ITALIA
I rave con Salvini al Viminale
Fratelli d’Italia e Lega usano la festa nel viterbese per attaccare la ministra dell’Interno Lamorgese, ma i free-party c’erano anche quando Salvini sedeva al Viminale. Dietro le questioni “tekniche” il nodo principale rimane la politica migratoria nel Mediterraneo, dove è cambiato meno di quanto si possa pensare
Dopo gli sbarchi, il rave. La campagna estiva di Fratelli d’Italia e Lega contro la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese non è andata in ferie. «Valutiamo una mozione di sfiducia», ha fatto sapere lunedì Giorgia Meloni. «Il rave andava fermato prima. Mi sembra che chi occupa il ministero dell’Interno in questo momento non sia adeguato», ha dichiarato subito dopo la fine della musica il leader del Carroccio Matteo Salvini. «Rave di Viterbo? Il responsabile di quello che accade in Italia è il ministro dell’Interno, non si può scaricare il barile su questore, prefetto, polizia o carabinieri», ha detto ancora ieri.
Salvini non ha perso occasione per attaccare la ministra che gli è subentrata al Viminale, tornando ripetutamente sul tema in televisione e sui social network. Ma davvero quando c’era lui nelle campagne dello Stivale avevano smesso di rimbombare i 180 Bpm?
Tra il patto con i Cinque stelle e i cocktail sotto cassa al Papeete Beach, con annessa allucinazione dei «pieni poteri», sono trascorsi 15 mesi: dal primo giugno 2018 al 4 settembre 2019. Un rapido brain storming tra gli appassionati di free party ricorda diverse «illegali» andate in scena in quel periodo. Almeno due quelle più grandi.
La prima a Nichelino, in Piemonte. Intorno alle 23 del 6 ottobre 2018 nell’ex fabbrica Viperti si accese un enorme muro di casse che fece ballare per tre giorni 6/7mila persone accorse da tutta Italia e da diversi paesi europei. Lo storico collettivo romano dei Kernel Panik festeggiava 20 anni di musica tekno. La seconda nelle campagne di Manduria, in Puglia. Il tradizionale rave di Ferragosto, praticamente negli stessi giorni di quello di Valentano, attirò tra gli ulivi oltre 5mila persone che andarono avanti dal 14 al 18 agosto tra i casolari abbandonati di contrada Laurito.
In entrambi i casi la gestione delle forze dell’ordine e del ministero dell’Interno fu sostanzialmente uguale a quella vista nella Tuscia dieci giorni fa: nessuno sgombero per evitare ulteriori problemi di ordine pubblico, identificazioni a tappeto, denunce per invasione di terreni, controlli anti-droga. A queste feste se ne aggiungono tantissime altre, più piccole, andate avanti per molte ore o diversi giorni e terminate con le stesse modalità.
Nell’estate 2018, intorno al 20 di giugno, in 500 si sono dati appuntamento a Castrì, in Salento, per tre giorni di tekno. Alcune settimane dopo, dal 15 di agosto, le casse sono rimaste accese per cinque giorni sul Monte Vermenone, facendo ballare alcune migliaia di persone.
A inizio settembre la tekno è arrivata sulle montagne vicino Pomarolo, in provincia di Trento. Alla fine del mese le danze sono andate avanti per 72 ore nell’ex centrale elettrica di Montalto di Castro, provincia di Viterbo. Altre decine di eventi su scala ridotta si sono svolti nei mesi successivi (come quelli di Frassineto Po e Terranova tra maggio e giugno 2019). Tre settimane dopo le dimissioni di Salvini un altro mega party è esploso a Offanengo, in provincia di Cremona, con migliaia di persone: i ministri dell’Interno cambiano, i rave restano.
Al di là delle questioni tekniche, tutto sommato strumentali, dietro gli attacchi di Salvini a Lamorgese rimane il tema principale degli sbarchi.
Qui il gioco delle parti è ancora più evidente. Salvini ha bisogno di rappresentare continuamente “la Lega di lotta e di governo” e mostrare che su un tema identitario come l’immigrazione il suo partito incarna una differenza. La ministra ha avuto un approccio pubblico più soft sui flussi provenienti da sud, con toni bassi e poche dichiarazioni. Anche per questo è diventata un bersaglio.
Dietro gli aspetti di facciata, però, la sostanza delle scelte politiche non è cambiata: finanziamenti alle milizie libiche e contrasto delle navi Ong. Su questo secondo aspetto durante il Conte II e il governo Draghi si sono registrate perfino più navi umanitarie bloccate e per tempi maggiori. L’aumento degli sbarchi, semmai, è da ricondurre all’imprevista crisi tunisina. Anche perché i libici fanno sempre meglio il loro sporco lavoro (nei primi otto mesi di quest’anno hanno catturato oltre 22mila migranti, il doppio di tutti quelli del 2020). Qualcuno si è accontentato del cambio di stile, ma la verità è che nel Mediterraneo ci vorrebbe tutta un’altra musica.
Foto di copertina da Wikicommons