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CULT
2021, la Comune prende il volo
Commemoriamo la Semaine sanglante del 1871 con l’episodio finale di una fantasia in progress. Ricordiamo che la Comune aveva demolito la colonna Vendôme, simbolo di imperialismo, e che i versagliesi vincitori l’avevano rialzata ed edificato la basilica del Sacré-Coeur come monumento espiatorio
Il gran finale di una complessa operazione immaginaria, e pirotecnica, di celebrazione del 150° anniversario della Comune. Esiste un manoscritto, o piuttosto una prima bozza, che racconta tutta la storia. Lo abbiamo scritto a quattro mani, per un’idea balzana che ci è venuta nel febbraio del 2021. Un po’ per divertirci e un po’ per resistere in modo gioioso a questo periodo oscuro e difficile. C’è ancora molto lavoro da fare per tirar fuori un romanzo e decidere che strada prendere per pubblicarlo. Se vi sembra che ne valga la pena, dateci un vostro commento, contribuirà al proseguimento del nostro cammino. Intanto, prendetevi cura di voi e degli altri. Il testo sarà pubblicato questo stesso 24 maggio sulla rivista on-line francese “Lundi Matin” e sul blog alla pagina Krill&Zon.
Ringraziamo per l’ospitalità
Krill&Zon
Il garden party al Castello di Versailles stava finendo. Era stato un gran successo. Come al solito il Presidente, consigliato dalla moglie, non aveva lesinato in niente. Ancora una volta la Grandeur era puntuale all’appuntamento. C’era tutta la crema della crema della Nazione, insieme agli amici stranieri. Anche l’opposizione non aveva declinato l’invito e si era lasciata affascinare dalla messa in scena fastosa, dai giardini alla francese, dallo champagne e dalle tartine raffinatissime. Lo storico Zalar, l’esperto ufficiale della Terza Repubblica cara al Presidente, leggermente ubriaco, guardava di sottecchi le giovani cameriere che offrivano il bicchiere della staffa prima della partenza.
Alle tre in punto, l’imponente corteo di auto ufficiali lasciò Versailles scortata da motociclisti, i temibili “volteggiatori”, e da decine di vetture della polizia. Il giorno prima, dopo aver esaminato i possibili itinerari, il Presidente aveva scelto quello che attraversava Parigi da Sud-Ovest a Nord, come 150 anni prima, alla vigilia della Semaine Sanglante.
A Parigi, i quartieri intorno a Montmartre erano pieni di gente. L’ultima provocazione del Presidente era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. La tanto sognata «convergenza delle lotte» di tutta l’opposizione sociale sembrava si fosse finalmente realizzata, spontaneamente, o piuttosto grazie all’avversario. Ai manifestanti abituali, gilets jaunes, militanti politici, sindacalisti, si era aggiunta una moltitudine di gente di tutte le provenienze e di tutte le età. Il bel tempo e la festa del Lunedì di Pentecoste avevano aiutato.
Ai piedi della collina era stato messo a punto un dispositivo di sicurezza impressionante: militari, polizia nazionale e gendarmerie avevano l’ordine di impedire a chiunque di avvicinarsi alla basilica del Sacré-Coeur.
Furgoni, idranti, transenne metalliche e cavalli di frisia si presentavano come un muro insuperabile tra la gente comune e il potere. Le forze dell’ordine, in tenuta antisommossa e con armi caricate a proiettili veri, aspettavano l’ordine di caricare la folla, quando e se fosse arrivato.
A due chilometri in linea d’aria, in cima alle Buttes-Chaumont, vicino al tempietto dedicato a Sibilla, c’erano tutti, tranne Yäelle e Tuning che dalla piazza dovevano occuparsi delle questioni tecniche, e Ahmed, che non aveva potuto rinunciare a vedere da vicino la sua opera, finalmente svelata. Nessuno parlava. Era arrivato il momento. In un ristorante avevano cominciato a raccontarsi una favola. Poi la favola si era messa in moto e loro l’avevano seguita. Avevano rischiato grosso.
Erano scesi sottoterra, avevano chiesto aiuto a operai comunisti, avevano attraversato la Francia su una chiatta, avevano trattato con dei mercenari, avevano fatto calcoli complicati, avevano coinvolto musicisti svizzeri. Ora stavano lì e era difficile credere che fosse vero. Paul pensava ai rischi che aveva corso, alla brutta gente con cui aveva dovuto avere a che fare, e non voleva più vedersi come il militare sicuro di sé. Thierry provava a dare una spiegazione teorica ma non ci riusciva: anche il caso, le pieghe della storia, non erano all’altezza di quello che stava per succedere.
Simone giocava con il figlio e non si spiegava come fosse entrata in quella favola: all’inizio forse per presunzione di scienziata, poi per rabbia, ma non era abbastanza, era troppo difficile capire.
Bertrand si diceva che non era quella la rivoluzione che aveva sempre immaginato, ma la rivoluzione ormai bisognava dimenticarsela e allora forse la favola era tutto quello che restava. Errico non poteva credere che tutto fosse cominciato con un suo discorso da ubriaco, sconvolto com’era dalla morte di Edmond e da quello che era successo in Corsica, eppure così era stato. Lise non riusciva a credere che sarebbe successo veramente e non sapeva che sperare.
Si era data tanto da fare, aveva avuto sempre in testa una festa, la musica, la gente che ballava. Era entrata nella favola con tutte le sue idee pacifiste e ora non era sicura di niente, in un angolo del cervello aveva un senso di colpa. Ma ormai erano là.
Adesso aspettavano, guardando verso il Sacré-Coeur.
Il cellulare di Lemoine segnalò l’arrivo di un messaggio. La coppia fece i bagagli e lasciò la suite Mansart. Dovettero tornare indietro perché avevano dimenticato lo spray di colla sul tavolo basso della terrazza. Dopo aver riempito di colla la serratura, Lemoine mise sulla porta il foglio lasciato da Yäelle. Il testo, scritto al pennarello rosso, diceva: «Qualsiasi tentativo di forzare la porta o di fermare la musica provocherà l’esplosione della suite».
– Non va, disse Lemoine
Prese una stilografica d’oro dalla tasca interna della giacca, si mise gli occhiali e dopo una breve riflessione scrisse un lungo testo sul retro dello stesso foglio. Lo rilesse, fece un’espressione soddisfatta e lo attaccò alla porta con una puntina. C’era scritto:
«Sottomettetevi pure agli zuavi come romani sconfitti alle forche caudine, ma don’t disturb. Io dormo in una Suite Presidenziale cullato da una di Stockhausen. Qualsiasi tentativo di irruzione, di sfondamento, provocherà non la disfatta dei “bleus” Klein allenati da Deschamps ma un fuoco d’artificio di Soulages, la luce del nero, il crollo delle azioni del Ritz e qualche danno collaterale ai vostri vicini Dupont e Dupond. Non ci credete banda di idioti? Gustatevi con calma la vostra ultima sigaretta».
Quando Lemoine e Cristina arrivarono nella hall dell’albergo, la donna, vestita come sempre in modo impeccabile, si diresse con passo sicuro verso la reception. Restituì le chiavi e ringraziò il personale per la sua gentilezza e la sua professionalità. La coppia uscì dal Ritz tenendosi sottobraccio.
«Un piccolo Mont-Blanc da Angelina?» – chiese la donna con un gran sorriso
«Why not» – rispose Lemoine.
La compagna lo guidò verso le Tuileries.
Per una volta i giovani rom erano puntuali. Su otto biciclette nuove fiammanti. Sette avevano dei portabagagli su cui stavano seduti i più giovani. Che ogni tanto si alzavano sui poggiapiedi fissati alle ruote posteriori e si guardavano intorno. In testa, il più grande della banda zigzagava in equilibrio instabile sulla ruota di dietro. In rue de Rivoli c’era poca gente: i ciclisti si raggrupparono prima di girare a destra verso place Vendôme. La vista della colonna coperta dalle vele pubblicitarie diede il segnale dello sprint: i ciclisti si alzarono sui pedali e accelerarono.
Quelli seduti sui portabagagli lanciarono grida di guerra e tirarono fuori dai giubbotti dei fumogeni a strappo. Arrivati sulla piazza, sfiorando i curiosi, si diressero verso i quattro lati della colonna.
I passeggeri lanciarono i fumogeni contro le pubblicità. Una spessa nebbia rossa invase il centro della piazza costringendo i passanti ad allontanarsi. I giovani rom continuarono la loro corsa e si dispersero nelle strade vicine.
La colonna Vendôme era scomparsa nella nebbia rossa – la nube purpurea avrebbe detto Thierry fiero della sua citazione letteraria. I passanti, che si erano rifugiati ai margini della piazza, guardavano increduli. I funzionari del Ministero della Giustizia erano affollati alle finestre. Il Capo di gabinetto tentò inutilmente di contattare il ministro, che in quel momento chiacchierava allegramente nella sua macchina di rappresentanza che viaggiava verso Parigi. Al Ritz il personale e qualche ospite uscirono sul marciapiedi.
Si sentì il suono potente di un corno di montagna, che usciva dalle casse piazzate sulla terrazza del Ritz, e una voce femminile intimò in diverse lingue di allontanarsi dalla colonna.
Quando la nebbia rossa si diradò, riapparve la colonna nascosta dalle vele pubblicitarie. Passarono due minuti di completo silenzio e poi le impalcature e la pubblicità si aprirono sui quattro lati precipitando a terra. E partì la musica.
L’ispettore Thénardier faceva il suo jogging quotidiano al parco delle Tuileries. Si era messo in congedo di malattia appena aveva avuto sentore della cerimonia al Sacro Cuore. Fu attirato dal fumo colorato che saliva dietro rue de Rivoli. Si fermò e si tolse le cuffie: i bassi che venivano da place Vendôme gli facevano vibrare il petto. Si mise a correre in quella direzione. Arrivato sulla piazza rimase sbalordito dalla bellezza dell’opera. La colonna era interamente affrescata: su uno sfondo blu elettrico, si vedevano su tutta l’altezza, in colori accesi, organismi viventi di ogni specie.
Erano riuniti i mondi animale, vegetale e immaginario, senza nessuna gerarchia. Un’ode psichedelica alla natura, alla vita in tutte le sue forme: era il filo conduttore che Ahmed aveva seguito nel viaggio da Sète alla banlieue parigina. Il messaggio presuntuoso e mortifero del fregio era scomparso.
Anche la musica diffusa a tutto volume dalla terrazza del Ritz era notevole. Un miscuglio di electro, jazz, musica popolare, canti di lotta e rap. I musicisti elvetici avevano fatto un gran lavoro. E adesso sul loro prato alpino se la spassavano, ognuno davanti al proprio portabile, facendo interventi estemporanei sulla banda sonora che stava andando.
L’ispettore, ammirato, girò lentamente attorno alla colonna. Si ricordò degli schizzi che aveva sequestrato nello squat: non avrebbe mai immaginato che ne potesse venir fuori una bellezza del genere. Osservò gli otto lunghi anemoni di mare rosa agganciati quattro a quattro alla colonna che protendevano i tentacoli multicolori.
Improvvisamente, a pochi metri da lui, vide Ahmed che contemplava la sua opera. Frugò nella pochette che aveva attorno al braccio: insieme ai documenti, le chiavi e il cellulare teneva sempre una fascetta di plastica. Si avvicinò all’artista, gli mise una mano sulla spalla:
«Bel lavoro, signor graffitaro. Adesso ti metto le manette e poi mi fai fare una visita guidata dell’opera».
Ahmed, con le mani legate dietro la schiena, rimaneva silenzioso. Poi disse sorridendo:
«La guardi bene ispettore, tra poco sparisce».
Il poliziotto e Ahmed continuavano a godersi la decorazione e la musica. Giravano lentamente attorno alla colonna osservandone attentamente la nuova pelle. Thénardier fissava lo zoccolo quadrato della colonna: era nero, costellato di piccole macchie bianche che rappresentavano le costellazioni e le galassie. Si domandava che aveva voluto dire Ahmed con «sparisce».
«Cos’è quella specie di scala attorno alla base?, domandò l’ispettore.
«È il Dna: in cima si apre e lascia uscire dei coriandoli colorati che simbolizzano lo sviluppo della natura», rispose Ahmed con un tono sapiente.
La gente attorno alla piazza cominciava a ballare. Thénardier sentì una punta all’altezza dei reni e una voce rauca che gli ordinava di lasciare libero il prigioniero. Ahmed si voltò e vide l’uomo della chiatta che gli sorrideva.
Una coppia di turisti giapponesi si avvicinò alla colonna per fotografarla: l’uomo aveva un braccio telescopico con agganciato in cima il cellulare. Dalle casse una voce perentoria intimò in giapponese di allontanarsi immediatamente. I due giapponesi obbedirono e corsero via facendo piccoli inchini in segno di scusa.
Cominciava il conto alla rovescia.
Nel furgone Yäelle e Tuning, incollati agli schermi, guardavano affascinati la scena di place Vendôme trasmessa dalle telecamere piazzate sulla terrazza del Ritz. Tuning, che aveva aiutato Ahmed con il rivestimento della colonna, non credeva ai suoi occhi. I fogli di vinile non erano mai stati usati in quel modo.
Gli sembrò di vedere in una creatura con dei tentacoli una citazione del suo tatuaggio. Yäelle rise vedendo la statua di Napoleone coperta da un lungo vestito rosso. L’Imperatore aveva in testa un cappello a cilindro ornato di piume di pavone. Dentro c’era il contenitore con le ceneri di Edmond.
Yäelle aveva fatto le ultime verifiche: la connessione con il sistema di accensione era in ordine e stabile. Tuning non si era potuto trattenere da canticchiare un coro da stadio «Vi romperemo il cuore… vi romperemo il culo…», forse per incoscienza o forse per l’agitazione che gli faceva sudare le mani…Finito il conto alla rovescia, Yäelle gli fece segno con l’indice e lui appoggiò sul tasto “enter” del portatile. Otto missili, mascherati da anemoni di mare, si accesero. Ma la colonna rimase immobile.
I due guardavano lo schermo disperati. Ma poi la colonna cominciò a vibrare e smise di fare resistenza. Un metro, cinque metri, e prese il via. Si alzò perpendicolare mostrando la nuova pelle alla città. Sulla piazza troneggiava l’anima di pietra con all’interno la scala elicoidale, una scala adesso senza fine, una metafora dell’assalto al cielo cara a Thierry.
Arrivata a cento metri, la colonna si inclinò e volò verso nord. Il razzo multicolore, con in cima un imperatore, metamorfosi della «Dissoluta Regina d’Albione», come avrebbe detto Edmond, prese velocità. Il lungo vestito di Napoleone cominciò a sventolare, una bandiera rossa simbolo della Comune. Il razzo continuò a tutta velocità verso Montmartre e il Sacré-Coeur, dove il presidente aveva appena preso la parola.
Il boato si era sentito in tutta la città. Increduli, i manifestanti vedevano, in direzione del Sacro Cuore, salire una spessa colonna di fumo. Agli slogan e alla musica delle bande dei manifestanti era subentrato il completo silenzio. Improvvisamente, il rumore del motore di un aereo che arrivava da sud attirò gli sguardi.
Era un bimotore di quelli usati per il lancio con il paracadute, che volava a bassa quota disegnando dei cerchi. Si cominciarono a distinguere dei puntini rossi, che uscivano dalla pancia dell’aereo e scendevano sulla città.
Man mano che si avvicinavano, i puntini prendevano forma: erano ombrellini rossi cinesi a cui erano agganciati panieri di vimini, che venivano giù lentamente. La gente all’inizio rimase interdetta e intimidita. Poi qualcuno si fece coraggio e si avvicinò a uno dei panieri che avevano toccato terra. Erano pieni di ciliegie, il frutto che «versa sangue», gli «orecchini di corallo». Era un omaggio alla Comune, a tutti e tutte, così fu capito.
Dei giovani vestiti di nero, i visi coperti da passamontagna con orecchie di gatto e occhiali di protezione, passarono all’azione in diversi punti. Con grosse mazze mandarono in frantumi le vetrine di una cinquantina di locali trasformati in Airbnb. Comparvero dei tavoli improvvisati su cui troneggiavano fusti di birra e bottiglie di kriek e di ginginha. Degli striscioni dicevano: «È il Temps des Cérises”. I black bloc fecero partire la musica. Una versione per piano e voce femminile della canzone della Comune ruppe il silenzio.
Sfilati i passamontagna, ragazzi e ragazze scoprirono facce sorridenti. La folla si servì e cominciò a brindare. Sui tavoli c’erano anche delle maschere con le facce dei comunardi felici, che rapidamente passarono su quelle dei manifestanti, che si allontanarono ballando.
In place Vendôme la folla era pietrificata da quello che aveva appena visto. Le prime immagini della scena cominciavano a circolare sui social.
Thénardier si sentiva perso, non sapeva più che fare, tutte le sue certezze erano sprofondate. Si girò verso Ahmed e Lolo che lo fissavano, poi guardò il cronometro del jogging che aveva messo in pausa: sapeva soltanto che non aveva finito il percorso giornaliero: fece un segno di saluto con la testa e se ne andò correndo.
In cima alle Buttes-Chaumont, la banda aveva assistito al volo della colonna.
Il Sacro Cuore non c’era più
Thierry prendeva appunti, già aveva in testa il saggio della sua vita.
Errico guardava con aria assente il posto dove fino a pochi minuti prima troneggiava il potere, in senso reale e figurato.
Tuning si vedeva al volante di un bolide, stavolta doveva essere una Mustang, sapeva dove trovarla.
Bertrand si guardava le mani con cui aveva voluto costruire un mondo migliore, si chiedeva cos’era quel dolore insistente sotto la scapola sinistra che gli tagliava il respiro e di cui non aveva parlato con nessuno, e diceva addio alla sua rivoluzione
Yäelle e Lise fissavano silenziose lo spettacolo. Si guardarono, si abbracciarono strette e si baciarono sulla bocca.
Simone seguiva senza espressione la grossa nuvola di fumo che si alzava lentamente. Con la sinistra teneva per mano il figlio. La destra si alzò da sola e andò a posarsi sulla spalla di Paul. Il telefono dell’ex militare fece un bip: era un messaggio di Ahmed che diceva «Arrivo».
«Allora – gridò Lise – festeggiamo?».
NOTA DEGLI AUTORI
Non siamo nel mondo di una delle tante fake news in circolazione, ma piuttosto in quello delle dreamers’ news, ben più preziose. Magari vi siete un po’ divertiti, e a questo punto una domanda ce la aspettiamo: è possibile che un gruppo come quello dei nostri personaggi abbia messo in piedi un’impresa del genere? Che ci sia riuscito, con tutte le complicazioni tecniche, di soldi, di logistica, di relazioni che ha dovuto affrontare? Ci viene da rispondere: era possibile che persone mal organizzate, mal armate, a difesa di barricate costruite spontaneamente, isolate in una sola città, vincessero una battaglia contro due eserciti professionali e tutte le forze borghesi coalizzate? Era possibile andare“all’assalto del cielo”? Nel regno del possibile la risposta è no. Eppure… eppure per 72 giorni la Comune è stata viva, e 150 anni dopo per tanti è ancora un esempio, un’ispirazione, un sogno. Allora il possibile lasciamolo stare, e facciamo posto all’immaginabile. Paul, Simone, Bertrand, Errico e compagni, l’impresa l’hanno immaginata, e siccome l’hanno immaginata l’hanno anche realizzata. Un’impresa di pochi minuti, molto meno di quei 72 giorni, ma comunque un altro assalto al cielo. Per un attimo la Comune risorge, come dice Thierry, e poi scompare di nuovo, in attesa della prossima volta, perché non è morta.
E ora la festa.
Eccetto quella di copertina, tutte le immagini da commons.wikimedia.org