OPINIONI
Se la destra strumentalizza il pensiero queer
La stampa di destra sta riprendendo concetti e dichiarazioni espresse dalla teoria queer più radicale, travisandole. Una strumentalizzazione che serve a creare spaccature all’interno della popolazione destinataria della legge Zan
Negli ultimi giorni, mentre cercavo di capire per quale motivo la giornalista e scrittrice Marina Terragni mi avesse insolitamente magnificato definendomi “uno dei massimi teorici del pensiero queer in Italia” nel contesto, però, di una delle sue tante lamentele contro il ddl Zan, ho scoperto per puro caso che il mio nome compariva – proprio insieme al suo – all’interno di un articolo apparso sul quotidiano di destra “Il Giornale”, diretto da Alessandro Sallusti (5 maggio 2021). Si tratta di un articolo che, chiaramente, si propone di mettere il cappello della reazione su un insieme composito di critiche provenienti da “sinistra” nei riguardi del disegno di legge, con tanto di immancabile denuncia del gender, rivisitato per la circostanza in critica del “capitalismo gender fluid” (forse per farcela apparire più appetibile a sinistra, appunto).
Il fatto è molto grave, per almeno due motivi. In primo luogo, perché l’autore di questo articolo non riporta testualmente, corredandole dunque di fonti, mie eventuali dichiarazioni o critiche espresse altrove nei riguardi del disegno di legge in questione, bensì lascia intendere che il “teorico queer Federico Zappino” si sia venduto direttamente al cronista di un giornale di destra, rilasciandogli addirittura dichiarazioni esclusive.
In secondo luogo, il fatto è molto grave perché, da quanto si legge, ciò che avrei detto a questo giornalista è radicalmente antitetico a quello che è il mio abituale pensiero in proposito. Quindi non solo viene volontariamente lesa la mia immagine e alterata la mia identità, ma mi vengono attribuite affermazioni contrarie alla verità in un contesto che è lesivo della mia dignità personale, teorica e politica.
Il fatto, tuttavia, non è molto grave solo per il danno che ne derivo io in quanto persona, in quanto attivista e in quanto teorico che da lungo tempo dedica (direi inequivocabilmente) l’intero suo impegno politico e l’intera sua riflessione al contrasto della matrice sociale dell’oppressione, della violenza e della diseguaglianza di genere e sessuale, espressamente declinata in chiave anticapitalista e anticolonialista.
Il fatto è molto grave dal punto di vista politico. Questo giornalista riporta infatti che i motivi per i quali il teorico queer Zappino si opporrebbe al disegno di legge Zan si devono al fatto che (cito testualmente) «Il problema dell’omo-lesbo-transfobia non risiede nel modo in cui è strutturata la società», bensì nel fatto che «alcuni individui hanno la testa imbevuta di pregiudizi». Ciò che mi viene fatto dire a mia insaputa, in altre parole, è che non c’è alcun problema sociale e strutturale di omo-lesbo-transfobia, ma al limite un problema solo ed esclusivamente individuale, cioè di individui che hanno molti pregiudizi.
E se non esiste un problema sociale e strutturale di omo-lesbo-transfobia, ma solo un problema di pregiudizi individuali, allora non c’è alcun bisogno che una legge introduca aggravanti specifiche, dal momento che l’ordinamento prevede già ampiamente la punizione di condotte individuali criminose nei riguardi degli altri.
Al di là del fatto che io penso chiaramente l’opposto, come ho detto e scritto più e più volte, e cioè che l’oppressione, la violenza e la diseguaglianza di genere e sessuale costituiscono eccome un problema sociale, e ancora più precisamente strutturale, ciò che mi viene fatto dire a mia insaputa serve a tirare acqua al mulino a ciò che ogni giorno, in maniera frastornante, dicono tutti gli esponenti politici e tutti i corifei non genericamente di destra, bensì dell’estrema destra.
E questa strumentalizzazione serve a creare spaccature proprio all’interno della popolazione destinataria della legge. Per l’estrema destra, infatti, opporsi all’introduzione delle aggravanti specifiche che il ddl Zan introdurrebbe è funzionale al consapevole consolidamento di specifici rapporti di forza – così che mentre con una mano pompa il più becero giustizialismo, con l’altra mano promuove tutti quei fenomeni sociali come l’omo-lesbo-transfobia e la misoginia che poi fa passare però per problemi solo ed esclusivamente individuali.
E far passare un problema sociale per un problema esclusivamente individuale non ha niente a che fare, da parte dell’estrema destra, con la tutela dei principi di uno Stato di diritto fondato sulla responsabilizzazione e sulla colpevolizzazione individuali. Tutt’al contrario, ha solo ed esclusivamente a che fare con il disconoscimento della matrice sociale dell’oppressione, della violenza e della diseguaglianza di genere e sessuale. Ha a che fare, in altre parole, con l’ostracismo politico e sistematico nei riguardi della sovversione di un sistema sociale violento, diseguale e ingiusto su cui l’estrema destra cresce e prospera, ogni giorno di più.
Ma, appunto, questo è quel che ogni giorno dicono e fanno gli esponenti dell’estrema destra, ai quali questo giornalista dà manforte avvalendosi della mia identità alterata e del mio pensiero distorto fino a renderlo irriconoscibile. Non di ciò che dico io.
E questo non significa che io non nutra alcuna perplessità nei riguardi del ddl Zan, così come nei riguardi di qualunque legge genericamente antidiscriminatoria: i motivi per nutrire perplessità sono molti. Nessuno di questi, però, ha a che fare con le cosiddette perplessità dell’estrema destra. Al limite, come ho già detto in altre circostanze – e come ha osservato anche una persona che se intende parecchio, cioè la sociologa del diritto Tamar Pitch – mi preoccupa che «con questo ddl anche un uomo eterosessuale potrebbe invocare qualche discriminazione sofferta, appunto, in quanto uomo eterosessuale».
Ma certo, se “Il Giornale” avesse reso debitamente conto di queste perplessità si sarebbe reso conto da sé di non potermi strumentalizzare per i propri fini. Tantomeno, mi permetto di aggiungere, mi avrebbe affiancato a persone che si oppongono al disegno di legge appropriandosi del “femminismo radicale” per farsi in realtà fautrici di una prospettiva essenzialista che alimenta, dietro alle perplessità nei riguardi del concetto di identità di genere, l’esclusione e la vulnerabilità delle vite e delle esperienze trans. E questo è solo uno dei motivi per i quali tendo ad oppormi all’avallamento, ex parte transfemminista queer, dell’appropriazione del femminismo radicale da parte di queste persone: non c’è niente di radicale nell’essenzialismo trans escludente.
Nutro forti dubbi a proposito del fatto che “Il Giornale” possa mai strumentalizzare alcune delle mie idee più radicate, come ad esempio la sovversione del modo di produzione eterosessuale, da cui strutturalmente dipendono tutte le forme di violenza e di diseguaglianza di genere e sessuale.
E il fatto che la concretizzazione pratica di queste idee non possa avvenire per legge, come ho detto lo scorso luglio, nell’intervista rilasciata – quella sì, direttamente – a “DinamoPress”, non costituisce ragione sufficiente, per me, per non approvare il ddl Zan – è proprio da quella intervista che “Il Giornale” ha preso due righe e la ha ribaltate, senza citare, per riuscire meglio nel suo intento di alterazione e distorsione. So molto bene che non è compito di una legge fare la rivoluzione sociale e culturale che invece anima da sempre il mio impegno politico e la mia riflessione. Un buon parlamentare deve occuparsi di rimuovere le discriminazioni giuridiche e di introdurre aggravanti specifiche là dove l’ordinamento mostri indifferenza nei riguardi delle asimmetrie sociali. È il movimento, al limite, a doversi occupare delle prassi sociali trasformative e istituenti.
Come sempre, appurare la verità si può, se si vuole, anche in questo tempo di così oscuri presagi, fondato sulla mistificazione e sulla menzogna elevate a principi strutturali (primo grave problema), le quali però non si consoliderebbero così facilmente (secondo grave problema) se non potessero contare su un pubblico di individui tanto iperconnessi quanto irrelati, perfettamente assuefatti all’odio a mezzo social, alle gogne mediatiche, al dissing, a forme soddisfatte di diffamazione e di calunnia, e ad altre modalità infelici di chiedere e ottenere attenzioni, di scaricare sugli altri un po’ della propria angoscia, della propria rabbia e della propria solitudine.
Questa è la notte del mondo in cui ci è dato vivere. Ma è proprio nel momento in cui tutte le vacche diventano grigie che la destra può strumentalizzare le posizioni più critiche, al fine di alimentare l’odio interno alle minoranze – perché sa perfettamente che il presupposto dell’oppressione è impedire alle minoranze di unirsi tra loro –, e l’odio per il dissenso, per il pensiero critico in se stesso, chiaramente per normalizzarlo.
Non dovrebbe certo sorprendere che il pensiero reazionario si serva di ogni mezzo per ostacolare il pensiero trasformativo: lo ha sempre fatto, con la repressione o con la strumentalizzazione.
Ma dovremmo opporre migliori connessioni, in grado di condurre a più lucide considerazioni, da parte nostra, a proposito delle più ampie funzioni d’ordine di questa strumentalizzazione, e di livellamento di ogni posizione eccedente alle posizioni dominanti. Non so se Monique Wittig si riferisse al presagio dell’odierno dibattito pubblico, quando in The Straight Mind scrisse che le leggi binarie presuntamente eterne e universali alla base del sistema sociale eterosessuale servissero a rimpinzare sia i meccanismi dell’inconscio, sia i computer – ma certo è un’immagine suggestiva, e calzante.
Tutte le immagini di Lisa Capasso dalla manifestazione in piazza dei Santi Apostolo (Roma) del 17 luglio 2020