OPINIONI
Le lotte di classe in Francia
L’impressionante e persistente ondata di scioperi e manifestazioni che sta bloccando la Francia contro la riforma Macron non riguarda solo le pensioni ma punta a riprendersi la vita e a stroncare l’autoritarismo neoliberale del regime presidenziale
«Convienci per tanto, secondo che a me pare, a volere che ci sieno perdonati gli errori vecchi, farne de’ nuovi, raddoppiando i mali, e le arsioni e le ruberie multiplicando, e ingegnarsi a questo avere di molti compagni, perché dove molti errano niuno si gastiga, e i falli piccoli si puniscono, i grandi e gravi si premiano; e quando molti patiscono pochi cercano di vendicarsi, perché le ingiurie universali con più pazienza che le particulari si sopportono. Il multiplicare adunque ne’ mali ci farà più facilmente trovare perdono, e ci darà la via ad avere quelle cose che per la libertà nostra di avere desideriamo. E parmi che noi andiamo a un certo acquisto, perché quelli che ci potrebbono impedire sono disuniti e ricchi: la disunione loro per tanto ci darà la vittoria, e le loro ricchezze, quando fieno diventate nostre, ce la manterranno»
(N. Machiavelli, Discorso dell’Anonimo plebeo, in Istorie fiorentine III, 13).
A dire queste parole di incoraggiamento ai rivoltosi è un black bloc travisato, uno «dell’infima plebe», ma «de’ più arditi, e di maggiore esperienza» e il discorso precede, dopo una breve tregua, una giornata più intensa di scontri. Ce lo possiamo immaginare pronunciato accanto a uno di quei fuochi che illuminano le notti di Parigi durante le manif sauvages di quartiere. In soldoni è già l’argomentazione di Ulrike Meinhof nel 1967: tirare un sasso è un reato, se si tirano mille sassi è un’azione politica. In certe occasioni non si sta molto a pensare se dando una buona squassata a un ordine oppressivo si passa dalla parte del disordine e dell’anarchia distruttiva – il Machiavelli reale, che pure non metteva tutti i tumulti sullo stesso piano, non era il Machiavelli immaginario del trombone Bernard-Henri Lévy e neppure l’agitatore populista del piffero Stefano Folli.
È venuto il momento, dopo la decima giornata di sciopero, che ha registrato la straordinaria tenuta del movimento sindacale urbano, l’estensione alle campagne con i gravi incidenti di Sainte-Soline, l’entrata in scena della Génération 49.3 di giovanissimi liceali, universitari e precari, di provare a tirare le somme della prima fase di lotte in Francia.
Questo marzo francese, ovvero il momento più recente di una battaglia cominciata molto prima, non si riduce al giusto rifiuto sindacale di uno slittamento dell’età pensionistica in termini anagrafici (da 62 a 64, ma con 43 annualità di contributi che di fatto rendono illusoria quella soglia), sopprimendo per di più gli sconti per lavori usuranti, non è solo un‘onda della grande marea rivendicativa che percorre Inghilterra e Germania lasciando all’asciutto l’Italia, ma si è rapidamente trasformata in una protesta generale contro la crescita delle diseguaglianze e al rigetto di un regime presidenziale tecnocratico che ha celebrato i suoi fasti supremi nell’adozione della clausola costituzionale del 49.3 per troncare e scavalcare la discussione parlamentare sulle pensioni, del cui esito Macron non era troppo sicuro.
Ma soprattutto la parola d’ordine, l’elemento universale che ha varcato le frontiere dell’Esagono, è stata: riprendersi la vita!
Lavorare meno a lungo nell’intera vita, così come nella singola giornata o nella settimana, vuol dire riprendersi l’esistenza, ridurre l’invasione del lavoro sotto padrone sul tempo di vita, permettersi lo sviluppo multilaterale della personalità e avere una prospettiva più adatta agli umani.
Chi sciopera e accende falò per strada sottrae tempo al lavoro e non investe il tempo liberato in consumo seriale ma in esercizio di fraternità e di passioni gioiose. Per sempre? Magari no, ma ci sono fasi anche brevi che poi segnano tutta una vita: i ricordi del joli Mai non sono svaniti, né in Francia né altrove. Essi ci dànno la forza di sopravvivere in periodi più neri, di inversione delle condizioni di lavoro e di welfare. Una volta li abbiamo fottuti, vuol dire che loro non ci fotteranno sempre, che la storia adesso è brutta ma torneremo a rivoltarla come un guanto. Le passioni tristi non regneranno per sempre.
Con la rivolta contro la ragione neoliberale e non solo con le singole misure di Macron, per la seconda volta la felicità entra in Europa come un’idea nuova e la prima volta, tanto per intenderci, era stata proclamata da Saint-Just nel 1793. E non è l’immaginazione al potere, ma la France en colère.
Felicità è stavolta, se non rifiuto, riduzione drastica del lavoro, dell’ossessione produttiva e consumistica, della mercificazione letale della natura. Frédéric Lordon, uno dei più autorevoli leader intellettuali del movimento, in un articolo su “Le Monde diplomatique” constatava che in questo marzo sovversivo la politica si è impadronita di tutto un Paese e che è meraviglioso quando l’ordine comincia a deragliare, infrangendo la solitudine e l’atomizzazione su cui il potere si regge. Si è creata una situazione pre-rivoluzionaria e ora il problema è come sbarazzarsi di quel “pre-“ affinché diventi effettivamente rivoluzionaria, dopo la caduta di legittimità della V Repubblica con il colpo di mano di Macron. Il potere si è ridotto a un «blocco di coercizione», che però non funziona contro l’unità della maggioranza dei Francesi – unità nei sondaggi e nelle notti di fuoco e di blocco della produzione, potenza del numero che è la stella polare di ogni rivoluzione e ormai investe l’intero ordine capitalistico.
La rivolta – aggiunge tuttavia Lordon – non basta, occorre un «desiderio politico positivo» che faccia da obiettivo unificante.
Questo è «la sovranità dei produttori sulla produzione», in tutto il tessuto della società civile, ben al di là delle fabbriche e della classe operaia: «non l’arresto generale del lavoro, ma l’inizio della riappropriazione generale dei mezzi di produzione» e dei servizi, «il comunismo come eguaglianza e sovranità generale dei produttori».
A me pare che in questa ipotesi, di sicuro universale e positivamente desiderante, ci sia ancora un’ombra di lavorismo che si affaccia in entrambi i termini, “sovranità” e “produttori”, e ancor più nel loro accoppiamento. L’unica sovranità ancora enunciabile è forse oggi quella di Bataille: astensione dall’utile, dalla produzione e accumulazione per il futuro, godimento dell’istante presente. Quindi restrizione del tempo di lavoro a favore del tempo di vita e di libera attività – questo è il tratto unificante fra chi sta sull’orlo della pensione e i giovanissimi che non sanno se l’avranno mai, fra gli operai sindacalizzati e i precari, fra ecologisti e femministe, fra i contadini massacrati dalla siccità e dai Crs e i manifestanti selvaggi di città travolti dai rambo-centauri della Brav-M.
All’aumento dell’autoritarismo e della repressione, di cui è segnale preoccupante, oltre alla violenza programmata di Polizia nazionale e Gendarmeria, il progetto governativo di interdizione dei Soulèvements de la terre, la risposta diventa di giorno in giorno più aspra e indisciplinata, così che, nell’immediato, governo e sindacati cominciano a prendere in considerazione un’ipotesi di trattativa che però azzopperebbe definitivamente Macron, se svuotasse e non solo sospendesse o dilazionasse l’innalzamento dell’età pensionistica (ma a questo punto neppure il più moderato dei sindacati, la Cfdt, potrebbe rinunciare alla richiesta), per non parlare di tutti i temi collaterali sollevati.
Nel medio e lungo periodo è difficile inventare un’unica formula per spiegare il carattere intersezionale e dissipativo della protesta francese e occorrerà riflettere a lungo su come passare dal pre-rivoluzionario alla rivoluzione e come estenderla dl di là dei confini in cui tuttora si tiene, malgrado alcuni segnali di risonanza in altri paesi, soprattutto a livello studentesco, e all’oggettiva corrispondenza con una ripresa delle rivendicazioni operaie in altre parti d’Europa a causa dell’inflazione.
Il movimento francese resta sconnesso dal tema guerra – quella che si combatte stancamente in Ucraina e quelle che si preparano nel Pacifico. Noi italiani facciano in entrambi i casi – guerra e protesta sociale – da spettatori, con piccoli episodi di interesse e una meritata vergogna (che però è passione triste), Ma su questo torneremo, non senza prendere atto dai sonori schiaffi giudiziari che Macron e Melon, di fresco riconciliati, hanno incassato per la mancata estradizione dei condannati politici del secolo scorso e del più recente (solo 2001…) imputato per i fatti di Genova.
Ma i giochi non sono chiusi, neppure nello stagno sovrano della nostra penisola.
La redazione di Dinamopress esprime la propria solidarietà ai compagn* di Soulèvements de la terre minacciati di scioglimento dopo l’aggressione poliziesca di Sainte-Soline!
Immagine di copertina di Andrea Tedone, Sainte-Soline 2023