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Via libera: la città del noir senza salvezza né redenzione
Non c’è salvezza e non c’è redenzione perché Cagliari non te lo permette. Nel nuovo romanzo romanzo di Lorenzo Scano, il terzo pubblicato dall’autore cagliaritano, non ancora trentenne, il primo per una major, la città assume un ruolo di protagonista. O meglio di antagonista. Una Cagliari grigia, livida e violenta, fuori da ogni rappresentazione da cartolina
Finalmente! viene da esclamare una volta finita la lettura di Via Libera (Nero Rizzoli, 2021), il nuovo romanzo di Lorenzo Scano: il terzo pubblicato dall’autore cagliaritano, non ancora trentenne, il primo per una major. Finalmente! e non certo per il sollievo di avere terminato la fatica di leggerlo ma, al contrario, per la gioia di avere trovato una nuova voce e un nuovo stile nell’asfittico panorama del noir italiano.
Tra preti per bene, commissari buoni, ispettori irreprensibili, avvocati incorruttibili e magistrati integerrimi che infestano la letteratura e la serialità del nostro paese, la cui massima trasgressione è farsi una canna e la cui funzione è rassicurare il lettore e ristabilire l’ordine, il romanzo di Scano ci ricorda che il noir è ungenere che al contrario nasce proprio per essere brutto, sporco, cattivo, amorale. In una parola sbagliato. E che il suo scopo è non offrire alcun appiglio o salvezza al lettore, perché l’ordine e la giustizia non sono di questo mondo. E neppure dell’altro.
Finalmente, in questo romanzo di formazione, fin dalle prime pagine si capisce che non c’è alcuna possibilità di salvezza o di redenzione per Davide, diciassettenne cresciuto nel Cep (Centro di Edilizia Popolare) che ha perso il padre e si è fatto già un anno di carcere minorile. Non c’è per Chanel, quindicenne che non ha mai conosciuto la madre e si vergogna del nome datole dal padre, Marione Santorsola detto su Becchinu. E non c’è neppure per il loro coetaneo Filippo, rampollo dell’alta società cagliaritana che prova a frequentare le cattive compagnie per sentirsi vivo.
Non c’è salvezza e non c’è redenzione, nonostante tutti ci provino, in ogni modo. A partire da Marione, che ha appeso i ferri del mestiere criminale al chiodo per aprire una palestra di boxe popolare in uno scantinato sotto i grigi alveari della periferia dormitorio cagliaritana. Non c’è per Davide, che quella palestra frequenta sperando che sia lo sport a tirarlo fuori dalla strada, o per Chanel, che dotata di talento per le lettere prova a scrivere a racconti convinta che saranno questi in qualche modo a portarla via da lì. E non c’è ovviamente per Filippo, la cui esistenza ovattata nel lussuoso attico panoramico tra playstation e cocaina non lo protegge dal male di vivere.
Non c’è salvezza e non c’è redenzione perché Cagliari non te lo permette. E qui Scano, allievo di Massimo Carlotto che per costruire i suoi personaggi guarda –dichiarandolo –all’Edward Bunker di Educazione di una canaglia, compie un’altra operazione tipica del genere noir: assegna alla città un ruolo di protagonista. O meglio di antagonista.
È la concrete jungle figlia dell’urbanizzazione violenta a pulsare vita mentre semina morte e ingiustizie. Sono le sue arterie a segnare le differenze di classe sociale, le sue barriere architettoniche a impedire ai chi sta fuori di entrare dentro, la sua continua e irrequieta espansione a dichiarare prima e a vincere poi la guerra dei ricchi contro i poveri.
Ogni mandorleto eradicato per costruire villette a schiera per i benestanti, ogni brandello di laguna bonificato per erigere un palazzone dormitorio di quattordici piani,in cui a breve comincerà a non funzionare più nulla, è uno strumento della lotta di classe in mano ai padroni. E Davide, Chanel, Marione e Filippo, come palline da flipper impazzite, possono solo rimbalzare da una parte all’altra di un percorso che non è stabilito in partenza ma da cui è impossibile evadere.
Ognuno di loro ha i propri sogni e i propri e i propri desideri e l’autore è bravo a renderli vivi proprio grazie alla sua voce. Una terza persona impersonale che spesso sfocia nella terza personale e a volte diventa prima, per precipitare il lettore dentro la vita dei protagonisti, imprigionarlo con loro, e nel cuore pulsante della città, raccontata sempre con uno sguardo partecipe e mai descrittivo. Sempre presente sul luogo e, soprattutto, Dal basso (come un grandissimo album di Lou X).
Una Cagliari grigia, livida e violenta, fuori da ogni rappresentazione da cartolina. Come la tremenda Barcellona filmata da Alejandro González Iñárrituin quel sottovalutato capolavoro che è Biutiful. Perché al contrario del neorealismo borghese e paternalistico alla Zavattini o alla Truffaut, quando le cose le racconti da dentro le vedi diverse: la povertà fa schifo, puzza di merda. Per questo va abolita e non compatita. Come va rasa al suolo Casteddu e qualsiasi altra città, oramai irredimibile, impossibile da riformare. A meno di non volersi accontentare dei safari esotici delle periferie in compagnia di Carlo Calenda, candidato sindaco dei quartieri bene centrali in un’altra città, altrettanto ostile e violenta.
E tutto questo Scano lo racconta con voce giovane fresca, che forse indugia troppo in qualche cliché narrativo, ma lo fa con una spontaneità che ricorda i primi dischi do it yourself del punk o del rap. E proprio all’old school delle barresi rifà nel testo, utilizzando italiano e dialetto, confondendo stili, mischiando linguaggio alto e basso, citazioni e storpiature. Come a Casteddu si mescolano ideali e meschinità, sogni e violenze, piccola e grande criminalità, sbirri corrotti e malavitosi onesti, adolescenti disposti a tutto per farsi notare e coetanei che hanno già visto tutto malgrado loro, così la vocedell’autore deve moltiplicarsi nel testo.Perché la regola per sopravvivere nella strada,e per scrivere un romanzo di genere, è una Questione di stile, come suonava Dj Gruff.
Immagine: copertina del libro