MONDO
Presidenziali in Cile, scenario preoccupante verso il ballottaggio
Le elezioni di domenica scorsa aprono un nuovo scenario nel paese, sospeso tra il ritorno dell’ultra destra e un candidato che non convince i movimenti. Ballottaggio il 19 dicembre tra Gabriele Boric di Apruebo Dignidad e il candidato dell’estrema destra José Antonio Kast
Questa volta i sondaggi non hanno fallito: José Antonio Kast, del Partido Republicano, è stato il più votato al primo turno delle elezioni presidenziali cilene con il 27,91% dei consensi e si presenterà da favorito al ballottaggio del 19 dicembre. Nella scheda elettorale del secondo turno lo accompagnerà Gabriel Boric, della coalizione Apruebo Dignidad (Frente Amplio-Verdi-Partito Comunista), che ha raccolto il 25,83% dei voti.
Dietro di loro Franco Parisi (12.80%), il candidato che ha fatto la campagna elettorale dagli Stati Uniti, senza mettere piede in Cile; il grande sconfitto Sebastián Sichel, candidato della coalizione di governo, che ha raccolto solo il 12.79%; Yasna Provoste (Democrazia cristiana, Partito Socialista e Partido por la Democracia) con l’11,61%; Marco Enríquez-Ominami del Partido Progresista (7,61%) ed Eduardo Artés (1,79%) dell’Unión Patriótica.
Dopo le elezioni, Enríquez Ominami ha chiamato Boric a essere il leader della sinistra, offrendogli il suo appoggio per il secondo turno. Provoste, pur annunciando che starà all’opposizione, ha lanciato un appello a fermare l’avanzata del fascismo rappresentato da Kast, mentre Artés aveva detto già prima delle elezioni che avrebbe appoggiato Boric solo di fronte all’impegno a liberare tutte le persone ancora in carcere per i fatti del 2019.
Dall’altra parte, Sichel ha affermato immediatamente che è disposto a discutere con Kast – che della coalizione attualmente al governo è stato deputato in varie occasioni – sulle differenze dei rispettivi programmi, annunciando di fatto l’appoggio al candidato repubblicano.
La grande incognita è rappresentata dagli elettori che hanno scelto Parisi, un candidato che si colloca a destra, che ha detto che lancerà un referendum in rete per decidere chi appoggiare al secondo turno, ma che non necessariamente dispone delle preferenze che gli sono state accordate domenica. In un paese dove in generale si vota poco, l’affluenza è un’altra variabile da tenere in considerazione; ieri è stata in linea con le ultime presidenziali (47,34%; nel plebiscito per la nuova costituzione aveva votato il 50,95% delle e degli aventi diritto), ma c’è da chiedersi cosa farà di fronte alla minaccia Kast chi ieri è rimasto a casa.
Allargando l’inquadratura la riflessione da fare è più profonda. In primo luogo c’è da domandarsi cosa sia successo tra maggio – quando la destra ridotta ai minimi storici è rimasta molto lontana dal terzo dei seggi necessari per esercitare un potere di veto sulla Convenzione costituzionale – e la giornata elettorale di ieri, che ha dato la “prima minoranza” a un candidato di estrema destra, apertamente pinochetista, ultraliberale e antiabortista, esponente di un partito che non aveva ottenuto nemmeno un seggio per la convenzione.
Detto in altre parole e rimanendo all’interno della dimensione elettorale: perché dopo che quasi l’80% dei votanti ha chiesto la fine della costituzione di Pinochet e dato fiducia alle e ai candidati a convenzionalisti che esprimevano il rifiuto al modello, arriva da favorito al ballottaggio presidenziale il candidato che più di ogni altro rivendica e rappresenta quel modello?
Siamo di fronte a una situazione estremamente preoccupante, che sembrava impossibile da pronosticare pochissime settimane fa.
Non va sottovalutato il fenomeno Kast e le esperienze recenti di Brasile e Stati Uniti insegnano che gli appelli a fermare il fascismo non sempre sono efficaci, ma va anche tenuto in considerazione che, se è vero che l’unico dei candidati apertamente contro il processo costituente ha guadagnato 300 mila voti rispetto ai NO al plebiscito del 2020, è anche vero che è stato votato da poco meno di due milioni di persone su un totale di oltre 15 milioni di aventi diritto.
È facile comprendere che le élites che vedono vacillare certi privilegi e quelli che chiedono ordine e mano dura vadano a votare in massa per un candidato che li promette, così come non è difficile capire che le violente campagne anti-immigrazione facciano breccia in alcuni segmenti sociali castigati dalla crisi durante la pandemia. Ma il nodo della questione è però capire perché quelli che rifiutano il modello hanno deciso di non andare a votare o non farlo per Boric.
Se è vero che la campagna della destra è stata segnata da menzogne e terrore, come ha denunciato tra gli altri il direttore di “Le monde diplomatique” Libio Pérez, e che le fake news sono andate ben oltre la soglia del ridicolo, questo non può bastare a spiegare la débâcle di Boric e la risalita delle destre anche alle elezioni parlamentari.
La campagna sporca della stampa, in un paese con un’altissima concentrazione dei mezzi di comunicazione, c’è sempre stata, ma questo non ha impedito ai movimenti di conquistare la nuova costituzione e di annullare le forze di destra alle elezioni di maggio, sia in quelle per la scelta delle e dei convenzionalisti sia in quelle amministrative.
Non ci sembrano troppo convincenti le letture che annunciano la fine dell’octubrismo, vale a dire di quello spirito che ha caratterizzato le mobilitazioni a partire da ottobre 2019, così come quelle che parlano di un octubrismo neoliberale, visto che se contro qualcosa si è diretto l’Estallido social sono stati i capisaldi del sistema neoliberale e dello stato sussidiario cristallizzati nella Costituzione.
Forse parte del problema è stato proprio che il candidato di Apruebo Dignidad è stato troppo poco octubrista in campagna, troppo remissivo rispetto all’agenda imposta dalla destra: sicurezza, lotta al narcotraffico e al terrorismo in primo luogo. Timido su un programma minimo ambizioso su questioni centrali come previdenza sociale, educazione e riforma tributaria, cosa che ha lasciato intravvedere quello che è stato definito “bacheletismo 3.0”, una gestione del modello che non ne mette in discussione le fondamenta.
E che l’octubrismo non sia morto lo dimostra il fatto che continuano a essere in caduta libera le coalizioni che hanno amministrato la transizione fino a oggi, rappresentate domenica da Provoste e Sichel.
Ma altre tracce dello spirito di ottobre si possono trovare nell’elezione a deputata di Emilia Schneider (Apruebo Dignidad), prima parlamentare trans della storia cilena e una delle prime a livello regionale. Ex presidentessa della Federazione degli studenti dell’Universidad de Chile e pronipote di un Comandante in capo dell’esercito dell’epoca allendista ucciso da un gruppo di estrema destra nel 1970, Emilia è stata eletta in uno de collegi elettorali di Santiago. Dopo l’elezione ha segnalato che il risultato si deve ad anni di lotte della dissidenza sessuale.
Un’altra affermazione octubrista è stata quella di Fabiola Campillai, candidata indipendente che è stata la più votata in assoluto alle elezioni per il Senato. A novembre del 2019, Fabiola, militante di base in un quartiere popolare di Santiago, stava aspettando l’autobus per andare al lavoro in fabbrica, quando ha ricevuto un lacrimogeno in pieno volto che l’ha tenuta due mesi in coma e le ha causato la perdita totale della vista da entrambi gli occhi, dell’olfatto e del gusto. In un atto di estrema provocazione, alla vigilia delle elezioni Kast ha portato la sua solidarietà al carabiniere per cui l’accusa ha chiesto 12 anni di carcere.
Senza una struttura partitaria a sostenerla, Fabiola ha ottenuto oltre 400mila preferenze nella sola Santiago: 120mila in più e 5 punti percentuali rispetto al secondo eletto. «Oggi abbiamo fatto storia – ha dichiarato a caldo – Il popolo ha deciso che una donna, operaia di fabbrica, dirigente sociale del suo quartiere, di origine diaguita e indipendente entri in Parlamento». Anche lei, come Artés, si è detta disposta a sedersi intorno a un tavolo con Boric, a patto che il candidato alla presidenza si impegni a garantire verità e giustizia alle e agli arrestati della rivolta.
Il panorama appare segnato, più in generale, da un problema che eccede il caso cileno: quello della traduzione in termini elettorali delle tensioni e delle lotte che hanno stravolto il paese negli ultimi anni.
Anche se non ci pare corretto sovrapporre completamente il processo costituente in corso – che ha riconfigurato la dimensione soggettiva della politica, prima ancora che quella istituzionale – con la redazione della nuova Costituzione, la posta in gioco è molto alta. E lo è sia perché il prossimo presidente sarà quello che dovrà implementare la nuova costituzione, sia perché una ritrovata egemonia delle destre mette a rischio lo stesso processo che porterà alla nuova carta costituzionale, visto che dovrà essere approvata da un referendum con voto obbligatorio e quorum di due terzi, senza il quale si ritornerebbe alla Costituzione del 1980. Alcuni segmenti dei movimenti, che si erano tenuti al margine della campagna presidenziale, sono entrati in stato d’agitazione.
Immagine di copertina della campagna elettorale per Sebastian Farfan Salinas, Frente Amplio.
Nell’articolo, foto 1. Kast a cura di di Mediabanco Agencia da wikimedia commons. Foto 2 – 3 da Santiago del Cile la notte del referendum costituente di Pedro Aceituno, che ringraziamo per la gentile concessione