ROMA
Cristina Leo: «Ddl Zan, la battaglia è per un cambiamento culturale»
L’assessora del Municipio VII di Roma, prima donna trans a rivestire questo incarico istituzionale nel contesto italiano, racconta come è possibile contrastare l’omobitransfobia “sul campo”, con politiche inclusive e interventi di sensibilizzazione
Sempre più probabile il rinvio a settembre della discussione sul ddl Zan. Nella sessione parlamentare di ieri, infatti, la Lega di Matteo Salvini ha presentato circa 700 proposte di modifica del testo di legge, così come 160 sono state avanzate da Italia Viva e Fratelli d’Italia: un numero spropositato che, probabilmente, più che la necessità di trovare una mediazione rispecchia l’intento da parte di alcune forze politiche di affossare il testo.
Abbiamo parlato con Cristina Leo, attivista transfemminista per i diritti delle persone Lgbtqi+. Da ottobre 2019 è Assessora alle Politiche Sociali, Politiche Abitative e Pari Opportunità del Municipio VII di Roma – diventando la prima donna trans d’Italia a rivestire questo incarico istituzionale – ed è ora candidata con la lista civica “Rivoluzione Civica” a Consigliera Comunale alle Amministrative di Roma Capitale.
Sul ddl Zan si è accesa una battaglia parlamentare. Che pensi del testo?
Approvare una legge contro l’omobitransfobia rappresenta una priorità per il nostro paese, non da oggi ma almeno da vent’anni a questa parte. Nel 2021, insomma, una testo come quello del ddl Zan avrebbe già dovuto essere approvato da tempo. Ma, com’era prevedibile, c’è una fetta delle forze politiche che sta mettendo in campo un forte ostruzionismo nei suoi confronti.
Io credo che la proposta presentata dal deputato Zan sia un buon disegno di legge. Gli stessi articoli 1 e 4, oggetto di critiche e di richieste di modifiche, sono già il frutto di trattative. Mi chiedo dunque chi sono gli interlocutori a cui pensa Renzi quando parla di “mediazioni”. Se per cambiare il ddl Zan occorre contrattare con le destre sul terreno dei diritti civili non credo che ne uscirà un buon risultato. Ma la realtà è che al momento non ci sono proposte concrete: l’unica strategia sembra essere procrastinare in continuazione, rischiando di affossare la legge.
Foto di Lisa Capasso
Ti aspettavi queste divisioni?
Diciamo che le forze di destra sono sempre state molto chiare sulle proprie rigidità. La sinistra, invece, su questi temi si è quasi sempre ritrovata molto spaccata. Ci sono alcune esponenti del Partito Democratico, come Valeria Fedeli e Valeria Valente, dalle quale mi aspettavo onestamente una maggiore apertura. Ma, ecco, non è un mistero che quello guidato da Enrico Letta sia un partito che va molto più al centro che a sinistra.
La frangia vicina a Franceschini, per esempio, è di stampo cattolico e ciò si riflette sulla politica generale del partito. Ma, ancora, il problema è che nessuno sembra fare proposte concrete. Paradossalmente Renzi è stato molto più chiaro su questo punto. In una tale situazione è normale che si crei una conflittualità anche violenta, che viene portata avanti sulla pelle di cittadini e cittadine appartenenti alla comunità Lgbtqi+. Quindi la domanda è una: c’è reale intenzione di mettere in atto un cambiamento oppure stiamo solo assistendo alle manie di protagonismo dei diversi leader che vogliono intestarsi una vittoria parlamentare?
Come mettere in atto questo cambiamento, anche oltre il ddl?
Ovviamente il ddl Zan non è la soluzione a tutti i problemi, ma rappresenta un primo passo importante nella direzione di un cambiamento culturale. Anzi, l’articolo 7 prevede appunto iniziative di contrasto all’omobitransfobia da condurre nelle scuole, andando a rinforzare attività che a livello locale vengono già portate avanti dall’associazionismo Lgbtqi+ (sebbene in alcuni contesti dove governa la Lega vengano osteggiate).
In generale, io credo che per le soggettività tutelate dal ddl Zan occorra muoversi soprattutto in tre direzioni: acquisire una maggiore visibilità pubblica, che dev’essere suffragata chiaramente anche da contenuti; ottenere garanzie di inclusione lavorativa, con leggi e con corsi di formazione costanti; assicurarsi che le procedure per la corrispondenza del genere sul proprio documento d’identità siano veloci ed efficaci, visto che discrepanze dal punto di vista anagrafico possono essere spesso causa di discriminazioni.
Nel concreto del tuo impegno da assessora, cosa significa?
In generale, le persone che subiscono maggiori discriminazioni sono quelle che più si discostano dagli stereotipi di genere correnti. La vera battaglia non è solo per una legge, ma per realizzare un cambiamento culturale. In questo senso, i media (e non parlo solo dei media di destra) stanno davvero rendendo un pessimo servizio alla comunità Lgbtqi+, promuovendo un’informazione spesso distorta e imprecisa.
Nel VII municipio di Roma, dove lavoro, già il 17 maggio 2017, in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omolesbobitransfobia era stata promossa, per esempio, la Settimana Romana contro l’Omolesbobitransfobia, che aveva coinvolto molti Municipi romani e Roma Capitale. Quest’anno, in occasione della stessa ricorrenza abbiamo affidato all’associazione Gender X il compito di decorare delle panchine con i colori della transgender flag, in un giardino che presto sarà dedicato alla storica attivista trans Marcella di Folco.
Foto di Ilaria Turini dall’archivio DINAMOpress
Stiamo realizzando diversi progetti, fra cui l’ultimo, “Diversifichiamoci”, è volto proprio a creare una cultura dell’accoglienza delle differenze fra i giovani del territorio. Infine, stiamo lavorando per aprire una Casa di Semi Autonomia per persone Transgender, Non Binarie e Intersessuali, in un villino sottratto alla criminalità organizzata.
E se potessi cambiare qualcosa in tutta la città di Roma?
Nel mio agire politico, cerco di muovermi secondo un’ottica intersezionale: essere attiva per i diritti delle persone Lgbtqi+, non esclude il fatto di adoperarsi per l’accoglienza delle persone migranti, disabili o anziane.
Credo anzi che sia di massima importanza elaborare progetti rivolti a donne migranti e di seconda generazione: in questo senso, sempre nel VII Municipio, abbiamo inserito presso il Segretariato Sociale e il Pua (Punto Unico di Accesso) le figure di mediatori e mediatrici culturali, che prima non c’erano.
Intersezionalità vuol dire comprendere le complessità di ogni situazione, che presenta sempre numerose sfaccettature. Roma soffre di problemi incancreniti da anni anche a causa della mancanza di un reale decentramento amministrativo che ha ripercussioni in tutti gli ambiti. Le problematiche connesse al diritto all’abitare sono quelle che meritano la massima attenzione. Mancano case Refuge e Case di Semiautonomia per le donne che escono dal circuito della violenza, per le persone Lgbtqi+.
Occorre mettere al centro le persone ed elaborare un intervento di tutela dei diritti a 360 gradi: quando si interviene concretamente in contesti di fragilità ci si batte inevitabilmente per la promozione di tutti i diritti, che sono al tempo stesso umani, sociali e civili.
Foto di copertina dal profilo Facebook dell’assessora Leo