MONDO
Newroz a Kobane, ritorno a Mishtanur
Il secondo racconto del viaggio in Rojava di alcuni attivisti italiani.
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Abbiamo lasciato Qamishlo la mattina del 20 marzo per raggiungere Kobane, dopo un lungo viaggio in auto lungo la strada che costeggia il confine con la Turchia. Arriviamo a Kobane in serata, quando già le celebrazioni sono cominciate con la visita ai cimiteri dei martiri da parte delle famiglie.
La nostra prima fermata è al cimitero dove sono seppelliti molti dei martiri caduti durante l’attentato del 25 Giugno. Vediamo i familiari raccogliersi attorno alle tombe dei loro defunti: si consuma cibo, si parla, si accendono candele e qualche volta si piange per la perdita dei propri cari. Sin da subito ci rendiamo conto che i festeggiamenti qui sono fortemente condizionati dalla tristezza, perché quasi tutte le famiglie di Kobane hanno avuto almeno un martire.
Tuttavia, durante questo primo giro della città, ci rendiamo conto che Kobane non è la stessa di un anno fa. I lavori di ricostruzione vanno avanti a pieno regime e ormai buona parte delle macerie è stata rimossa dalle strade, sono numerosi i palazzi ricostruiti e le strade sono piene di attività e di fermento. Si respira l’aria di un nuovo inizio, dopo lunghi anni di sofferenza, e qualcuno manifesta la propria gioia sparando dei colpi in aria.
La mattina seguente, dopo un’abbondante colazione offerta dalla famiglia presso cui siamo ospiti, raggiungiamo la collina di Mursitpinar, luogo simbolo della liberazione di Kobane avvenuta il 27 gennaio 2015, dove sono organizzati i festeggiamenti ufficiali: dalla collina dove si svolgerà il primo Newroz della Kobane libera la vista spazia sino al vicino confine con la Turchia e alla cittadina di Suruc.
A poco a poco il fianco del pendio si riempie di gente. I controlli di sicurezza sono accurati e il servizio d’ordine è condiviso fra Asayish, YPG/YPJ e volontari per il Newroz. Tutta la collina è circondata in modo che nessuno possa turbare la festa collettiva. Il programma è ampio e variegato, si alternano sul palco numerosi gruppi musicali, fra cui alcune vere e proprie stelle delle musica curda, mentre il fiume di gente che accede alla festa si fa sempre più grande, fino a riempire completamente i due versanti della collina che sovrastano il palco.
Un grande striscione campeggia sul palco, fra le immagini dei martiri: “Dal Rojava libero verso una Siria democratica e federale”, nelle tre lingue ufficiali del Cantone: kurmanji, arabo e assiro. Non mancano sul palco i momenti per il teatro popolare in cui si ridicolizzano le bande di Daesh e i militari turchi. La festa va avanti, ma è come se si respirasse una contraddizione di fondo fra la voglia di festeggiare la rinascita della città e la paura di attentati, nel ricordo amaro degli attacchi dello scorso anno a Qamishlo e Hasakeh e dei numerosissimi martiri che in un certo modo rendono l’atmosfera collettiva un po’ più triste.
Il Newroz è anche la festa dei bambini, forse gli unici che vivono in modo pienamente rilassato questa giornata: sia sul palco, quando cantano e danzano in gruppo, sia nei prati, dove si vedono gruppi di bambini vestiti a festa, con gli abiti tradizionali e con le divise dei combattenti. In generale, si percepisce il senso di grande dignità di un popolo che ha sofferto a lungo a causa della guerra e che continua a patire per l’isolamento derivato dall’embargo, che non consente rapporti con l’esterno né dal versante turco, né da quello iracheno.
La persone qui vivono con pochissimi mezzi: la società civile sopperisce alla mancanza di risorse con una grande forza di volontà e con l’inventiva derivata dalla necessità di trovare soluzioni concrete per la ricostruzione e per la vita quotidiana. Dopo il Newroz non sarà più festa, ma ogni giorno sarà un mattone per la costruzione di una società finalmente libera dall’oppressione.
Fonte: carovanaperilrojava