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EUROPA
«In Ucraina cresce il malcontento nella società»: intervista alla carovana di solidarietà sindacale
Abbiamo intervistato i membri dell’ultima carovana di mutuo aiuto organizzata all’interno della campagna internazionale “Workers’ Aid to Ukraine”, che ha visto collaborare diversi sindacati di diversi paesi dall’inizio della guerra
La solidarietà della classe operaia non si ferma con la guerra, anzi si rinnova. Si è da poco svolta in Ucraina la terza carovana organizzata dalla Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta, che ha visto alcuni attivisti e alcune attiviste recarsi nelle zone di conflitto sia per portare aiuti materiali ma anche per elaborare un discorso politico comune con lavoratori e lavoratrici che si trovano sotto le bombe. «Ci sono tanti processi che si sviluppano lontani dal clamore delle armi», racconta Ignacy Jóźwiak, membro del sindacato polacco indipendente Ozz-Inicjatywa Pracownicza e fra gli organizzatori della campagna “Workers’ Aid to Ukraine” di cui fanno parte anche le carovane di solidarietà. «È chiaro che resistere all’invasione costituisce la priorità non solo per la maggioranza della popolazione ma anche per sigle e organizzazioni sindacali, e l’orrore dei bombardamenti e delle morti è qualcosa di sempre presente. Ma fortunatamente la quotidianità non è fatta solo di guerra e sono in atto trasformazioni sociali e politiche a cui è opportuno prestare la massima attenzione».
Ci siamo allora fatti raccontare da Ignacy e dalle altre persone che hanno preso parte a questa terza carovana di solidarietà qual è la realtà che hanno potuto osservare in Ucraina, dopo ormai un anno e mezzo di conflitto armato ininterrotto.
Ci potete raccontare come si è svolto il vostro viaggio?
In quest’occasione eravamo una delegazione più piccola rispetto alle altre volte. La prima tappa è stata Lviv, dove abbiamo incontrato rappresentanti del movimento di infermiere BeLikeNina e del sindacato di recente fondazione dei lavoratori della sanità così come i membri del sindacato studentesco “Azione diretta”; da lì ci siamo spostati nella città di Kropyvnyckyj, dove abbiamo incontrato un sindacato degli insegnanti molto aperti a discutere la questione delle loro condizioni di lavoro durante la guerra e molto critici nei confronti del Ministero dell’Interno e del comportamento del governo; quindi a Kryvyj Rih, centro che già avevamo visitato diverse volte e in cui sono presenti alcuni dei nostri contatti più duraturi, dove abbiamo discusso con il sindacato indipendente dei minatori e dei ferrovieri e anche abbiamo avuto un contatto indiretto con le madri di soldati di un’unità che era stata mandata a combattere senza equipaggiamento appropriato (cosa che ha generato delle proteste per le strade della città); allora ci siamo spostati nella capitale Kyiv, dove ci siamo recati all’ufficio centrale del sindacato indipendente dei ferrovieri Vpzu (Vilna Profspilka Zaliznychntkiv Ukrainy, “Sindacato libero dei ferrovieri d’Ucraina”). In generale, ferrovieri, insegnanti e minatori fanno riferimento alla confederazione Kvpu (Konfederatsiya Vilnyh Profspilok Ukrainy, “Confederazione dei sindacati liberi d’Ucraina”).
Fra gli elementi che più mi hanno colpito c’è stato sicuramente il fatto che, in particolare a Kropyvnyckyj, insegnanti e minatori sono in contatto e stanno iniziando a cooperare a livello politico. Abbiamo infatti parlato di quale potevano essere le loro esigenze e di cosa avrebbero potuto aver bisogno che gli portassimo nel corso del nostro prossimo viaggio, e in tal senso si sono coordinati con chi lavorava nelle miniere di uranio lì attorno. Si tratta di una dinamica che altrove sarebbe impensabile: in Polonia, per esempio, sindacati delle scuole e sindacati dei minatori parlano proprio due lingue diverse. Al contrario, ho trovato questa dinamica molto positiva e incoraggiante per quello che può essere il futuro di intersezione di lotte e questioni, a partire da quella ecologista (l’uranio che viene estratto in quella zona serve, fra le altre cose, ad alimentare le centrali nucleari del paese). Interessante è anche la completa indipendenza delle infermiere del movimento BeLikeNina, che si era già formato nel 2019 ma che è diventato ancora più attivo durante la guerra, arrivando a istituire formazioni sindacali su scala cittadina.
Su che tipo di attività vi concentrate e quali obiettivi vi date nella vostra iniziativa?
Le carovane di aiuto sono una parte di una campagna più vasta che si chiama “Workers aid to Ukraine”, organizzato nel contesto della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta che riunisce alcuni sindacati da tutto il mondo. Quello che ci interessa è intrecciare e mantenere le relazioni soprattutto con sindacati o collettivi di lavoratori, non tanto altri soggetti della società civile come potrebbero essere le Organizzazioni Non Governative. Nei periodi che intercorrono fra la partenza di una carovana e l’altra dunque portiamo avanti altre attività: ci sono delle discussioni online a cadenza regolare con i nostri interlocutori in Ucraina, organizziamo eventi pubblici sia dal vivo che da remoto (per esempio, abbiamo partecipato a un dibattito internazionale che si è svolto a Padova nell’ambito dello Sherwood Festival oppure abbiamo fatto in modo che Yuri Samaliov, leader del sindacato dei minatori di Kryvyj Rih, potesse svolgere un tour europeo di incontro con altri soggetti politici di altri paesi), pubblichiamo interviste e report dei nostri incontri e delle nostre azioni. Le stesse carovane non hanno come unico obiettivo il trasporto e la consegna di aiuti ma rappresentano anche un’occasione per intavolare delle discussioni di livello politico e strategico. Per chi vi partecipa, inoltre, costituiscono un buon modo per conoscere direttamente e di persona quale siano le condizioni in cui si trova la popolazione ucraina in questo momento.
In generale, speriamo di dar vita a una cooperazione duratura. Vorremmo proprio formare una rete sindacale che rimanga attiva anche dopo la guerra. Quando inizierà il processo di ricostruzione, che sarà quasi sicuramente di carattere neoliberale, ci sarà molto bisogno di una soggettività di questo tipo e il nostro compito sarà certamente quello di dare voce all’opposizione di Zelensky. Al momento, la lista delle necessità si allunga perché le condizioni stanno peggiorando in continuazione: è vero che dal punto di vista militare sembrerebbe che le forze ucraine stiano progressivamente avanzando, ma questo non cambia il fatto che in Ucraina ci sia una recessione in corso, che la disoccupazione stia crescendo, mentre si susseguono le proposte di riforme sociali e del mercato. Parallelamente, sembrerebbe che anche il malcontento sociale in Ucraina sta crescendo e l’impressione è che ci sia un certo fermento politico. Vogliamo essere parte di tutto ciò, a partire ovviamente dalle richieste e dagli spunti che ci arrivano dai compagni e dalle compagne ucraini. Anzi, in un certo senso, sono convinto che i problemi inizieranno proprio quando finirà la guerra.
Vi sembra dunque che all’interno delle comunità di lavoratori e lavoratrici stia emergendo una nuova consapevolezza?
L’impressione è che si tratti di un processo a due livelli, che può prendere direzioni diverse e anche contrastanti. Cosa per nulla sorprendente: molto spesso i movimenti politici e la coscienza politica crescono sulla base di contraddizioni esistenti. Da una parte, in questo momento, per sindacati e collettivi è molto difficile organizzarsi, per via del fatto che la legge marziale proibisce tutta una serie di iniziative come scendere in piazza a manifestare, portare avanti campagne di natura politica, scioperare, ecc. Capire come sia possibile fare il massimo pur restando dentro un quadro legittimo dal punto di vista legale richiede dunque energia e attenzione. Inoltre, con la recessione economica e con il crescente numero di persone che si unisce o viene chiamata alle armi, è spesso difficile anche fare in modo che le organizzazioni sindacali continuino a esistere e ad agire. Molte aziende chiudono oppure riducono l’orario di lavoro, alcuni degli impiegati sono in sosta, altri ancora sono nell’esercito oppure hanno parenti nell’esercito e tutto ciò rende il lavoro quotidiano dei sindacati molto più problematico di prima. Insomma, c’è un processo di riconfigurazione e di impoverimento sociale che sta andando avanti un po’ in sordina, dietro il clamore dei combattimenti.
Allo stesso tempo, però, nel corso di questo stato di emergenza i sindacati stanno giocando un ruolo inedito all’interno della società, che sia a livello di distribuzione e organizzazione degli aiuti umanitari alla popolazione oppure a livello militare, quando magari alcuni battaglioni sono mal equipaggiati e dipendono in larga misura dagli aiuti forniti dai familiari o comunque dai civili. In questo senso, mi pare che i sindacati stiano acquisendo una maggiore visibilità e con la situazione di guerra la loro importanza è diventata più evidente a un maggior numero di persone. Assieme alle mille difficoltà e alla tragedia di essere dentro un conflitto di questo tipo, insomma, lo stato d’emergenza sta anche creando nuove opportunità: i sindacati si sono ritrovati a colmare il vuoto lasciato dalle autorità ufficiali e la gente se ne sta accorgendo. Mi pare in anche che il malcontento verso pezzi di élite o verso le persone più ricche che sono riuscite ad andarsene dal paese stia crescendo, così come in generale tante persone osservano la realtà con maggiore spirito critico nei confronti delle istituzioni. Insomma, i sindacati sono comunque ancora vivi e attivi: anche quando si tratta di protestare, in un modo o nell’altro lo si fa, pure se ciò significa forzare i limiti legali esistenti nello stato di emergenza (e le poche occasioni di raduno di protesta, teoricamente vietate, per ora non sono state disperse dalla polizia o dall’esercito).
Che tipo di riscontro avete invece ricevuto in altri paesi, quando vi è capitato di raccontare le vostre iniziative?
Non siamo così conosciuti al punto da intercettare un pubblico molto ampio, ma sicuramente ci siamo fatti notare da una parte del movimento dei lavoratori e della sinistra europei. Crediamo di poter rappresentare un esempio di pratica e di prospettiva politica che può aprire gli occhi ad alcune persone o comunque apparire inedita e spontanea. Non si tratta, come accennato, solo di mostrare e praticare solidarietà attiva in relazione ai nostri compagni e alle nostre compagne in Ucraina, ma anche riportare il punto di vista di questi ultimi e il nostro a una platea europea e globale, in particolare appunto all’interno del contesto della sinistra e delle organizzazioni in difesa dei diritti dei lavoratori.
Credo che la nostra esperienza possa aver spinto persone che erano esitanti a esprimere solidarietà con la resistenza ucraina o il popolo ucraino ad avere maggiore apertura mentale. Soprattutto per chi ha pensato fin da subito che appoggiare la resistenza all’invasione fosse al cento per cento equivalente ad appoggiare il presidente Zelensky o dare carta bianca alla Nato o all’Unione Europea: anzi, mi è capitato di incontrare persone che scoprivano grazie a noi che esisteva un’opposizione politica dal basso in Ucraina. Insomma, credo che è grazie a iniziative come la nostra o simili alla nostra che in Europa si è diffusa una maggiore consapevolezza rispetto alle condizioni sociali della popolazione ucraina durante la guerra ma soprattutto su come dovrebbe essere gestita la ricostruzione sociale post-bellica, e in questo senso si sta formando un fronte critico contro la visione neoliberale predominante.
Quello che cerchiamo di far presente è che non è così semplice come spesso si crede: la questione della guerra non ruota tutto attorno alla Russia e alla Nato o all’Unione Europea, ma anzi l’Ucraina e il popolo ucraino rappresentano il principale oggetto e soggetto di questa vicenda. Similmente, anche la cosiddetta “resistenza ucraina” non è fatta solo di battaglioni dell’esercito, ma anche di lotte sociali e sindacali per migliorare le condizioni di vita nel presente e nel futuro. Pensiamo che, pur restando critici verso quanto sta accadendo, occorra mettersi in ascolto anche quando dagli ucraini e dalle ucraine arrivano richieste che ci possono sembrare difficili da accettare per noi e che sia sempre sbagliato imporre la nostra visione.
Immagine di copertina di Wikimedia Commons di Mafo