DIRITTI
Viviamo in città che sono vetrine vuote
Decoro, sicurezza, merito: tre facce di un sistema che governa le nostre vite. Intervista con Tamar Pitch, autrice di “Contro il decoro”, piccolo manifesto per opporsi alle politiche securitarie e alle retoriche dilaganti sul “degrado”
Incontro Tamar Pitch al Nuovo Cinema Palazzo, pochi minuti prima che salga sul palco per intervenire al festival “Contro il decoro”, le propongo di fare due chiacchiere per un’intervista. Il suo libro, cui il festival ha rubato il titolo, è diventato un piccolo manifesto per chi si oppone alle retoriche securitarie contemporanee. Oltre ad essere uno strumento prezioso per capire cosa sta avvenendo nelle nostre città. “Ho cominciato a interessarmi della questione della sicurezza urbana dagli anni Novanta -ci dice Pitch – quando ancora in Italia non se ne parlava ma era già diventata politicamente importante a New York e in molte città francesi e inglesi. All’inizio degli anni Novanta la regione Emilia Romagna ha messo su un comitato scientifico, chiamato “Comitato Scientifico Città sicure”, con l’idea di contrastare un’eventuale deriva securitaria con alcune strategie che all’epoca venivano chiamate di “prevenzione integrata”. Devo dire che è stato un progetto interessante e anche utile, ma per ciò che mi riguarda ho sempre avuto la certezza – poi confermata dai fatti – che la parola d’ordine sicurezza non potesse mai diventare una parola d’ordine di sinistra.”
…e che avrebbe portato le amministrazioni di centro-sinistra a inseguire la destra sul suo stesso terreno.
Certamente. In Italia la questione è emersa in maniera più forte quando è cambiato il modo di elezione dei sindaci, quando hanno cominciato a essere eletti direttamente dai cittadini. A quel punto il tema della sicurezza è diventato una cosa di cui hanno cominciato a doversi far carico. Perché c’era una domanda di questo tipo. Analizzando le politiche di sicurezza, la loro logica,ad un certo punto mi sono imbattuta nella loro giustificazione attraverso la metafora del decoro. Quella che io ho chiamato, forse imprecisamente, ideologia del decoro.
Quando io ho scritto il primo articolo su questa cosa era il 2011, c’era ancora Berlusconi e in Italia c’erano questi pacchetti sicurezza che mettevano assieme un sacco di cose sul piano nazionale. Sul piano locale c’era la questione delle ordinanze comunali, che mettevano insieme misure molto ampie, giustificandole sia con l’insicurezza percepita dalla gente, cui si intende dare risposta, sia con l’appello al decoro urbano. A me sembrava interessante fare un’analisi del rapporto tra questo tipo di politiche – più o meno implementate, perché molto spesso non ci sono neanche state le risorse per farle – con l’altro versante, quello che io ho chiamato dell’indecenza, che al tempo era quello di Berlusconi, della sua corte, l’esaltazione del lusso, della ricchezza, del fate come me e diventerete ricchi. Questa proposta mi ricordava quello che scriveva Thorstein Veblen negli anni Venti del secolo scorso: vi è una classe capitalista finanziaria che fa del lusso e della ricchezza il suo valore principale, che ostenta il proprio benessere e che attraverso questo si legittima. Ad essa Veblen contrapponeva gli industriali, i tecnici, gli ingegneri, tutti coloro che producono beni effettivi che fanno evolvere la società e che finiranno col prevalere.
Io ho cercato di dire che decoro e indecenza si tengono assieme nelle politiche di sicurezza e anche nelle retoriche di legittimazione di quel tipo di egemonia neoliberale. Quando poi ho scritto il libro era già arrivato Monti, l’estetica era completamente diversa, tutti ben vestiti come a dire “noi con nani e ballerine non vogliamo avere a che fare, noi siamo quelli rispettabili”, e così via. Abbiamo però assistito ad un mutamento di estetica ma non ad un mutamento di etica. Era di nuovo la contrapposizione tra la gente perbene e gli altri, ma sul piano delle politiche pubbliche non è che sia cambiato molto.
Ho cercato di mettere insieme queste due cose. Nel libro c’è una parte sulle leggi nazionali e una parte un pochino più consistente sul piano locale che va ad analizzare le ordinanze dei sindaci.La cosa eclatante, come dicevo prima, è che non si tratta solo dei sindaci leghisti o di centrodestra, sono tutti. C’è stato un periodo in cui sfornavano un’ordinanza al giorno, contro tutto e tutti.
A Roma è rimasta famosa l’ordinanza di Alemanno che vietava di mangiare i panini per strada…
E Roma non è stata l’unica, ordinanze del genere sono presenti a Firenze, a Venezia, per non parlare di Padova, che si è distinta sul tema del decoro sin dai tempi del Pd di Zanonato e del muro di via Anelli. Gli scopi di queste ordinanze sono puramente propagandistici, e ottengono consenso appoggiandosi alla retorica della legalità.
Oltre al consenso c’è un’altra cosa che citi brevemente nella parte che riguarda le ordinanze locali sul tema dei Rom: quando veniva scelto il luogo per un insediamento o per un progetto di integrazione i prezzi degli immobili circostanti crollavano. È ancora così?
Certamente. E vale per i rom, così come per i migranti e questo ogni urbanista te lo può confermare. Ma per i Rom la questione è ancora diversa, perché i pregiudizi nei loro confronti sono una cosa spaventosa. Io che sono ebrea ti dico: se noi sostituissimo alla parola rom la parola ebreo ci sarebbe una sollevazione! Pensiamo ai campi nomadi, che sono una cosa orribile, un crimine. E poi, chiamare i Rom nomadi è assurdo, la maggior parte di queste persone sono stanziali, al massimo diventano nomadi perché sono le amministrazioni che li spostano di qua e di là. Sui rom i pregiudizi sono davvero incredibili estanno scatenando una vera e propria guerra tra poveri,favorita dal fatto che le persone non si sentono sicure. Ma questa insicurezza è dovuta a ben altro che alla piccola criminalità di strada o allo sporco per terra. È dovuta,in realtà, alla crisi delle protezioni di welfare, all’assenza di politiche migratorie.
Quando tu parlavi con i sindaci, un tempo loro ti dicevano che dovevano produrre sicurezza, adesso non ti dicono più questo. Ti dicono che quello che loro vogliono è cercare di contrastare la percezione di insicurezza. Perché se vai a vedere le statistiche sui reati commessi, Roma è tutto sommato una città tranquilla. Ma per inseguire questo obiettivo si sposta il mirino delle politiche di sicurezza verso qualche capro espiatorio: i rom, le prostitute, i migranti, i mendicanti e via così. Mi chiedo come si faccia a fare un’ordinanza contro le persone che raccolgono le cose dai cassonetti, bisogna avere il pelo sullo stomaco! Se una persona va per cassonetti, vuol dire che non ha altro da mangiare.
Negli ultimi anni il discorso sul decoro è diventato un fenomeno sociale e anche un fenomeno social. C’è un pezzo di opinione pubblica per bene che si organizza dentro la Rete o sui blog per denunciare il “degrado” e fare pressioni sulle istituzioni, contribuendo all’assedio mediatico dei soggetti per male. Questa forma ambivalente di partecipazione digitale è un fenomeno nuovo oppure c’è sempre stata e magari oggi si dà semplicemente attraverso strumenti differenti?
Beh, contro le prostitute di strada, ad esempio, si sono sempre attivati i cittadini dei quartieri. Ci sono sempre stati questi bravi cittadini che si mobilitano contro lo spettacolo indecoroso della vendita di sesso per strada – ovviamente senza far mai riferimento al fatto che la popolazione è perlomeno divisa in due, uomini e donne, e ci sono quelli che lo comprano il sesso per strada. Io penso che almeno una parte di quella che viene chiamata cittadinanza attiva sia di questo genere qui. È chiaro, andrebbe intercettata questa voglia di fare qualcosa, ma in un periodo storico in cui la politica è assente non c’è nessuno in grado di canalizzare queste spinte.
Forse salto di palo in frasca, ma una delle cose che viene fuori dalle ricerche sulla percezione di sicurezza/insicurezza è che più si ha familiarità con una zona, tanto meno la si considera pericolosa. Il tuo quartiere non è mai pericoloso, ti ci muovi, lo attraversi, ti è familiare. Allora la questione diviene quella di produrre familiarità. Questo luogo [il Nuovo Cinema Palazzo, N.d.R.] ne è un esempio. Un luogo pubblico dove la gente può venire e partecipare. E rende la zona meno ostile, la sua percezione meno pericolosa. Io mi ricordo¬ – perché di questa roba mi sono occupata anche da un’ottica di genere, da una posizione femminista – che alle donne è sempre stato detto “state attente, non fate questo, non fate quest’altro”. Già negli anni Ottanta e Novanta i sindaci e i prefetti si prodigavano nel dare consigli come questi, che poi hanno sempre un altro risvolto: “se vi succede qualcosa è perché ve la siete cercata”. Queste sono le politiche che incrementano il pericolo e la paura. Tante più persone ci sono per strada, e soprattutto quante più donne ci sono per strada, tanto più la città è sicura.
Noi non abbiamo, in Italia, città globali nel senso di Saskia Sassen, ma abbiamo città vetrina come Roma, Firenze, Venezia, e le politiche di questi anni puntano a mantenerle vuote e fredde, per attrarre turisti e investimenti. Il centro di Roma, da questo punto di vista, è un orrore.
L’ultima domanda riguarda il tema del merito col quale i movimenti studenteschi degli ultimi anni si sono confrontati. È una questione che ha caratterizzato gli ultimi governi ed è stato uno dei temi centrali della campagna elettorale di Matteo Renzi. In che termini la questione del merito entra in relazione col tema del decoro?
Il merito ha a che vedere con l’egemonia neoliberale, con quell’idea per cui ognuno deve fare da sé e utilizzare il suo capitale sociale. Si premia chi ce la fa, chi si mette in evidenza. È un altro modo per tenere in riga i giovani, che sono uno degli obiettivi privilegiati delle politiche di sicurezza e del decoro. I giovani sono tendenzialmente pericolosi e vanno tenuti a bada.Come si fa? Anche attraverso questa retorica del merito, mettendo i giovani gli uni contro gli altri, mettendoli in competizione tra loro.