approfondimenti
EUROPA
La silenziosa Rotta Balcanica e la tutela dei diritti umani
Le strade della migrazione non passano solo via mare. Migranti provenienti da paesi extra-UE intraprendono viaggi pericolosi e affrontano sfide inimmaginabili. Urgente è la necessità di una vera politica migratoria che tuteli i diritti umani internazionali.
Le rotte migratorie non sono solo numeri o statistiche, ma coinvolgono vite umane, ciascuna con la propria storia e motivazione. Le strade delineate dalle persone in movimento rappresentano una sfida geopolitica complessa, con implicazioni sociali, economiche e umanitarie che richiedono attenzione e competenza. Bisogna guardare oltre i titoli sensazionalistici e affrontare il tema della migrazione in modo completo, considerando tutte le rotte e le sfide uniche che la migrazione implica.
I flussi migratori si sviluppano attraverso una complessa rete di rotte in continuo cambiamento, che comprendono sia percorsi marittimi che terrestri. Mentre alcune persone cercano rifugio e opportunità attraverso il mare, altre si affidano a vie terrestri altrettanto pericolose. È importante far notare che la migrazione via mare nel Mediterraneo è solo una parte della complessa rete di rotte migratorie che attraversano il continente europeo. La Rotta Balcanica è meno conosciuta ma altrettanto significativa. Quest’ultima continua a essere uno dei principali corridoi di ingresso nell’Unione Europea, chi arriva passa per l’Iran e la Turchia.
Alcuni arrivano in Grecia, altri in Bulgaria, da dove inizia la Rotta Balcanica. Solitamente partono dalla Macedonia del Nord per poi transitare tra i numerosi paesi della penisola balcanica, tra cui Serbia, Ungheria, Bosnia-Erzegovina e Croazia. Le persone in transito provengono principalmente dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Turchia (Kurdistan), dall’India, dal Bangladesh e dalla Siria.
Il punto di partenza del reportage parte dalla Serbia: Belgrado, Obrenovac poi verso Nord, Subotica e la foresta di Selevenjske-Pustare. Si prosegue poi in Bosnia verso Bihać, dove si incontrano le tracce degli invisibili negli squat. Poco lontano si va nel campo di Vučjak, quest’ultimo rimasto attivo fino al 2020 e attualmente diventato un campo boschivo abbandonato.
Silvia Maraone, esperta di Balcani e migrazione lavora per IPSIA Acli come coordinatrice internazionale a tutela dei rifugiati, ci spiega: «A differenza degli anni passati, i migranti sostano sempre meno nei paesi di transito e il loro passaggio è veloce, rimanendo in media un paio di giorni prima di ripartire. Pertanto, è difficile tracciarne una mappa precisa»
A Belgrado i migranti si trovano all’interno della centralissima ex-stazione e nel parco adiacente. Nel retro dell’ex-stazione c’è una stanza che sembra più una camera degli orrori che un rifugio. Le persone ci dormono, mangiano e cercano riparo dalle minacce esterne, sicuramente ben peggiori dalle condizioni umilianti nelle quali si ritrovano a vivere.
Nel Parco Luke Ćelovića, chiamato anche il Parco degli afghani, a pochi passi dalla stazione ferroviaria le persone in transito sono facilmente identificabili per il loro aspetto: zaini, buste di plastica, calzature consumate o a basso costo. Incontriamo alcuni uomini e ci dicono che preferiscono stare fuori dai campi e collegarsi alla rete Wi-Fi per ottenere informazioni sui loro prossimi passaggi e contattare gli affetti. Accanto al kebabbaro c’è una postazione Western Union dove prelevano il denaro utile per proseguire il loro percorso: a mandarglieli sono le corrispettive famiglie dai paesi di partenza oppure amici già in Europa, con cui si indebitano.
Si parte per il campo formale di Obrenovac, gestito da Governo e EU, a 30 km a sud-ovest da Belgrado. Non si possono contare quante persone ospiti, ci stanno per poco, due o tre giorni, il tempo per riprendersi e ripartire. Il flusso cambia a seconda del meteo, delle reazioni imprevedibili della polizia e del loro stato emotivo.
A Obrenovac arrivano molti minori non accompagnati, dai 10 ai 15 anni. La loro forma di porsi, la loro pelle segnata e il viso indurito darebbero a pensare che sono molto più grandi di quello che in realtà sono. Invece, per parafrasare Kafka, questi minori sono appena nati ma escono già per le strade e parlano con la gente. Si capisce che non sono figli dell’Europa proprio dalla loro esperienza del mondo, dal disincanto dello sguardo e dall’intelligenza pragmatica. Sono però pur sempre dei bambini che attraversano confini senza alcuna tutela e per quanto non possano ammetterlo ad alta voce nel loro volto trapela la paura e il senso di abbandono.
Sul marciapiede cammina un bambino che ha sulla maglietta scritto “VIVE”. A bassa voce e timidamente racconta di essere lì completamente solo. Mentre mostra le sue ferite confessa con imbarazzo di avere fame, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi. Tutto questo davanti a un centro migranti finanziato dall’UE.
A Subotica, verso il confine con l’Ungheria c’è un altro campo formale, anche qui la maggior parte delle persone preferisce stare fuori dai cancelli. Molti sono in attesa dei tassisti che li porteranno vicino al confine. Il viaggio verso l’Europa è frammentario e rischioso, ci si muove tramite bus, taxi, imbarcazioni e a piedi. Un viaggio medio costa 10.000 euro a persona, senza alcuna garanzia. I costi in questi ultimi tre anni sono aumentati.
A spiegare la dinamica del percorso sono due famiglie kurde che aspettano la telefonata dello zio che dirà a loro il percorso migliore e più conveniente, sarà direttamente lui a pagare chi si occuperà della logistica degli spostamenti. In questo campo molti sono i minori non accompagnati, che volta per volta, a seconda del percorso da fare, identificano una persona di riferimento. Essi non hanno altra possibilità che credere nella fortuna e affidarsi al loro istinto.
Ad affrontare la domanda sui bambini non accompagnati è Ghulam, un giovane uomo di origine pakistana, dice «Ci sono molti bambini qui, davvero tanti. È molto difficile per loro perché sono nelle mani di contrabbandieri e la possibilità che muoiano per strada è molto alta. Ho visto un bambino morire da solo sulla strada per l’Ungheria». I minori non accompagnati sono esposti a diversi pericoli, spesso preda di reti criminali che li costringono a lavori forzati, prostituzione o altre forme di sfruttamento, con conseguenze fisiche e psicologiche a lungo termine.
Le cause per cui viaggiano soli possono essere diverse, tra cui la povertà, la crisi climatica e la mancanza di opportunità economiche spingono le famiglie a cercare una vita migliore altrove. Per quanto possa sembrare disumano i genitori riescono a investire per fare migrare solo un figlio, sperando poi successivamente in un ricongiungimento. l bambini in aree colpite dalla violenza e dai conflitti armati sono spesso costretti a fuggire per salvarsi la vita. La guerra e la violenza familiare possono spingere i bambini a cercare rifugio altrove.
Un altro aspetto devastante dell’esperienza dei bambini migranti non accompagnati è il profondo senso di perdita e abbandono che spesso provano. Questi giovani si separano spesso dalle loro famiglie a causa di conflitti, guerre o disastri naturali. Il trauma li accompagna lungo tutto il loro percorso.
Inoltre, una volta arrivati in Europa, molti di questi bambini sono disorientati. Senza famiglia o un sistema di supporto emotivo, si trovano a dover affrontare le sfide della migrazione da soli, aumentando il loro senso di abbandono e vulnerabilità.
Nonostante le sfide travagliate che affrontano, molti bambini migranti non accompagnati mantengono un profondo desiderio di speranza e un’incredibile resilienza.
Dopo una giornata di pioggia, si ritorna al campo di Subotica per verificare le condizioni delle persone incontrate poco prima, la preoccupazione va verso le famiglie con neonati e minori. La scena notturna è spaventosa, con le persone illuminate dai fari delle auto mentre si scambiano mazzette di banconote in sacchetti di plastica. I tassisti pagano la polizia o l’esercito per poter proseguire con il loro lavoro, ovvero accompagnare i migranti per pochi kilometri fino al confine più vicino. Queste dinamiche rendono il viaggio dei migranti ancora più pericoloso, esponendoli ad abusi e rischi maggiori.
I taxi portano le persone in transito vicino alla foresta di Selevenjske-Pustare, che confina con Horgoš. Gli autisti corrono superando di gran lunga la velocità consentita, spesso provocando incidenti mortali. Selevenjske-Pustare sulla carta è una riserva naturale diventata nei fatti il confine tra Serbia e Ungheria che le persone in transito superano durante la notte.
Sul confine serbo-ungherese c’è una violenta caccia ai migranti, i quali vengono maltrattati, ostacolati ed espulsi dal nord al sud, verso il confine della Macedonia e il Kosovo. Negli ultimi anni, la rotta balcanica è stata testimone di una crescente forma di violenza inflitta ai migranti ai confini. Le leggi sull’immigrazione in Europa anziché dare soluzioni, hanno fatto diventare i paesi di transito dei veri e propri campi profughi. Le persone si ritrovano a vivere in squat, jungle camp, foreste e case abbandonate tra uno stato e un altro lungo i loro confini.
Il confine Serbo-Ungherese è teatro di violenza e brutalità da parte delle forze dell’ordine nei confronti delle persone in movimento. É particolarmente difficile anche solo aiutare le persone che cercano di arrivare in Ungheria: attivisti, organizzazioni non governative e associazioni di volontariato si trovano spesso a fronteggiare intimidazioni da parte delle forze dell’ordine, comprese le unità speciali serbe. Attivisti e volontari che distribuiscono cibo, acqua, coperte o forniture mediche lungo i percorsi migratori vengono regolarmente accusati di favorire il passaggio illegale dei migranti. In alcuni casi, le leggi contro la solidarietà possono comportare pesanti sanzioni penali, comprese pene detentive.
Occorrerebbe una vera politica migratoria, distribuire ad esempio le persone in arrivo tra i singoli paesi UE. Erogare i cosiddetti visti umanitari, per lavoro, visti per studio o visti sanitari. In modo da non far perdere alle persone in cammino anni di vita e ai bambini anni anche di istruzione. Non ci sarebbero tutti i traumi derivanti dal viaggio e le numerose violenze ai diritti umani.
Questo reportage si conclude con i corpi speciali dell’esercito serbo e la polizia che puntano pistole e mitra alla fotoreporter impegnata a documentare il passaggio dei migranti lungo la rotta balcanica.
Questa immagine offre solo un piccolo esempio del trattamento che molti migranti afghani, pakistani, curdi, indiani e bengalesi affrontano durante il loro viaggio verso una vita migliore.
Rappresenta nel contempo in modo emblematico le diseguaglianze e le disparità presenti nella rotta migratoria balcanica. Il privilegio del passaporto europeo si svela in tutta la sua crudele evidenza quando si confronta con la realtà che molte persone in transito che arrivano da paesi extra-UE devono affrontare. I cittadini europei godono di un’ampia libertà di movimento, attraversano le frontiere con facilità e beneficiano di una vasta gamma di diritti e opportunità. Dall’altra parte, i migranti provenienti da paesi meno fortunati sono spesso costretti a compiere viaggi pericolosi, intrappolati in un limbo di incertezza legale, vulnerabilità, sfruttamento e morte.
Tutte le immagini sono dell’autrice dell’articolo