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Il videogioco nella platform economy
La distribuzione dei videogiochi avviene su una pluralità di piattaforme che controllano contenuti, visibilità e supporti. Dalle console, passando per gli smartphone, fino ad arrivare ai computer, questo articolo esamina diverse piattaforme, comprese quelle “indipendenti”, come “Steam”. In questo caso, l’effetto di controllo da parte della società che la gestisce, Valve Corporation, produce forme di censura contro videogiochi che parlano di queerness e LGBTQI.
La nostra vita virtuale si svolge prevalentemente su piattaforme che la regolano attraverso il loro codice. “Lo spazio reale [sic] è regolato da leggi attraverso costituzioni, statuti e altri codici legali”, scrive Lawrence Lessig in Code and Other Laws of Cyberspace. »Dobbiamo capire come il cyberspazio sia anch’esso regolato, ma da altri codici: il software e hardware, cioè i codici del cyberspazio, permettono e contemporaneamente regolano il cyberspazio». Le nostre interazioni e le nostre possibilità sono quelle permesse dalle macchine che usiamo, dai sistemi operativi che ci girano sopra, e poi da Google, Facebook, Instagram, YouTube, TikTok… L’industria del videogioco non è diversa: anch’essa è un mercato regolamentato dalle piattaforme e dal loro codice.
Chi controlla una piattaforma videoludica, che sia una console o un servizio di distribuzione digitale di videogiochi su smartphone o computer, trattiene normalmente una percentuale su ogni transazione che avviene sulla piattaforma stessa. Per questo le console per videogiochi sono a volte vendute a prezzi inferiori rispetto al loro costo di produzione e vengono poi promosse spendendo grandi cifre per sviluppare o pubblicare videogiochi in esclusiva: l’obiettivo è valorizzare la console, farla acquistare e guadagnare dalla successiva vendita dei contenuti. La percentuale trattenuta è di solito del 30%, ma piattaforme diverse possono chiedere percentuali minori o superiori e anzi c’è un dibattito molto acceso su quanto debbano pesare queste commissioni. Epic Games, lo studio responsabile del videogioco Fortnite, ha per esempio lanciato la sua piattaforma di distribuzione di videogiochi per computer Epic Games Store pubblicizzando fortemente di trattenere solo il 12% degli incassi delle vendite. E ha iniziato una battaglia legale contro Apple e Google e contro il 30% che queste compagnie trattengono sulle transazioni che avvengono sulle loro piattaforme mobile App Store e Google Play.
Videogioco e platform economy: le console
Ma il controllo delle piattaforme è, soprattutto, controllo sui contenuti e sulla loro visibilità. Dieci giorni prima del lancio del loro nuovo videogioco Martha Is Dead, lo sviluppatore italiano LKA e l’editore Wired Productions hanno annunciato di aver dovuto modificare alcune scene per permettere all’opera di essere distribuita sulle console della multinazionale Sony. Il risultato è che nelle versioni di Martha Is Dead per console Sony (PlayStation 4 e PlayStation 5) due sequenze particolarmente violente sono state rese non interattive e mancano dei riferimenti alla masturbazione femminile. PlayStation negli ultimi anni ha rafforzato le restrizioni sui contenuti, sia su quelli sessualmente espliciti sia su quelli violenti, e in passato era Nintendo a essere nota per le sue stringenti linee guida, ma non è in generale possibile pubblicare liberamente videogiochi su console. A febbraio, Gary Bowser del gruppo hacker Team Xecuter è stato per esempio condannato negli USA a 40 mesi di carcere e 4,5 milioni di dollari di multa (che si aggiungono ai 10 milioni di dollari di una multa precedente) per la vendita di strumenti capaci di far girare programmi non autorizzati su console Nintendo. Non possediamo il codice delle console che acquistiamo, lo usiamo solo su licenza e non possiamo quindi manipolarlo. E se vogliamo creare opere per PlayStation, Xbox di Microsoft o Nintendo Switch è necessaria l’approvazione della compagnia anche per acquistare gli appositi dev kit, gli hardware che permettono di realizzare e testare i software per i dispositivi.
«Il primo passo per sottoporre un videogioco per la pubblicazione su console, prendiamo l’esempio di PlayStation perché tutti questi processi hanno sia somiglianze sia peculiarità, è diventare partner», ci ha spiegato Gero Micciché, producer per il videogioco GRID Legends a Codemaster, uno studio della multinazionale Electronic Arts. «Si va sul sito, ci si registra con le informazioni sullo studio e poi si propone il gioco. Si firma un accordo, si diventa partner di PlayStation e si guadagna accesso a tutti gli strumenti di sviluppo, inclusi i dev kit, e a una piattaforma che permette di instaurare un dialogo con Sony. Compagnie come Gameloft, per cui ho lavorato, ed Electronic Arts, per cui lavoro, hanno dei dipartimenti incaricati per queste cose».
«Quando sottoponi il gioco, il tuo obiettivo è ottenere una certificazione che afferma che rispetti tutti i requisiti per la distribuzione sulla piattaforma», ha continuato Micciché. «Per arrivare a questa certificazione si passa da varie fasi e da vari documenti. Ci sono documenti sulle policy: regole, procedure e approcci che riguardano ogni tipo di area, dal rispetto del brand all’identità visiva del marketing, dai contenuti alle questioni finanziarie e legali, dalla sicurezza alla gestione della vendita di oggetti e valute virtuali all’interno del gioco. Poi ci sono documenti più tecnici. Il documento fondamentale qui è una lista di requisiti tecnici (la technical requirements checklist) da testare seguendo procedure specificate su un altro documento, mentre un altro documento ancora spiega le convenzioni lessicali da usare. In Electronic Arts c’è un dipartimento che si occupa appunto di seguire questa documentazione e verificare che vengano rispettati questi requisiti tecnici usando test kit, hardware che permettono per esempio di simulare la console in varie regioni del mondo. Si trovano sempre dei problemi: a volte sono problemi che se non vengono risolti bloccano la pubblicazione del gioco, a volte puoi chiedere che la piattaforma faccia un’eccezione per un requisito specifico che non è stato raggiunto. Sono tutte questioni che risolvi in corso d’opera, soprattutto se sei una grossa compagnia. È diverso per gli studi più piccoli, che non hanno risorse adeguate e che magari non hanno neanche contatti di lunga data con chi controlla la piattaforma. Queste policy vengono inoltre periodicamente aggiornate»,
Videogioco e platform economy: gli smartphone
Anche Apple controlla strettamente cosa è disponibile sui suoi smartphone e i suoi tablet, obbligando a scaricare le app unicamente dal suo App Store e costringendo quindi tutti gli studi che sviluppano per il suo sistema operativo iOS a dividere con Apple i loro incassi. La situazione potrebbe cambiare con la nuova regolamentazione europea Digital Markets Act, che dovrebbe obbligare Apple a permettere l’installazione di altre piattaforme di distribuzione sui suoi dispositivi. Android è invece una piattaforma più aperta, su cui è possibile acquistare app da diversi store e su cui è anche possibile installare liberamente app scaricate da internet o caricate sullo smartphone. Ma in pratica, in Occidente, la maggior parte degli acquisti si concentrano sullo store Google Play, controllato appunto da Alphabet/Google, mentre le altre piattaforme di distribuzione Android sono significative solo in Cina dove Google Play, come la maggioranza dei prodotti di Google, è assente. Anche perché Alphabet, preoccupata che altri sviluppatori si unissero alla già citata protesta di Epic Games e provassero a distribuire i loro videogiochi fuori da Google Play, sarebbe arrivata a pagare le aziende che producono smartphone perché non pre-installassero altre piattaforme di distribuzione sui loro dispositivi.
Celso Riva sviluppa videogiochi in stile visual novel (racconti interattivi e illustrati a bivi) e gioco di ruolo per diverse piattaforme, ma a un certo punto ha dovuto rinunciare a distribuirli sui dispositivi Android a causa delle politiche di Google (le opere sono ancora disponibili sui dispositivi di Apple). I videogiochi di Riva hanno spesso elementi erotici o pornografici, che erano però stati censurati nelle versioni per dispositivi mobili. Questo non è bastato, e l’account di Riva è stato completamente “bannato,” cioè rimosso, da Google Play. «Prima mi hanno mandato diversi avvisi, dicendo che questa icona era troppo sexy, o questo gioco aveva contenuti inopportuni» – ci ha scritto Riva. «Per la cronaca: l’icona in questione era un personaggio femminile nel mio gioco con una leggera scollatura (ma niente di che!). Alla fine dopo ‘ripetute violazioni’, come dicono loro, mi hanno bannato l’account e rimosso tutti i giochi».
Videogioco e platform economy: i computer
La situazione dovrebbe essere ancora più aperta su computer, e soprattutto su PC, dove in teoria esistono molteplici piattaforme di distribuzione e dove è possibile scaricare da internet un file di installazione o infilare un CD, un DVD, una chiavetta USB nel computer e installare cosa vogliamo. Ma in realtà i videogiochi vengono scaricati principalmente da poche specifiche piattaforme che ne controllano quindi disponibilità e distribuzione. Alcuni videogiochi popolari, come League of Legends di Riot Games, sono disponibili solo attraverso un loro “client,” un software che si occupa di gestire installazione, aggiornamento e accesso per uno o più giochi. League of Legends è inoltre giocabile online solo sui suoi server ufficiali e quindi non esiste al di fuori del controllo di Riot Games, uno studio del gigante cinese della tecnologia Tencent. Esistono esperimenti che cercano di infrangere questa limitazione, per esempio costruendo server privati alternativi e accedendovi attraverso vecchie versioni del client, ma quando questi progetti crescono finiscono nel mirino delle compagnie e vengono chiusi. È successo con il server Chronoshift di League of Legends, un tentativo di riproporre una vecchia e non più accessibile versione del gioco. È successo con i server privati di World of Warcraft di Activision Blizzard, anch’essi spesso pensati per ricostruire versioni ormai perdute del gioco, disponibile solo attraverso Battle.net, il client della compagnia (Activision Blizzard ha in seguito presentato un modo ufficiale per giocare a vecchie versioni di World of Warcraft).
Questi client gestiscono a volte un notevole flusso di persone. Per dare un’idea, giocano a League of Legends più di 120 milioni di persone al mese, una cifra comparabile a quella delle persone che usano il client Steam di Valve, la principale piattaforma di distribuzione di videogiochi per computer in formato digitale al mondo. E Steam è un vero e proprio store, con opere di decine di migliaia di compagnie piccole e grandi: nel 2021 sono stati rilasciati sulla piattaforma 11824 software, il 23,1% in più rispetto a quanti erano stati rilasciati nel 2020, che a sua volta aveva visto una crescita del 22,5% rispetto al 2019.
Videogioco e platform economy: Steam
Ma proprio il caso di Steam è importante perché, più di altri, mostra come lo sviluppo della distribuzione digitale abbia generato una creator economy comparabile a quella di piattaforme come YouTube. A partire dalla fine degli anni ’90 con la diffusione dei videogiochi realizzati con Flash di Adobe (il simulatore di fattoria FarmVille è forse il più noto) abbiamo visto un processo di relativa democratizzazione degli strumenti di sviluppo dei videogiochi, unito a nuove opportunità distributive permesse da servizi e linee di accesso a internet più veloci. Come la produzione video digitale e YouTube hanno promesso a chiunque di poter intraprendere la carriera di video maker e creator, nuovi strumenti di sviluppo e piattaforme di distribuzione come Steam hanno promesso a chiunque di sviluppare e vendere videogiochi commerciali e “indipendenti” dalla grande editoria.
Claudio Cugliandro e io abbiamo raccontato l’evoluzione di Steam come piattaforma per questi videogiochi “indipendenti” (e cosa voglia dire effettivamente essere un videogioco “indipendente”) in un nostro articolo pubblicato all’interno del volume Valve Corporation. Videogiochi, visioni e virtuosismi di un’azienda rivoluzionaria, curato da Francesco Toniolo e Luca Papale e edito da Biblion. In sintesi, Valve negli anni ha progressivamente aperto la sua piattaforma, nata per facilitare l’aggiornamento dei giochi e contrastarne la pirateria, ad altri studi di sviluppo, fino al lancio del servizio Steam Direct nel 2017. Con Steam Direct, qualsiasi studio o editore può pubblicare il suo gioco su Steam completando una serie di passaggi burocratici e pagando una tariffa relativamente ridotta (cento dollari). Questa apertura è però avvenuta scaricando sul pubblico gli oneri di selezione e curatela. L’utenza di Steam può infatti aggiungere “etichette” ai videogiochi, recensirli (come facciamo su Amazon con i prodotti che acquistiamo o su TripAdvisor con i locali in cui mangiamo) e assumere il ruolo di “curator”, inserendo i videogiochi in raccolte. Intanto, come avviene anche su altre piattaforme come TikTok, è un algoritmo di cui sappiamo poco a decidere quali giochi mostrare e suggerire. Su Steam e in generale sulle grandi piattaforme digitali il nostro passato (le azioni e gli acquisti che abbiamo già compiuto) diventa, attraverso l’algoritmo, la previsione del nostro futuro.
Nel tempo, i criteri secondo cui Valve ha o no permesso di distribuire videogiochi sulla sua piattaforma sono apparsi spesso arbitrari e la comunicazione con gli studi esclusi è stata povera o nulla. Nel 2018, Valve ha minacciato di cancellare una serie di visual novel presenti da anni nel suo catalogo, come Kindred Spiris on the Roof di Liar-Soft e MangaGamer, perché “pornografiche,” chiedendo agli sviluppatori di eliminare gli elementi problematici per restare sulla piattaforma ma senza specificare a quali elementi si stesse riferendo e senza rispondere alle domande di studi e editore. «La situazione è ancora più assurda», scrissi all’epoca, «considerando che MangaGamer ha in precedenza lavorato a lungo con Valve per assicurarsi che i contenuti portati su Steam fossero considerati perfettamente accettabili dalla compagnia. Kindred Spirits on the Roof fu guardato al momento della sua uscita come un traguardo non solo per la sua qualità ma perché, grazie anche a questa collaborazione, fu la prima visual novel del genere [con scene di sesso con nudo parziale] ad arrivare su Steam senza alcuna censura». Subito dopo, Valve cambiò di nuovo idea e disse che avrebbe rivalutato questi videogiochi e infine annunciò la resa e smise di controllare e moderare l’offerta di Steam.
«Il problema non è solo decidere se Steam debba contenere giochi con contenuti violenti o adulti», spiegò Valve. «Dobbiamo decidere se il negozio debba contenere giochi che comprendono una grande varietà di argomenti controversi: politica, sessualità, razzismo, genere, violenza, identità e così via. In più ci sono controversie che riguardano in modo specifico i giochi, come la difficoltà a decidere cosa costituisca ‘un gioco’ o quale livello di qualità le opere debbano avere prima di essere rilasciate. […] Non dovrebbe spettare a Valve decidere queste cose. Se giochi a videogiochi, non dovrebbe essere compito nostro decidere cosa puoi o non puoi giocare. Se sviluppi videogiochi, non dovrebbe essere compito nostro decidere quali contenuti puoi creare. […] Partendo da questi principi, abbiamo deciso che l’approccio corretto sia permettere su Steam tutti i contenuti, a parte quelli che consideriamo illegali [Valve specifica nelle sue regole che non permette ‘contenuti che violano le leggi di qualunque tra le giurisdizioni in cui verranno pubblicati’], o pensati meramente per trollare [Valve ha in seguito definito meglio cosa intenda con questo]. Questo approccio ci permette di concentrarci meno sul decidere quali contenuti debbano essere su Steam e più sulla costruzione degli strumenti che permettano al pubblico di controllare che genere di contenuti vuole vedere».
Inizialmente, giochi con contenuti pornografici arrivavano su Steam censurati, senza scene esplicite, e gli editori davano la possibilità di scaricare gratuitamente dai loro siti un aggiornamento opzionale per far tornare il gioco alla sua forma originaria (a un certo punto Valve ha anche vietato di discutere di questi aggiornamenti su Steam). Con la rinuncia di Valve a svolgere attività di curatela tali videogiochi hanno iniziato a uscire sulla piattaforma in versioni non censurate, nascosti da un apposito filtro che va esplicitamente sbloccato.
Nonostante questa progressiva apertura della piattaforma «ci sono ancora giochi che non possiamo far arrivare su Steam e non è cambiato molto, onestamente», ci ha scritto John Pickett di MangaGamer. Limiti e paletti hanno continuato a risultare arbitrari o almeno malamente (o per niente) comunicati. Di recente, Valve ha bloccato la pubblicazione dei progetti pornografici dello studio Holodexxx perché contengono scansioni tridimensionali di attrici reali e perché da novembre 2020, senza alcun avviso, la compagnia ha appunto deciso di inserire tra gli elementi non accettati sulla piattaforma le «immagini sessualmente esplicite di persone reali».
«Diversi tentativi di presentare il nostro gioco sono stati rifiutati da Steam, e le ragioni per cui è accaduto sono sempre diverse e non sembrano seguire alcun genere di logica interna», ci ha scritto Mike Wilson di Holodexxx. «Le politiche di Steam sono una black box, e non ci permettono di modificare la nostra proposta in modo che possa soddisfare i suoi misteriosi requisiti. Steam dovrebbe esplicitare chiaramente quali sono i requisiti che un’opera deve avere per essere accettata sulla piattaforma invece di dare a piccoli studi di sviluppo la responsabilità di scoprire quali siano queste politiche attraverso un processo di trial and error [cioè di tentativi ripetuti fino a raggiungere il risultato voluto]. Ci costa molto tempo e molta fatica proporre un prodotto a Steam, e sul lungo periodo un rifiuto può costare la fattibilità economica di un progetto. Steam, nel bene o nel male, è il mercato globale dei videogiochi, e perciò dovrebbe accettare la responsabilità di dare a ogni studio un’equa possibilità di apparire sulla piattaforma. Dovremmo ricevere chiare spiegazioni sul perché un nostro gioco viene rifiutato e dovremmo avere l’opportunità di parlare brevemente con una qualche persona che ci possa spiegare cosa possiamo fare per risolvere questi problemi. Non ci sembra di chiedere molto dal leader del mercato. Avere delle linee guida chiare andrebbe a beneficio sia di Valve sia degli studi che alla fine hanno reso la piattaforma quello che è oggi».
Videogioco e platform economy: ai margini
La progressiva apertura di Steam e la sua caotica curatela hanno anche reso sempre più difficile emergere sulla piattaforma e ottenere successo commerciale. È una questione complessa, spesso riassunta con il termine “indiepocalypse,” una futura e temuta apocalisse del mercato indipendente dovuta a una crisi di sovrapproduzione. Come dice il nome, è una questione che riguarda soprattutto gli studi piccoli, che sono i più colpiti da tutte queste politiche. Studi indipendenti hanno protestato per come Sony gestisce (anzi, per come Sony trascura) la comunicazione con loro e la promozione dei loro videogiochi, dando la priorità a produzioni blockbuster considerate “di prestigio.” Anche in tempi recenti, Nintendo (e soprattutto la sua divisione nordamericana) si è mostrata ostile verso la presenza di “contenuti maturi” sulla sua console, ma solo quando a proporli sono stati studi indipendenti o legati a piccoli editori. E Steam, come abbiamo detto, ha per anni mostrato diffidenza per la presenza di scene di sesso o di nudo in visual novel indipendenti e magari realizzate in Giappone, ma intanto ospitava senza problemi produzioni più grandi e più occidentali con simili scene, per esempio The Witcher 3: Wild Hunt di CD Projekt.
Non è inoltre un caso che la maggioranza delle politiche e delle restrizioni che abbiamo discusso riguardino i contenuti sessuali. Su console non è permesso pubblicare contenuti classificati come “per adulti” secondo le linee guida dell’ESRB, l’ente che definisce a quale pubblico di quale età i videogiochi siano adatti per quanto riguarda il mercato statunitense (un altro ente, PEGI, svolge la stessa funzione in Europa). La classificazione può essere in teoria dovuta sia a contenuti sessualmente espliciti sia a contenuti violenti, ma in realtà sono noti solo tre videogiochi che siano stati classificati come “per adulti” a causa del loro livello di violenza: Thrill Kill, cancellato proprio per la sua violenza, Manhunt 2, distribuito in una versione censurata, e Hatred, che fu temporaneamente rimosso anche da Steam. E queste politiche sessuofobe colpiscono in modo particolare le persone che appartengono a comunità vulnerabili e marginalizzate come quelle LGBTQIA+, un fenomeno che vediamo pure su altre piattaforme digitali. Sono politiche che servono a imbonire i gestori dei servizi di pagamento come Visa e Mastercard, gli investitori e, a volte, altre piattaforme. All’inizio del 2022 la piattaforma di distribuzione di videogiochi Game Jolt ha intrapreso un’operazione di pulizia dai contenuti pornografici in occasione del suo lancio su App Store e Google Play. Una delle vittime è stato Curtain di Dreamfeel, un videogioco non pornografico che parla di queerness e abuso e che all’epoca della sua uscita fu anche promosso sull’home page della piattaforma (il videogioco è stato poi di nuovo inserito su Game Jolt dopo una serie di proteste). Persino OnlyFans, una piattaforma che è cresciuta prevalentemente grazie al lavoro di creator che realizzano contenuti pornografici, a un certo punto ha cercato di eliminare la pornografia per compiacere Visa e Mastercard, attirare nuovi investimenti e potenziare la sua presenza su dispositivi mobili.
«Secondo la mia esperienza, i divieti contro i contenuti LGBTQ raramente usano esplicitamente la parola ‘queer’», ci ha scritto Robert Yang, docente e sviluppatore di videogiochi che parlano di sesso, omosessualità e identità di genere. «Invece, queste piattaforme affermano di star vietando dei ‘contenuti controversi’. Una cosa che all’inizio sembra ragionevole, fin quando non pensi a quali siano le persone che più facilmente sono etichettate come controverse dalla società. E non c’è dietro un malvagio omofobo che si arricciola i baffi. Ci sono persone ‘normali’ e ‘carine’ che fanno cose orribili ad altre persone in nome di rispettabilità e civiltà. È disgustoso».