cioè: il processo per cui i femminismi mettono in discussione il legame tra la maternità e la povertà in un momento in cui le case monoparentali diventano la maggioranza – ha le sue radici nella militanza di molti collettivi a fronte della mancanza di responsabilità sugli alimenti (una forma di rinuncia alla paternità di fatto) e anche nella lotta contro l’ultra-indebitamento di chi combina lavori senza remunerazione con lavori mal pagati.

Lo sappiamo; le donne si indebitano per vivere e sostenere le loro famiglie, si impoveriscono e si sovraccaricano di lavoro. Questi processi sono riconosciuti dalle politiche pubbliche come quelle portate avanti dal “Ministero delle donne, politiche di genere e diversità sessuale” della Provincia di Buenos Aires, che ha presentato nel 2022 un primo censimento che ha fornito dati sconvolgenti: quasi 7 padri su 10 non rispettano il pagamento degli alimenti o lo fanno in modo irregolare. Anche l’incorporazione da parte dell’INDEC dell’“indice di cura” – ovvero, il costo della cura – una politica della Direzione di Economia e Genere del Ministero dell’Economia della Nazione, è diventato uno strumento (sociale e giudiziario) per spiegare come la povertà è femminilizzata.

Qui abbiamo nuovamente una questione chiave: si tratta di un vocabolario e di una serie di lotte femministe che hanno messo il dito nella piaga su come la precarietà si combina con un regime morale e con il mandato di genere, che colpiscono in modo esponenziale le donne. Segnalare che essere madre viene penalizzato dalla condizione di povertà è un altro modo di dare una immagine altra della libertà: libertà significa poter essere madri senza che questo significhi essere povere e non la libertà patriarcale di deresponsabilizzarsi della cura e del sostegno dei figli.

Tre. Il sottosuolo ribelle della cura

Nello stesso senso potremmo parlare della negazione della differenza salariale che Milei rivendica. Questo divario di genere è evidente anche quando si cerca di affittare una casa, quando si cerca lavoro, quando si dedicano tutte le proprie energie per sostenere una mensa comunitaria o uno spazio per bambini o piuttosto quando ci si prende cura di un familiare ammalato. Questo lavoro di cura, come già abbiamo segnalato, ha assunto nella pandemia uno spessore drammatico. Non sono ha riguardato i cosiddetti lavori essenziali, ma è diventato una strumento per far sì che ciò che il movimento femminista denunciava da tempo diventasse senso comune nell’emergenza.

Questa lista potrebbe ampliarsi ancora. E potremmo connetterla con i dibattiti sull’istruzione pubblica e l’educazione sessuale integrale, il negazionismo del terrorismo di Stato e la vendita degli organi, tra le altre cose. Ma ci siamo voluti incentrare su queste tematiche che secondo qualche referente intellettuale di moda solo riguarda solo una “microeconomia dentro le porte di casa”, per mostrare proprio come queste porte hanno smesso di essere chiuse e di come gli aspetti micro siano un modo di essere capillare che permette di spiegare fenomeni che riguardano milioni di persone.

Quando la centralità dell’economia domestica – la principale cassa di risonanza dell’inflazione – è scartata come ambito di politicizzazione e conflittualità concreta, ci perdiamo troppe informazioni. Ovviamente è facile dare la colpa al femminismo della frustrazione dei giovani uomini di fronte a un futuro ostile e. alla fine, banalizzare l’agenda delle lotte per i diritti sessuali e riproduttivi come se fossero dei lussi stravaganti.

Ci interessa, al contrario, aggiungere al dibattito come il femminismo – in quanto movimento che è intervenuto effettivamente, ripetiamo, nelle strade e nelle urne – possiede un capitale politico che si cerca di rendere invisibile ancora una volta e che senza dubbio ha la possibilità di attivare una serie di sensibilità che si traducono in battaglie concrete. È stato così che sono state messe a disposizione immagini e frasi sulla libertà collettiva e democratica che sono entrate in competizione con il terrorismo finanziario della svalutazione rispetto al dollaro e l’utopia reazionario degli uomini armati.

Verónica Gago è rcercatrice indipendente del CONICET, docente, editrice e militante femminista; Luci Cavallero è docente e militante femminista popolare.

Articolo pubblicato su Le Monde Diplomatique. Traduzione in italiano di Alioscia Castronovo per DinamoPress.

Immagine di copertina di Valentina Fusco. Immagini nell’articolo della campagna di Ni Una Menos verso le elezioni, azione globale del 28 settembre, grafiche di Sol Gey @Solgey