MONDO
Disarmare l’architettura neoliberista in Cile: dialogo con l’attivista femminista Javiera Manzi
«Con ogni rappresentante eletta entra un programma femminista completo contro la precarizzazione della vita», dice Javiera Manzi, portavoce del Coordinamento Femminista 8M, in una conversazione con Verónica Gago, di Ni Una Menos Argentina. Dalle strade alle urne: l’estallido, iniziato con gli studenti che saltavano i tornelli contro l’aumento del biglietto della metropolitana si è consolidato con il trionfo di candidate femministe, ambientaliste, indigene e di sinistra che avranno il difficile compito di rovesciare l’architettura costituzionale del neoliberismo promosso come chiave per il successo in tutta la regione
Durante il fine settimana de 15 e 16 maggio si sono svolte in Cile le elezioni costituenti conclusesi con una clamorosa sconfitta della destra in generale e del presidente Sebastian Piñera in particolare. La sua compagine si è ritrovata con appena 37 seggi, lontani dai 52 (un terzo) necessari per porre il veto agli articoli e influenzare la stesura della nuova costituzione.
Questo risultato in queste elezioni storiche ha diverse ragioni. In primo luogo, perché deve essere letto come un canale di espressione della sollevazione popolare dell’ottobre 2019, iniziata con gli/le studenti che saltavano i tornelli contro l’aumento del biglietto della metropolitana e che ha catalizzato una rivolta di massa contro tre decenni di neoliberismo da manuale dettato dai Chicago Boys.
Quell’insurrezione, a sua volta collegata agli scioperi femministi dalle manifestazioni da record e al movimento studentesco degli anni precedenti, si è tradotta nell’invocazione di un plebiscito per la convocazione di un’Assemblea Costituente svoltosi lo scorso ottobre 2020, appena un anno dopo la rivolta, Per questo c’è una continuità dalle strade alle urne che viene confermata questa settimana e che si manifesta anche nello “straripare” delle candidature da parte di movimenti sociali, femministi, ambientalisti, indigeni e di sinistra che hanno svolto la propria campagna elettorale a piedi.
Ecco il perché dei voti che hanno consacrato Alondra Carrillo, del Cordinamento Femminista 8M; le leader mapuche Francisca Linconao, Natividad Llanquileo ed Elisa Loncon; le appartenenti alla Piattaforma Femminista Costituente Plurinazionale Janis Meneses, portavoce dell’Assemblea diVicinato di Los Pinos; l’avvocata ecofemminista Camila Zárate, portavoce del Movimento per l’Acqua e i Territori; Elisa Giustinianovich, femminista della zona australe del Paese, e Dayana González, dell’Unione delle Donne di Tocopilla nel deserto settentrionale.
In secondo luogo, l’eccezionalità è che questo consesso si pone il compito di rovesciare, né più né meno, l’architettura costituzionale del neoliberismo inaugurata da Pinochet e presentata come la chiave del successo in tutta la regione. Contestata nelle strade, ora la politica neoliberista dovrà disfarsi anche del suo apparato normativo fondante.
Per ultimo, queste elezioni hanno spostato a sinistra l’asse politico in vista delle prossime elezioni parlamentari e presidenziali di questo 2021 (perché oltre alla Costituente, sono stati eletti consiglieri, sindaci e governatori) e hanno portato novità significative: Irací Hassler è la giovane femminista eletta sindaca di Santiago del Cile (Partito Comunista); Rodrigo Mundaca, leader ambientalista contro la privatizzazione dell’acqua, ha vinto come governatore della regione di Valparaíso (candidato indipendente presentato dal Frente Amplio) e la giovane Macarena Ripamonti (Frente Amplio) sarà la sindaca che metterà fine al lungo monopolio della destra a Viña del Mar [città limitrofa a Valparaíso –ndt].
Questa tenuta della mobilitazione di piazza, adesso con un effetto sulle urne, si distingue per il fiorire di candidature provenienti dall’esterno del sistema partitico tradizionale che hanno lottato per ampliare le forme della rappresentanza nel corso di una repressione implacabile, chiedendo libertà per i prigionieri politici e con centinaia di feriti durante la rivolta sulle spalle, mentre il coprifuoco militarizza le strade in ogni momento.
«Con ogni rappresentante eletta entra un programma femminista completo contro la precarizzazione della vita», dice Javiera Manzi, portavoce del Coordinamento Femminista 8M, all’interno di una serie di interviste promosse dal collettivo Ni Una Menos Argentina con referenti dei movimenti cileni.
In questo secolo, l’America Latina ha attraversato processi recenti di assemblee costituenti. Quella in Cile è la prima che si verifica dopo la serie di massicce mobilitazioni femministe, che hanno visto il maggio femminista del 2018 e lo sciopero femminista internazionale del 2019 e 2020 come momenti culminanti. Questo ha posizionato il femminismo come «forza ineludibile», come dici tu, del processo costituente. Come l’avete vissuta?
Senza dubbio questi sono giorni storici perché è la prima volta nella storia del Cile che si tengono elezioni costituenti. Ed è il processo con cui metteremo fine alla costituzione di Pinochet (vale il lapsus, chiarisce, perché inizialmente aveva detto la dittatura di Pinochet). Inizia il 18 ottobre 2019, con l’episodio con il quale dilaga la rivolta e, con essa, la possibilità di immaginare un’altra vita. Dobbiamo sottolineare che queste elezioni si svolgono nel contesto di un terrorismo di Stato attivo, con mille avversità per poter pensare ai termini e alle possibilità democratiche, incluse quelle volte ad immaginare come concepire un’assemblea costituente.
Allo stesso tempo, è il primo processo costituente al mondo a svolgersi con un organo paritario, anch’esso risultato dell’esserci rese ineludibili per le strade, sebbene fosse un tetto che ci eravamo prefisse di superare. La forma che sta assumendo questa democrazia mette al centro l’esistenza di una voce che non può più tornare in seconda fila e che non può esserci democrazia con l’impunità. Un compito fondamentale che abbiamo è mettere al centro la vita delle donne, dei dissidenti, dei bambini, e farlo come parte del programma anti-neoliberista che abbiamo portato avanti con la rivolta.
Concretamente, com’è stata quest’esperienza di scegliere di candidarsi e di fare campagna?
Abbiamo discusso le candidature costituenti in diversi distretti e aree del Paese con compagne che incarnano il programma femminista contro la precarizzazione della vita: Alondra Carrillo, prima portavoce del CoordinamentoFemminista 8M; Karina Nohales, anche lei tra le attuali portavoce; Francisca Fernández, storica attivista socio-ambientale che è stata tra le prime portavoce dello sciopero; Consuelo VillaseñorSoto, operatrice sanitaria, sindacalista e femminista; Natalia Corrales, sindacalista femminista di Valparaíso. Il protagonismo dell’azione politica non risiede negli stessi partiti di sempre, in chi ha governato in questi trent’anni.
Oggi guidiamo una politica sostenuta dai movimenti sociali, dalle strade, dalle organizzazioni territoriali e sindacali. Siamo quelli che sono insorti, che hanno articolato un processo di trasformazione politica e di rigenerazione del tessuto sociale in Cile. Quindi, per noi, è stato molto importante insistere sul tema di questo femminismo dei popoli che abbiamo costruito e che ha la capacità e la necessità di articolare le lotte. Per questo, il primo compito che ci siamo date è stato di comporre le liste in chiave collettiva, discutendo in quale progetto si inquadrerà questo processo. Le nostre candidature sono state iscritte nelle liste dei movimenti sociali e articolate con organizzazioni come il Coordinamento No+ AFP, che da anni anima la lotta al sistema pensionistico finanziarizzato, con il Coordinamento Nazionale degli Immigrati, con il Movimento per l’Acqua e i Territori, con le assemblee territoriali, le organizzazioni per i Diritti Umani, la Rete delle Attrici del Cile e la Rete delle Donne Mapuche. È da questa diversità eterogenea, da queste molteplici aspirazioni, nelle quali ci siamo ritrovate, che abbiamo costruito alleanze su scala diversa. Imparare a farlo non è stato facile.
Si è proposto un tipo di articolazione che, allo stesso tempo, non ricada nei meccanismi classici, che sfidi la dispersione…
Naturalmente, uno dei primi compiti che ci siamo date è che il ruolo politico non poteva essere assunto dalle stesse persone di sempre. Quindi chi di noi aveva sollevato la rivolta e promosso questo processo, dovevano delegare esperti, tecnici e professionisti? Quello che abbiamo fatto è stato superare questi termini che limitano la democrazia. Non è che abbiamo un piede dentro e l’altro fuori dalle istituzioni, li abbiamo entrambi dentro questo processo costituente così come le nostre mani e il nostro corpo, perché sappiamo che dovremo dare battaglia all’interno della Convenzione, ma soprattutto nelle strade.
Ci sembra fondamentale insistere sulla forza istituente, ovvero che questo cammino non è finito, che continuerà a persistere uno stato di rivolta assembleario, di immaginazione politica permanente. La parità è stata una lotta e anche l’inserimento di seggi riservati alle popolazioni indigene lo è stata e, se la vediamo così, sono due elementi fondamentali della rivolta che si sono risolti grazie alla lotta collettiva, a seguito dell’Accordo per la Pace e la Nuova Costituzione deciso a porte chiuse da un gruppo ristretto. Mi riferisco al carattere femminista e plurinazionale. Ma questo è ancora insufficiente. La parità ci pone ancora una volta in una chiave binaria che è problematica e vale la pena di essere discussa, insieme al fatto che i seggi sono in numero assolutamente limitato rispetto a come dovrebbero essere rappresentate le organizzazioni dei diversi popoli che abitano il Cile. Una dolorosa questione in sospeso è che all’interno della costituente non siamo riuscite a inserire quote per persone afrodiscendenti né quote trans.
Come è nato lo slogan “Entra una, entriamo tutte”?
Per noi c’è una questione fondamentale: disinnescare la chiave individuale del voto e, quindi, la nozione di vittoria individuale, per costituirla come azione collettiva. Le candidature emerse dai movimenti stanno già determinando un nuovo ciclo politico in Cile, che ha l’ambizione di porre fine al neoliberismo.
Torniamo agli slogan anti-neoliberisti emersi durante la rivolta e che dipingono immagini concrete di cosa significa la vita neoliberista: debito per l’istruzione e per accedere all’assistenza sanitaria, privatizzazioni, disoccupazione e santificazione delle élite. Ma, allo stesso tempo, adesso anche in Colombia, si rimette in discussione che la battaglia per la soggettività sia già stata vinta dal mandato neoliberista della competitività permanente.
I media, tutti a favore del governo, hanno chiesto agli anziani per strada se non ritenessero violento che gli/lestudenti «stessero distruggendo la metropolitana» nei giorni precedenti il 18 ottobre. E sono cominciate a venir fuori risposte del tipo: «quello che mi sembra violento sono le nostre pensioni», oppure «violenta è l’istruzione a debito» oppure «violente sono le condizioni nelle quali viviamo». Oltre a cancellare uno scollamento generazionale che si voleva sottolineare, si mette sul piatto il fatto che gli/lestudenti, denunciando l’aumento del biglietto intero della metropolitana, parlano della stessa economia di mia nonna, di mia madre o di mio padre.
C’è un superamento dei limiti di una politica tendente a parcellizzare chi prende parola, come se fosse una specificità isolata. Quando uno studente delle superiori inizia a parlare del problema delle pensioni, tutto questo viene disinnescato. Quando una donna in pensione inizia a parlare del problema dell’istruzione o del debito, o del modo in cui organizzare la vita in generale, si supera quella forma di politica neoliberista a compartimenti stagni. Questo è quello che chiamiamo un processo costituente vitale nel quale ci riconosciamo come classe lavoratrice e popoli in lotta.
È qui che risiede quella forza sulla quale insistiamo sempre e che si fa carico di sempre più storie. Donne di tutte le età sono andate a votare con i loro pañuelos verdi, altre con le magliette con il Perro Matapacos [letteralmente “Cane Ammazzasbirri”, soprannome dato a un cane presente durante le proteste del 2011 e divenuto uno dei simboli delle proteste di piazza cilene –ndt] o con immagini della resistenza e altre portando fotografie di Allende. In questo ultimo anno abbiamo visto come la pandemia abbia ribadito la necessità della rivolta e dei suoi slogan: mentre la crisi economica avanza, le grandi fortune in Cile legate al settore bancario e minerario continuano ad aumentare. E, quindi, è questo neoliberismo estrattivo a sostenere il governo e un’élite politica maschile, eterosessuale e bianca, mentre i numeri sulla malnutrizione infantile aumentano in piena pandemia e si chiudono i confini per il transito dei migranti e i settori di un’estrema destra avanzano sempre più organizzati.
Cosa ci dici su quello che ci aspetta?
Che facciamo appello sulla fiducia reciproca. Fiducia in quanto fatto finora e in quella forza che esprimiamo quando siamo insieme.
Immagine di copertina e foto nell’articolo: José Aguilera da Santiago del Chile che ringraziamo per la disponibilità. Visita il suo profilo Instagram bandurriadelsur
Articolo pubblicato su Revista Anfibia
Traduzione in italiano a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress