ITALIA
Space travel, lettere sul rave
Il nostro articolo “È tutta colpa del rave” ha generato reazioni numerose e di segno opposto. Abbiamo ricevuto complimenti e critiche. Pubblichiamo le lettere e i messaggi giunti in redazione, con una raccolta di tweet
ATTENTI AL RAVE
Ci sembra il caso di scrivere qualcosa a proposito del grande straparlare che si è fatto sulla cosiddetta festa “rave” dei giorni scorsi, tornando pure indietro di qualche anno con la memoria, spinti un po’ come tutti dal disgusto per le litanie lacrimoso-indignate – e anche talvolta un tantinello reazionarie – da parte della stampa, della radio, della tv, e compagnia cantando. Intanto ringraziamo per la “controinformazione” sul sig. C. vero squalo di campagna, produttore di broccoli per la patria, campione del neoliberismo, pronto ad affittare i suoi terreni, ma alle brutte, per far capire chi è, capace di interpretare John Wayne nella parte di Chisum, tipo “Liberatemi da queste zecche, che sennò metto mano alla colt”! Tornando al dunque, ci chiediamo che senso può avere tutto ‘sto scandalo per una festa “rave” (abbiamo letto che si definisce in altro modo, ma non abbiamo la competenza per approfondire l’argomento).
Nella nostra memoria ci sono o non ci sono altre esperienze simili, anche più numerose e partecipate… Come non ricordare Woodstock (1969)? Tra noi praticamente nessuno poteva essere lì, vuoi per motivi sia anagrafici che economici che politici (il divieto d’ingresso negli USA per i comunisti era un fatto, alla faccia della grande “democrazia liberale” – bah). Ma anche chi non c’era credo che ne abbia sentito, letto e visto; e pure rimpianto di aver mancato l’occasione – come a tutti, forse, a noi viene in mente l’Inno USA suonato da Jimi Hendrix, tanto per citare il più noto brano musicale di quell’evento? Ma per fortuna, nella nostra vita non c’è stata solo Woodstock purtroppo “mancata”: pensiamo ai concerti-festival rock organizzati nelle ville e giardini della città, e il nostro fronteggiarci spesso (e anche volentieri…) con i servizi d’ordine al soldo dei padroni della musica, per entrare senza pagare una lira; e poi il Festival del proletariato giovanile (Parco Lambro, Milano 1976), cantato ed anche criticato da Gianfranco Manfredi nella canzone “Un tranquillo festival pop di paura”, preludio al Movimento del ’77; e poi Umbria Jazz, sempre del ’76, con le masse di giovani selvatici che si aggiravano in cerca di grande musica, cibo ultraeconomico se non gratuito e un posto coperto dove dormire gratis, dilettandosi in microsaccheggi non tanto o non solo per arricchirsi, ma soprattutto per criticare la merce del capitale.
Un ricordo ci piace raccontare, una animata discussione a Gubbio, tra un giovane della Fgci che accusava un suo coetaneo un po’ “selvatico” di “non essere un democratico”, e l’altro che rispondeva con orgoglio “non sono un democratico, sono un comunista”. E poi ancora, il Festival internazionale dei poeti di Castel Porziano, dove parteciparono, tra gli altri, i più noti scrittori e poeti della beat generation (per credere, evitando di citare tutti i partecipanti, v. www.leculturedeldissenso.com, Festival di Castel Porziano, 1979; noi ce lo siamo perso, ma si può chiedere a chi c’era, se gli andasse di raccontare, magari in quattro parole, qualcosa del valore di quella storia). E ancora, i concerti jazz gratuiti a piazza Navona, la “Nuova Compagnia di canto popolare che si esibiva a poco prezzo nei teatri di periferia, e gratuitamente a Villa Ada… Qualcuno giudicherà poi quegli episodi e quei comportamenti come preparatori e/o conseguenza degli “Anni di piombo”. Niente di più sbagliato: si trattava invece della richiesta di socialità, anche attraverso la riappropriazione della cultura (e non solo…), di grandi masse giovanili, di fronte alla noia ed al perbenismo, al “decoro” dell’ipocrisia capitalista. E questo è potuto avvenire anche perché questo desiderio ha prodotto ed è stato prodotto da un grande Movimento di massa.
Come sia finita questa storia lo sappiamo tutti; e forse qualcuno ha anche imparato dagli errori commessi. Ma quello che comunque abbiamo capito, è che anche attraverso queste esperienze si può crescere politicamente ed organizzativamente. Vorremmo chiudere tornando un momento a Gianfranco Manfredi, ai versi della sua canzone assai in voga in quegli anni “Dagli Appennini alle bande” (e perdonate il linguaggio, che forse vi sembrerà un po’ “antico”)…
E parlavano di lui, scrivevano di lui Lo facevano più “bamba” che bambino
Parlavano di lui, scrivevano di lui
Sì, ma lui rimane sempre clandestino Ora pare che il suo nome sia teppista
Fricchettone, criminal, provocatore
Pare che ami travestirsi da sinistra
Ma sia un docile strumento del terrore E lo beccano ogni tanto che si buca
O maneggia un po’ nervoso una pistola
O che lancia da una moto sempre in fuga
Una molotov sull’uscio della scuola Ora parlano di lui e scrivono di lui
Lo psicologo, il sociologo, il cretino
E parlano di lui e scrivono di lui
Ma lui rimane sempre clandestino E si dice: “Se ci fosse più lavoro”
Se il quartiere somigliasse meno a un lager
Non farebbe certo il cercatore d’oro
Assalendo il fattorino delle paghe Ma è la merce che c’è entrata nei polmoni
E ci dà il suo ritmo di respirazione
Il lavoro non ci rende mica buoni
Ci fa cose che poi chiamano “persone” E se parlano di lui, se scrivono di lui
È che il nostro sogno è ancora piccolino
Se parlano di lui e scrivono di lui
È che il nostro io ci resta clandestino E parlano di lui e scrivono di lui
E il nostro sogno ancora piccolino
E parlano di lui e cantano di lui
E il nostro io ci resta clandestino
E parlano di lui e scrivono di lui
Lo psicologo, il sociologo, il cretino
E parlano di lui e cantano di lui e scrivono di lui…
(Annarita & Emilio)
FREE PARTY
Gentile redazione di Dinamo,
ho letto e apprezzato il commento “È tutta colpa del rave” pubblicato 19 agosto. Ne ho tratto argomenti e riflessioni molto interessanti: in particolare sulle malattie dell’informazione e sull’identità fra divertimento e consumismo.
Una tesi però mi sembra, da ignorante come sono, assai debole.
Si può davvero sostenere che un free party sia uno spazio «non commerciale»? Gli organizzatori hanno parlato di una dutata minima necessaria per rientrare dai costi; se il teknival fosse durato di più, ne deduco che avrebbero ricavato profitti.
Forse la comunicazione via social è pressoché gratis, ma tutto il resto mi sembra coerente con le dinamiche del turismo (scelta del luogo, promozione, afflusso, cibo, servizi, gadget) e della gamification (regole proprie, costruzione di una comunità, spazio speciale) di massa.
In più, probabilmente, c’è una cospicua fetta di evasione fiscale, anch’essa diffusissima proprio nel sistema commerciale del divertimento. Quanto alle droghe, esse sono certo un elemento cardinale della gamification, ma al contempo mi è difficile immaginare qualcosa di più cristallinamente commerciale, anzi capitalista, di questo: fornire droghe ad alcune migliaia di persone per diversi giorni richiede una catena di investimento, approvvigionamento, fornitura e spaccio che solo un mercato complesso rende possibile.
Quello delle droghe, a quanto ne so, è un mercato globale strettamente legato alle mafie e ai traffici internazionali di armi e prostituzione, e a molteplici forme di sfruttamento spietato del lavoro e delle persone: i capitali sono spesso gli stessi, gli attori economici apicali anche. Mi è difficile immaginare un settore più commerciale.
È vero che il tardo capitalismo fagocita e uniforma a sé tutto, anche ciò che s’illude di rimanerne estraneo o di contestarlo. Ma è essenziale che il prodotto “free party” sia confezionato e venduto appunto con l’etichetta di ribellione, libertà o evasione.
Se mi sbaglio di grosso, mi scuso del tempo che vi ho fatto perdere.
Grazie e cordiali saluti
(Narno Pinotti)
I DANNI AMBIENTALI DEL RAVE
Spett.le redazione,vi scrivo in merito all’articolo sul Lago di Mezzano in cui si riporta, erroneamente, che l’area protetta più vicina è quella della Selva del Lamone.
Evidentemente chia ha scritto il pezzo non è a conoscenza che il Lago di Mezzano è Sito di Interesse Comunitario. Inoltre lo stesso Sito di Interesse Comunitario del Lago di Mezzano (codice IT…611 confina con un altro SIC, quello della Caldera di Laterza (codice IT…612) a testimonianza dell’enorme importanza naturalistica dell’area.
I siti di interesse comunitario sono la principale politica di conservazione della biodiversità dell’Unione Europea, la rete Natura2000, in quanto proteggono specie e habitat di interesse comunitario (in base alle direttive 147/2009/CE “Uccelli” e 43/92/CE “Habitat”).
Sostanzialmente il livello di protezione è anche maggiore ad un’area protetta tradizionale (esse stesse sono considerate normativamente aree protette) in quanto ospitano specie rarissime e in via di estinzione.
I siti Natura2000 hanno piani di gestione per tutelare attivamente queste specie (dopo molti esposti l’Italia è andata sotto procedura d’infrazione comunitaria per non aver tutelato adeguatamente queste aree, per dire).
Qui il Piano di Gestione del SIC Lago di Mezzano: http://www.provincia.vt.it/Ambiente/natura2000/mezzano.asp
Qui trovate la relazione prodotta da ricercatori sulla fauna e la flora dei due SIC: http://www.provincia.vt.it/Ambiente/natura2000/mezzano/Relazione_Gen_Mezzanob.pdf
Ci sono specie rarissime e minacciate (alcune delle quali nidificano e cacciano proprio nelle aree oggetto dell’evento e in quelle circostanti disturbate dalla musica).
Stupisce che tale fatto non sia riportato e ciò stravolge qualsiasi valutazione circa gli impatti di tale evento su aree di estrema importanza e vulnerabilità per la tutela della biodiversità.
Lo scrivente fa parte da decenni di movimenti che si battono a tutti i livelli per l’ambiente (giusto per capirci, sono stato tra gli organizzatori del treno speciale dall’Abruzzo per il G8 di Genova e partecipo a tutti i movimenti abruzzesi, da Ombrina al Gran Sasso passando per il centro oli dell’Eni e il gasdotto Snam a Sulmona). Ogni giorno, anche per cose assai meno rilevanti di quanto accaduto a Mezzano, lottiamo per chiedere il rispetto delle normative comunitarie da parte di enti e istituzioni. Qualsiasi attività, diretta o indiretta, addirittura anche se esterna al SIC ma che può avere impatto internamente, deve essere assoggettata a Valutazione di Incidenza Ambientale in base al DPR 357/1997.
La delicatezza di queste aree è tale che pure l’apertura di un sentiero oppure una corsa podistica vengono assoggettate finalmente a questa procedura (qui alcuni esempi nella mia regione: https://www.regione.abruzzo.it/procedimenti-vinca-conclusi).
Mi sembra letteralmente incredibile una Vs sottovalutazione, anche in prospettiva di tutte le lotte che facciamo ogni giorno nei territori, sull’atteggiamento tenuto dai soggetti che ritengono che la “libertà” sia quello di fare qualsiasi cosa in ambienti così delicati.
Da ornitologo posso aggiungere che anche solo la musica sparata a quei volumi determina un impatto gravissimo su specie migratrici che in questo periodo hanno bisogno di riposo oppure su specie che stanno finendo ad allevare i pulcini o i giovani appena involati.
Esprimo tutta la mia sorpresa per vedere “sdoganare” comportamenti che fanno andare indietro di 20-30 le lotte per la tutela della biodiversità dal punto di vista culturale. Mi chiedo domattina come faremo a chiedere al Comune X o all’azienda Z una valutazione di incidenza per la realizzazione di una qualsiasi attività.
Quello che è accaduto a mio avviso è solo l’altra faccia della medaglia dell’arroganza che combattiamo ogni giorno in multinazionali & co.: un uso predatorio della Natura senza badare alle conseguenze, frutto di quel consumismo “usa e getta” che non si preoccupa delle conseguenze delle proprie azioni.
Potrei aggiungere molte cose sull’impatto acuto di un tale assembramento sulla qualità delle acque superficiali e sotterranee in assenza di depurazione dei reflui di ogni tipo prodotti in quei giorni da un tale assembramento di persone (vi invito ad andare ad un qualsiasi depuratore di una città di 5.000 abitanti).
Per chi ha gestito in concreto siti Natura2000 per molti anni e ogni giorno esamina progetti dentro o appena fuori questi siti, quello che accaduto è letteralmente senza senso ed è desolante che si cerchi di ammantare tale evento di una qualche legittimazione.
Andavano fermati e sgomberati? Sì, senza se e senza ma. Accettereste una cosa del genere nella Cappella degli Scrovegni? Ecco, il Lago di Mezzano è, per la natura, una Cappella degli Scrovegni che va gestita e fruita ogni giorno in punta di piedi. I beni comuni non sono qualcosa da sfruttare in maniera selvaggia ma da preservare dimostrando di avere la sensibilità necessaria per luoghi unici.
Cordiali saluti
(Augusto De Sanctis)
COMPLIMENTI DI CUORE
Il vostro pezzo “È tutta colpa del rave” firmato dalla redazione intera, oltre ad essere molto piacevole nella lettura, è analitico, obiettivo, colpisce (senza accanimento) dove deve colpire e difende quello che merita di essere difeso.
Mi è piaciuto davvero.
Ogni tanto pezzi così mi fanno ricredere sul fatto che il Giornalismo non è ancora morto (o peggio, del tutto strumentalizzato).
Bravi
(Saya)
IL VOSTRO TRISTE ARTICOLO SUL RAVE PARTY
Salve, leggendo il vostro triste articolo, è difficile non ritenere ridicola e imbarazzante la tua posizione di difesa nei confronti di questo fantomatico rave party. È facile considerarsi esperti indipendenti, meno quando si tratta di capire come si vive in un ambiente rurale (per davvero e non come figli di papà del ’68).
1) Innanzitutto è ridicolo non considerare gli abitanti del luogo che pretendono che nel proprio territorio si rispettino le sacrosante regole (siamo una democrazia liberale e non sotto la sharia, non è complicato seguire le regole). Non sono bigotti loro, ma piuttosto fuori luogo voi che avete partecipato a questo Teknival.
2) Le condizioni igienico-sanitarie erano critiche: mettendo da parte che siamo ancora in piena pandemia (magari per qualcuno il virus è come l’influenza), nel luogo c’erano pochi presidi sanitari creati da volontari. Il posto è oltretutto mal collegato, quindi far arrivare un’ambulanza richiede tempo. Bagni chimici o acqua potabile? Non pervenuti (le persone si andavano a lavare al lago). Infine 15000 persone in una zona così remota senza gestione o autorizzazione pubblica, vuoi che non ci scappi un morto? Infatti una persona è scomparsa, qualche stupro (ahh ma è il patriarcato, non qualche sostanza empatogenica…), un paio di coma etilici e un bel parto come ciliegina sulla torta? In un locale almeno evitano di far entrare le donne incinte. Il paragone con le spiagge è inutile: se sbagliano gli altri, non si è autorizzati a fare quello che si vuole. Con lo stesso vostro ragionamento, visto che nessuno si indigna per i politici che rubano, allora anche io rubo.
3) Parliamo tanto del rispetto dell’ambiente, poi calpestiamo tranquillamente l’importanza dell’inquinamento acustico in una zona rurale. Ce ne freghiamo degli animali domestici e selvatici? Morto un cane, se ne prende un altro? Sai come reagisce una pecora o una vacca a questi stordimenti percepibili a decine di km?
Noto anche un bel “me ne frego” mussoliniano (perché in questo siete uguali) anche per i rifiuti indifferenziati, lasciati per terra, di cui adesso un comune di 3000 anime si deve fare carico (alla faccia della buona organizzazione conclamata). Dopo tutto questo degrado sarebbe stato meglio invadere una zona industriale abbandonata, visto che non mancano nel nostro paese.
4) Che diritto avevano gli organizzatori per lucrare su una cosa del genere, in nero? Non ci credo che si sono accampati lì per andarsene a mani vuote. Mi chiedo, a questo punto, anche come riciclano i soldi guadagnati. Si sputa pure in faccia ad una categoria (discoteche e club privati) che devo imporre l’uso del Green pass ai propri clienti.
Adesso mi bollerete come un boomer, quando in realtà sono io stesso un ventenne, con una gran voglia di divertirsi. Tuttavia, tra un ambiente predisposto come i club seri a Berlino e un’organizzazione in piena campagna di 4 poveri idioti che si autoproclamano tutori della controcultura, preferisco di gran lunga i primi. Infine non mi parlate di ipocrisia, perché il benaltrismo da quattro soldi mi fa pena (salviniano o non che sia).
(Francesco Z.)
GRAZIE DI CUORE
Grazie veramente per essere riusciti a parlare in maniera chiara di come siano riusciti a strumentalizzare la questione. Ho spammato il vostro articolo ovunque! Complimenti per la chiarezza espositiva e per la pacatezza dei toni (rara di questi tempi, basti vedere i titoli de “La nazione” e molti altri quotidiani nazionali). Complimenti ancora, avete una nuova lettrice totalmente meritata!
(Alva)
COMPLIMENTI
Sto rileggendo questo articolo per la seconda volta, complimenti allo scrittore, descrive una situazione ignorata ma importante per molti, spero diventi virale!
(Anna)
ORGANIZZARE LE FORME DELLO STARE INSIEME
Anche io, come le/i compagn* di Dinamo, sono stato allo Space Travel 2 (è un peccato non essersi visti!), e leggere le loro parole sulle via del ritorno è stata una boccata d’aria nell’inquinamento mediatico di quei giorni. Credo onestamente che le questioni emerse, in loco e nei giorni successivi nel dibattito pubblico, possano essere fonte di riflessioni su una scena complessa e in continuo divenire. Quasi da quando è iniziata la pandemia ho spesso sentito l’esigenza di uno spazio di discussione – non necessariamente pubblico, né su Facebook – della gestione della socialità nell’emergenza, e sì, anche di discussione sulle forme, le scelte e i modi che si dava, più che altro nelle due fasi estive, la socialità sotto cassa, con tutto ciò che questo comporta.
Quando si tratta di riportare la questione della socialità all’ordine del giorno nell’era covid, ci si imbatte in un trinomio: libertà, cura, responsabilità. Trinomio che ci mette in difficoltà, ci sbatte contraddizioni e ci consegna nodi da sbrogliare per i tempi strani in cui ci troviamo, tempi in cui ciò che decidiamo del nostro corpo non riguarda soltanto noi. Nodi che forse si possono sciogliere solo concedendoci un tempo del dubbio e dell’incertezza.
Quello che si poteva vedere al lago di Mezzano era un prodigio dell’auto-organizzazione: una mini-città costruita in un paio di giorni da quasi-sconosciuti, e nella quale non ti mancava nulla, dalla pizzeria alla zona relax, con rifornimenti di acqua e bevande adatti a fronteggiare una situazione climatica per nulla semplice.
C’erano teloni per riparare dal sole, bottigliette consegnate gratis al bar principale, sportelli per riduzione del danno e vaporizzatori sotto cassa. E sì, c’era anche un lago, nel quale per fortuna potersi fare un tuffo, e sulla cui pericolosità nei giorni scorsi gli organizzatori dell’evento avevano già messo in allerta con messaggi sui canali per le comunicazioni.
Personalmente, credo più nell’importanza del riconoscimento delle responsabilità che della retorica della colpa. Sull’impatto ambientale di questa specifica situazione, non ho le competenze per esprimermi. Penso tuttavia che qualsiasi evento auto-gestito e nato con l’intento di proporre una socialità altra rispetto a quella del consumo/profitto abbia l’esigenza di porsi il problema dell’ambiente, non solo in senso ecologista, ma anche di contatto con l’environment, l’habitat sociale – umano e animale – nel quale l’incontro si tiene. Questo, per quanto riguarda specificatamente i free party, può anche significare effettivamente preoccuparsi dell’impatto sulla vita degli abitanti locali della presenza sonora, quindi eventualmente ridefinire i modus operandi di un fenomeno che storicamente si è consolidato nel tempo in un specifico modo.
Per quanto riguarda quello che è stato detto e comunicato dalla stampa, non vale neanche la pena discuterne. Nei giorni scorsi ho seguito – anche con abbastanza frenesia – praticamente tutti i canali di informazione legati all’evento, potendo constatare in diretta come messaggi di dubbia veridicità venissero ripresi pari pari in tempo zero dalle testate, generando inutilmente caos e agitazione. Pennivendoli che senza porto d’armi fanno gli sbirri come possono.
Sinceramente spero che i dubbi sorti in questi giorni diventino un’occasione per fare un balzo in avanti. Organizzare le forme dello stare insieme, interrogarsi sui pericoli e le meraviglie delle possibili strade oltre le porte della percezione, ed eventualmente fare analisi e critica delle tossicità che dal mondo-là-fuori permeano anche gli spazi-tempi liberati, sono cose urgenti da fare, nei modi e nelle forme che ci si vorrà dare, insieme.
“Studiamo l’invisibilità, il costruire reti, il nomadismo psichico – e chissà che potremmo ottenere?” Hakim Bey, 1990
(Daniele)