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Dopo il colonialismo, c’è il colonialismo
#3 Conflitto esperienza letteratura. Torna la rubrica letteraria di Dinamopress con la recensione di Delta Blues del collettivo Kai Zen, un angosciante thriller dal delta del Niger. Il dramma di un eroe destinato a rincorrere un sogno di equità e sviluppo sostenibile
La scrittura collettiva in Italia è oggi una certezza non più soltanto una sperimentazione. È un modello di inchiesta, ricerca e produzione narrativa che dà buoni risultati. In occasione della quarta puntata di questa rubrica vi proponiamo un testo di qualche anno fa, del 2010 per la precisione, dal titolo Delta Blues. Il collettivo di autori che lo ha scritto si chiama Kaizen. Vuol dire miglioramento a piccoli passi. Abbiamo scoperto che era già il nome della band di rock post industriale, a cui partecipava uno dei componenti del collettivo e che è un termine mutuato dal vocabolario postfordista (qui una bella intervista al gruppo).
Ambientato principalmente in Nigeria, nel delta del Niger, Delta Blues racconta l’avventuroso percorso del militare Ivo Andriç, nome in codice Tamerlano, compiuto nel tentativo di ritrovare il geologo Martin Klein. In concreto e situando ognuno al proprio posto, Delta Blues è il dramma di un eroe (Klein) destinato a rincorrere il suo sogno di equità e sviluppo sostenibile. Per farlo affonda nell’orrore – che fu già del Kurtz di Cuore di Tenebra – in un processo di decomposizione, una nigredo che lo porterà verso l’unica destinazione concretamente raggiungibile, lasciando tracce di sé che sono, per gli altri che lo incontrano, o possibili percorsi di emancipazione o ossessioni mortali.
C’è un antieroe, suo malgrado, (Andriç) che deve andare a cercare l’eroe e che nel mettersi in gioco realizzerà il proprio percorso umano e spirituale. Intorno ai due si muove una pletora di comparse e comprimari che riempiono gli spazi, come l’arlecchino che suona il blues, i ribelli del Mend, la troupe di giornalisti, i dipendenti dell’ente. A proposito di quest’ultima, è il destinante: il re cattivo che invita l’eroe a mettersi alla prova, dopo avere sistemato tutte le trappole necessarie a rendergli l’impresa impossibile. Non ama gli sforzi compiuti dal geologo per investire in energie rinnovabili. Ma finge il contrario.
L’ente non ha un nome preciso. Sappiamo solo che la lancia messa a disposizione di Andriç per risalire il fiume si chiama Six-legged dog. E questo ci basta. O forse dice tutto. Perché in Delta blues l’ambientazione, buona parte dei soggetti, sicuramente le questioni politiche cui fa riferimento sono mutuati da vicende reali. Non sappiamo quali precisamente, ma una qualunque seria inchiesta di approfondimento di politiche internazionali – nello specifico politiche energetiche – potrebbe costituire il punto di partenza del romanzo. La bibliografia che chiude il libro ce lo conferma. E la scelta di pubblicarla è forse una dichiarazione di intenti.
Delta Blues appartiene a quell’insieme di oggetti narrativi non identificati, definizione con cui si è tentato di raccogliere molte produzioni contemporanee? Probabilmente sì. Ma lo si può scoprire solo alla fine, nel leggere la bibliografia appunto. Perché il testo scivola via come quel romanzo di avventura che è, il cui intreccio permette agli autori di affondare per bene il colpo, più volte. Le notizie che trasformano il racconto in una presa di posizione politica trapelano come dettagli tecnici, e dalla avventura fittizia si ritorna dentro il reale, all’improvviso, così:
“Sono stato io a tracciare il primo transetto delle concessioni in Canada […]”, dice Klein, “come pure in Congo Brazzaville anni prima. […] ho sottolineato più volte l’inutilità devastante dell’operazione. Si devono trattare due tonnellate di sabbie per ottenere un barile di petrolio. Un consumo […] impressionante di acqua, mescolata a solventi, per sciacquare le sabbie. L’Alberta è ricca di acqua, ma le è stata restituita inquinata. […] Per non inceppare il meccanismo, nessuno si è mai preso la briga di fare i conti. […]”. E ancora, “Stanno replicando lo scenario canadese […] lo stesso stanno facendo in Venezuela con il beneplacito del governo e in altre parti del mondo. Più povere sono, meglio è. […] Meno petrolio c’è, più costa. E più costa, più c’è da lucrare”.
Una requisitoria che fa il palio con le riflessioni ciniche del deuteragonista Andriç che, scampato alla morte, racconta il viaggio della pallottola:
“È più facile trovare un’arma in Africa che un francese a Parigi. Ci sono molte ditte di import – export in Liberia, in Sierra Leone e in Costa d’Avorio che ufficialmente commerciano in legname e gomma. Spesso fanno capo a multinazionali […] Ci sono anche quelle che trafficano alla luce del sole […] Fanno arrivare elicotteri d’assalto sovietici smontati in piccoli pezzi con carovane nomadi […]. Assemblate (le pallottole) da un’onesta operaia di West Hartford […] pronte per essere consegnate a uno spedizioniere di New York […] sdoganate in Suriname e spedite in Olanda […] un camionista le porta in Spagna, di lì in Marocco, poi a Monrovia nel magazzino di una qualche compagnia di legname fittizia […]”.
Delta Blues è un canto disperato di denuncia.
Due accenni allo stile. Ci sono la paratassi – periodi brevi e frasi coordinate – e gli stacchi cinematografici. Sono scelte strategiche per una lettura avvincente, ma anche ormai stilemi tipici di un’epoca. Le firme del gruppo sono altre. Tra queste, prima di tutte, il riferimento al teatro. A cominciare dal nome in codice Tamerlano, le cui visioni oniriche sono descritte come rappresentate sul palcoscenico e il cui nome è un omaggio a Christopher Marlowe. Poi c’è la divisione del libro in sezioni: atti e scene. Esse da un lato lasciano immaginare possibili innesti del romanzo con altri modelli di rappresentazione, dall’altra fanno emergere, o forse ipotizzare, la tracce del processo di lavorazione. Ancora, Kaizen si riconosce per il richiamo a una certa spiritualità, un po’ troppo new age a dirla tutta, e alle suggestioni alchemiche. Il tutto è già stato sperimentato ne La strategia dell’ariete: romanzo troppo frettoloso e frammentato.
A proposito di alchimia. Nel pozzo scuro che è il delta del Niger si manifesta nella forma di stregoneria, di cui Klein si rivela maestro. Nella sua discesa agli inferi, nella guerra, nello sfruttamento e nella disperazione, il vecchio geologo acquisisce capacità soprannaturali che incutono timore, ma non possono certo trasformarsi in strumenti di lotta. Il destino pare segnato: è affondare nell’orrore nel tentativo, ancora vano, di espiare ed emanciparsi dal desiderio bulimico dell’accumulazione capitalistica. Intanto la miseria, che qualcuno tenta di far apparire come contingenza aberrante, nascondendo la sua funzione strutturale, materializza nel presente epoche storiche o addirittura geologiche, credute passate. Qui la violenza si riproduce voluttuosamente insensata. La salvezza dov’è? Il cambiamento, che è un passaggio di stato e di consapevolezza, per manifestarsi torna ancora una volta a credere nel passaggio della storia, e delle informazioni, di bocca in bocca. Forse per questo c’è il blues come colonna sonora. Perché ha saputo trasmettere e ricordare il dolore della violenza schiavista, che non è mai finita. Dopo il colonialismo c’è ancora il colonialismo, dicono dal delta del Niger. E ci stiamo dentro, tutti.
Qui trovate i libri http://www.kaizenlab.it/
e qui il blog https://kaizenology.wordpress.com/kai-zen/
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