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Dentro al vortice dei discorsi. Gli annegati di Lorenzo Monfregola
In un panorama dominato dalla “scrittura ibrida”, l’esordio del giornalista italo-tedesco rappresenta una scelta coraggiosa che rimanda al romanzo di formazione e al realismo isterico in salsa berlinese
Occorre un’esperienza prossima alla morte per rimettersi alla vita? In fondo, tanta letteratura romanzesca, non solo degli ultimi tempi, sembra consegnarci un monito simile: la scrittura – foss’anche la più formalistica e astratta delle scritture – nasce dal ricordo di una ferita, ricerca come suo fine ultimo un affondo nella carne e in un qualche senso sopito che, al di là delle apparenze, ci rammenta chi siamo. Dovendo riassumere in una sola “traiettoria parabolica” Gli annegati (Il Saggiatore, 2021),opera prima di Lorenzo Monfregola – giornalista freelance di stanza a Berlino, commentatore di politica e società tedesche per numerose testate tra cui Il Tascabile e Eastwest – si potrebbe dunque ricorrere a questa formula “da manuale”.
Il libro – condensando il tempo di un’epopea biografica in un frenetico e allucinato avvicendarsi di tre nottate consecutive ambientate nella capitale della Germania – ha infatti in tutto e per tutto la struttura di un romanzo di formazione, in cui il protagonista (e voce narrante) Arthur Cipriani, perdendosi (non solo metaforicamente) nell’abisso, ritrova se stesso e un motivo per aggrapparsi con rinnovato vigore alla propria esistenza.
Per quanto banale e forse un po’ “scolastico” possa sembrare, un tale elemento costituisce il primo punto di forza de Gli annegati, anzi una scelta per certi versi coraggiosa.
In un panorama dominato dalla “scrittura ibrida” – in cui la letteratura si contamina spesso col giornalismo, in cui prevalgono le forme spurie e gli sperimentalismi stilistici del romanzo-inchiesta, dell’autofiction, del “realismo dell’irrealtà” (che è anche il segno, secondo il critico Gianluigi Simonetti de La letteratura circostante, di una «forma particolare di nevrosi comunicativa, che aspira all’implementazione e all’eccesso dei codici, e sconfina nella performance pluridisciplinare») – Monfregola decide invece di adottare una struttura narrativa tutto sommato lineare, di assumersi la responsabilità di dar senso a uno svolgimento delle vicende che presenta un’evoluzione intellegibile (e, in quanto tale, anche valoriale).
Anzi, seppur di riflesso, si assume il compito di comporre un vero e proprio affresco di un certo ambiente e di una certa condizione spazio-temporale. Presentato non a caso come «il Pasto nudo della generazione-Erasmus», Gli annegati possiede infatti una forte connotazione di contesto: come già accennato, ci troviamo a Berlino e in particolare in quel “quadrante della metropoli” fra Alexander Platz e Friedrichstrasse in cui si svolge prevalentemente la vita notturna dei 30-40enni e dei cosiddetti “expat”, quale è il protagonista del romanzo. Più precisamente, all’inizio dell’intreccio, ci troviamo proprio dentro le acque del fiume Sprea che attraversa la capitale tedesca.
Arthur Cipriani si “risveglia” improvvisamente trasportato dalla corrente e, senza aver contezza di come è finito in quella situazione, deve nuotare e lottare per non essere travolto.
Da lì la storia si dipana fra incontri, conversazioni, serate di clubbing ed “evasione estrema” (a un certo punto, c’è anche spazio per un’orgia semi-rituale à la Eyes Wide Shut) nel tentativo di recuperare memoria e informazioni su quanto è successo prima che cadesse, o si buttasse, nel fiume. A segnare una svolta, la conoscenza di Kimiko – che rispetto all’economia relazionale e all’estrazione sociale del protagonista rappresenta una sorta di alterità: lui, migrante italiano che ha appena chiuso un’importante esperienza di lavoro in Estremo Oriente, parte appunto della cosiddetta “generazione Erasmus” che ha avuto accesso a buone opportunità di formazione e ha introiettato una certa attitudine cosmopolita (anche in senso politico); lei, più giovane e proveniente dall’estrema periferia berlinese di Marzahn nord in cui il partito di estrema destra nazionalista Alternative für Deutschland prende oltre il 20%, sorella di un neonazista e abituata a guadagnarsi da vivere fra spaccio e sussidio di disoccupazione.
Al contesto di Marzahn Monfregola ha dedicato parte della sua attività giornalistica, pubblicando alcuni importanti reportage, di cui Gli annegati è in qualche modo la trasposizione letteraria o, ancor meglio, rappresenta la rielaborazione narrativa di ciò che nell’esplorare il quartiere periferico resta ai margini e non viene messo in luce dai fatti e dai dati.
In particolare, incrociando scrittura giornalistica e letteraria dell’autore, si potrebbe dire che la domanda di fondo – analizzata a livello reportagistico per Marzahn e a livello romanzesco estesa al mondo degli expat – verta su quel senso di vergogna e inadeguatezza che, se per chi si percepisce escluso dal sistema diventa consapevolezza esplicita e quasi motivo di costruzione identitaria, per chi è “integrato” costituisce invece un non-detto, un pungolo sotterraneo che solo un’esperienza o un incontro brucianti possono far venire a galla.
Similmente, verso la fine de Gli annegati, il protagonista Arthur Cipriani delira in un monologo interiore che è una sorta di confessione retrospettiva: «Dormire è ogni volta morire. Voglio qualcosa, ma non c’è niente che io voglia, è il lavoro che odio, ma non è il lavoro il mio problema, è l’ufficio che detesto, ma non è l’ufficio il mio inferno, è la mia solitudine che mi uccide, ma voglio stare da solo, sento il bisogno di fare mille flessioni, ma non riesco nemmeno a muovere le braccia. Non so cosa fare, non l’ho mai saputo».
Chi sono, dunque, gli “annegati” che evoca il titolo del libro? In un certo senso, ogni persona che – come i due personaggi principali della storia – prenda coscienza della propria condizione di marginalità rispetto a un ipotetico “centro” dei grandi processi storici, del dibattito politico e del benessere materiale. Kimiko perché vive un’emarginazione concreta e quotidiana sulla sua pelle; Cipriani perché, nell’inseguire acriticamente certi dettami di classe e lavorativi, sente di fatto di aver perso tensioni vitalistiche più profonde.
Ma ancora più “annegati” sono forse tutti quelli che – come gli altri personaggi secondari del libro, ovvero la cerchia di amici e amiche del protagonista – sembrano non rendersene del tutto conto, che invece di lottare contro-corrente come fa Arthur all’inizio del libro (anche se solo per non affogare e senza sapere come si sia trovato lì) se ne lasciano trasportare. In questo senso il fiume Sprea (la cui acqua «puzza del mondo intero» ed è «infetta di melma e paura»), che caratterizza l’incipit narrativo, non fa parte solo dell’ambientazione del romanzo ma acquisisce piano piano un ruolo metaforico tale da renderlo quasi il vero protagonista dell’intreccio (a confermarlo, un finale tanto al limite del realismo da thriller quanto simbolico-apocalittico).
È il topos a cui, per forza di cose, ritorna ogni volta la mente di Cipriani nel tentativo di ricostruire ciò che è successo la notte in cui ha rischiato di affogare.
È, di fatto, un non-luogo della vita notturna berlinese eppure qualcosa di sempre presente, ad aleggiare come uno spettro su quanto si svolge “a riva”. È, infine, una sorta di matrice formale attorno a cui si impernia e si articola lo stile – secco, teso e torrenziale – della scrittura.
Gli annegati è infatti un esempio sui generis di realismo isterico, in cui lo scontornarsi parossistico delle apparenze è reso tramite un racconto in prima persona che poco ha di introspettivo e intimistico, ma anzi scorre nevroticamente assieme alle vicende: corrisponde, appunto, alla volontà di far fluire lo stile assieme allo svolgimento della trama, di assegnare alle parole una funzione mimetica rispetto al corso dello Sprea. E questo perché l’altro grande flusso che attraversa il romanzo, stavolta immateriale, è proprio quello dei discorsi, se vogliamo della “chiacchiera”: sullo sfondo della parabola di formazione e dell’affresco sociale, con la sua opera prima Monfregola coltiva anche una vena di “satira dei costumi”.
Gli annegati è infatti anche un libro fitto di dialoghi, di numerosi e divertenti discorsi diretti che sembrano “dar corpo” a tante dinamiche contrappositive che si ritrovano spesso nel dibattito online e che hanno a che fare con alcuni dei “vicoli ciechi” in cui talvolta sembrano incappare e dividersi politiche e posizioni genericamente “di sinistra” (ma non solo).
Dalle migrazioni alla white fragility, dall’intersezionalità al femminismo fino alle contraddizioni del multiculturalismo, tanti temi vengono passati al vaglio di un’ironia caustica e a tratti arguta che – al di là degli argomenti su cui fa leva – si pone come principale bersaglio critico l’ipocrisia delle parole d’ordine elevate a sistema di pensiero e del conseguente proliferare di relazioni sempre più artefatte e magari “ideologiche” («Una volta, dopo che avevamo fatto l’amore, Janette si è seduta sul letto e mi ha detto di voler discutere della possibilità di smetterla con la penetrazione. […] non ce l’abbiamo fatta a trovare un piano-di-discussione-condiviso», racconta Cipriani a proposito di una storia con un membro della Rosa Luxemburg Stiftung).
Il fiume metaforico in cui sembrano affogare i tanti personaggi che affollano Gli annegati è allora, alla lettera, un “fiume di parole”, di tic discorsivi e di abitudini introiettato dall’alto (e “dagli altri”) verso cui il protagonista finisce col provare un senso di soffocamento. Lui riuscirà a trovare un gesto radicale, per quanto “estremo” e anche fortuito, per uscirne e tornare a respirare. Noi, avvolti dalle anse della Sprea e nelle maglie di una lettura dai tratti vorticosi, non possiamo che prenderne atto.
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