MONDO
Brasile, un golpe solo in parte sventato
Un primo sommario bilancio delle premesse e degli eventi in corso a Brasilia, mentre ancora resta riservato l’atteggiamento delle forze armate e dei bolsonaristi “legali”
Quattrocento arresti tra i manifestanti bolsonaristi, l’intervento federale sulla capitale decretato da Lula, le immagini dell’assalto al Palazzo presidenziale, alla Corte Suprema e al Congresso da parte dei seguaci dell’ex-presidente Bolsonaro che hanno fatto il giro del mondo.
Un fatto inedito nella storia brasiliana, un gravissimo e inquietante scenario golpista portato avanti nel pomeriggio dell’8 gennaio dai manifestanti di estrema destra arrivati in pullman da diverse città brasiliane, con la complicità della polizia della capitale, dopo aver manifestato fin dagli scorsi mesi davanti alle caserme per chiedere l’intervento dei militari contro il presidente democraticamente eletto Lula.
L’ex sindacalista e fondatore del Partito dei Lavoratori, due volte presidente del Brasile dal 2003 al 2010, è tornato al governo lo scorso 1 gennaio, dopo i lunghi mesi di proscrizione e 580 giorni di carcere, con una ampia coalizione che comprende partiti e movimenti di sinistra fino a settori moderati di centrodestra. Ha vinto il ballottaggio a fine ottobre con il 50,9% dei voti contro il 49,1% del presidente uscente, con poco più di due milioni di voti di scarto, dopo una campagna elettorale segnata da decine di azioni violente dei seguaci di Bolsonaro, in diverse occasioni scesi in strada con armi da fuoco e minacce di golpe, e da un potente sistema di reti sociali e diffusioni di fake news.
Fin da subito la transizione democratica è stata caratterizzata da forti tensioni in un paese lacerato e in profonda crisi politica e sociale, all’interno di un quadro politico molto complesso (il Partito Liberale di Bolsonaro ha ottenuto 99 deputati, molti di più rispetto ai 76 del precedente Congresso, ottenendo anche 14 senatori e diventando così il partito più rappresentato al Senato), dove gli stati più popolati e le principali città sono tutte governate dal Partito Liberale e da altri alleati di Bolsonaro.
Un contesto nazionale e internazionale profondamente differente rispetto ai primi governi di Lula, che torna al palazzo di Planalto sei anni dopo il golpe parlamentare contro Dilma Roussef, dopo una pandemia e quattro devastanti anni dal punto di vista sociale, ambientale ed economico del governo Bolsonaro.
Il tentativo golpista di ieri a Brasilia ricorda chiaramente le immagini dei seguaci di Trump all’assalto di Capitol Hill di due anni fa, anche se questa volta l’assalto è avvenuto a una settimana dall’inizio ufficiale del terzo governo Lula.
Il nuovo corso brasiliano è iniziato con la classica cerimonia del passaggio di consegne del 1 gennaio a Brasilia che ha visto Lula accompagnato da una leader indigena e una lavoratrice del riciclo dei rifiuti, e sostenuto da trecentomila manifestanti arrivati da tutto il paese, a cui il presidente uscente Bolsonaro, contro ogni protocollo democratico, non si è presentato, dato che già dal 30 dicembre si trova rifugiato in Florida, ospite di un suo sostenitore brasiliano atleta di arti marziali che vive a Orlando. Proprio negli Stati Uniti, ieri la deputata Alexandra Ocasio Cortez ha denunciato il tentativo golpista chiedendo anche che gli Stati Uniti smettano di garantire rifugio all’ex-presidente brasiliano.
E in Florida assieme a Bolsonaro si trovava anche il responsabile della sicurezza della capitale brasiliana Anderson Torres, ex ministro della Giustizia del governo Bolsonaro fino a dicembre, sospeso dal suo incarico poche ore dopo i gravissimi fatti di ieri, dopo essere stato accusato da Lula stesso di “complicità” con i manifestanti golpisti per aver “liberato” la zona permettendo ai bolsonaristi di arrivare fino alle sedi dei palazzi simbolo dei tre poteri dello Stato brasiliano. Poche ore dopo, il governo ha chiesto alla Corte Suprema l’arresto dello stesso Torres per la gestione della sicurezza durante la giornata di ieri a Brasilia.
Se il presidente Lula ha infatti immediatamente denunciato la complicità della polizia locale, il sindaco della città, alleato di Bolsonaro, alla fine della giornata, annunciando che i quattrocento manifestanti arrestati pagheranno per i loro crimini, ha chiesto scusa al presidente Lula per il tentativo golpista. Evidente era l’obiettivo di fermare l’intervento federale nella capitale, deciso poi comunque dal presidente Lula poche ore dopo gli eventi di Planalto.
Condanne unanimi e immediate da parte dei governi di Argentina, Colombia, Messico e Cile che hanno espresso solidarietà a Lula e al popolo brasiliano di fronte agli attacchi golpisti dell’estrema destra, così come da parte delle organizzazioni popolari, sociali, sindacali e per i diritti umani di tutto il Sud America.
Poco dopo anche il messaggio del segretario di Stato statunitense Antony Blinken che ha dichiarato inaccettabile l’attacco alle istituzioni democratiche brasiliane, seguito dalle parole di Biden e poi dei governi di Francia, Spagna e Portogallo. Buon ultime, a mezza bocca e solidarizzando con le “istituzioni” senza nominare il presidente Lula sono arrivate le deplorazioni da parte del ministro degli Esteri Tajani e ultimissime di Meloni.
«Sono vandali fascisti e pagheranno per quello che hanno fatto», ha dichiarato in serata da San Paolo il presidente Lula. Per comprendere il contesto in cui è maturata la destabilizzazione golpista di ieri in Brasile, rileggiamo le parole del giornalista Marcelo Aguilar, in una intervista pubblicata poche settimane fa: “il bolsonarismo inteso come forza ultra-radicale della destra in mobilitazione si è consolidato durante gli anni di Bolsonaro al potere”. Ed interrogandosi sul prossimo futuro, affermava che “nonostante sia stato sconfitto alle urne, Bolsonaro è uscito dalle elezioni rafforzato come leader dell’estrema destra e dobbiamo vedere come ne trarrà vantaggio. Ovvero, se riesce a mantenere una base forte e mobilitata nelle piazze per rispondere al governo Lula o se, senza il sostegno dell’apparato statale, la sua forza tenda a sgonfiarsi e la sua base a “smobilitarsi”.
A tal proposito, poco più di un mese fa Mario Santucho scriveva sulla rivista “Crisis” che, sebbene «il bolsonarismo non sia riuscito a interrompere il processo costituzionale e il ritorno del leader del Partito dei lavoratori a Planalto sembri ormai irreversibile, perché conta con il sostegno dei principali settori del potere politico ed economico […], l’aria che si respira continua a essere abbastanza tossica per qualsiasi processo democratico».
Mario Santucho segnala anche che, sebbene gran parte dell’establishment brasiliano e internazionale abbia sostenuto Lula dopo aver scaricato Bolsonaro, passato da opportunità a minaccia per la democrazia, il bolsonarismo è però cresciuto fortemente all’interno del paese, consolidandosi a partire da cinque strutture di massa che mantengono una forte e capillare presenza nella società brasiliana: «la prima struttura opera sul piano digitale con grande efficacia. Una specie di esercito virtuale che dispiega una capacità di mobilitazione superiore a qualunque altro attore sulla scena locale. […] La seconda si basa sulle chiese evangeliche disseminate in lungo e in largo nel paese, che concepiscono la contesa politica come una crociata morale. […] In terzo luogo, i “club di tiro a segno”, che riuniscono centinaia di migliaia di cacciatori, tiratori e collezionisti privati, cresciuti esponenzialmente grazie a una legge di Bolsonaro che ha dato il via libera per armare un settore della popolazione imbevuto dell’ideologia libertaria dell’autodifesa individuale (la quantità di armi in possesso di questi club è passata da 197.000 nel 2019 a 674.000 nel mese di maggio del 2022). […] La quarta struttura sono le milizie, forze para-poliziesche nate per combattere il narcotraffico senza le “tare” imposte dalla legalità, che esercitano un vero e proprio controllo armato sul 60% delle aree periferiche di Rio de Janeiro, mentre si espandono in altre città. […] La quinta struttura è la più temibile: i militari armati che hanno trovato in Bolsonaro il referente politico (la Polizia Militare conta 400 mila effettivi e si vocifera che il 95% sia seguace dell’ex presidente)».
Proprio all’interno di questo scenario va situata la giornata di ieri, che interroga profondamente un paese estremamente polarizzato e una democrazia lacerata come quella brasiliana, ma la cui portata va sicuramente oltre i confini del Brasile e lo stesso Sud America, in un panorama globale dove opzioni autoritarie e forze neofasciste, razziste e reazionarie emergono e si rafforzano in molteplici contesti.
Nel contesto convulso dell’America Latina, nonostante importanti vittorie elettorali negli ultimi anni di coalizioni progressiste che hanno sconfitto, seppure spesso di misura, le forze di destra dall’Argentina al Cile, fino al Messico e alla Colombia, i diversi governi non sembrano trovare per il momento significative vie di uscita dalle molteplici e profonde crisi sociali, ambientali ed economiche, in uno scenario caratterizzato da profonde instabilità politiche e offensive reazionarie che si dispiegano sia sul piano politico e giudiziario che su quello repressivo, come avvenuto negli ultimi mesi in Argentina o nelle ultime settimane in Perù e Bolivia.
Il governo Lula e le lotte dei movimenti sociali e democratici brasiliani si dovranno confrontare a partire dai prossimi giorni con uno scenario mutato che implica una capacità politica che va ben oltre la vittoria elettorale o le alleanze parlamentari, che richiede la necessaria apertura di un processo politico capace di andare oltre la difesa della democrazia formale, ormai svuotata di senso dalla sua crisi profonda, per aprire spazi di possibilità di reale democratizzazione sostanziale e di una profonda trasformazione sociale e politica.
Immagine di copertina dei fotografi indipendenti di Midja Ninja. Vittoria elettorale di Bolsonaro del 2018
Immagini nell’articolo: fotogrammi dai video della giornata di Federico Nastasi, freelance italiano