ROMA

La trasformazione di via Giolitti espelle gli ultimi abitanti

Roma Capitale tenta nuovamente di liberare le case comunali di via Giolitti da chi le abita, continuando così a mettere in atto l’operazione di trasformazione del centro cittadino a mero meccanismo di rendita, vetrina e consumo

Le prime inquadrature di Ginger e Fred di Federico Fellini appaiono visionarie, sono al contrario profetiche. In quella scena, siamo nel 1985, l’atrio della stazione Termini appare ingombro di manifesti pubblicitari di ogni tipo e un gigantesco zampone pende dal soffitto per reclamizzare la fabbrica di salumi Lombardoni.

In quell’anno l’atrio della stazione e la galleria in testa ai binari conservavano ancora l’aspetto voluto dai progettisti, Montuori e Vitellozzi, vincitori del concorso bandito nel dopoguerra alla vigilia del Giubileo del 1950. Avevano voluto realizzare non un edificio che fosse la porta di ingresso alla città, ma esso stesso un pezzo di città.

L’atrio era uno spazio carico di forza, nonostante la sua leggerezza e trasparenza. La pensilina “a ondate”, come la descriveva Gio Ponti, si estendeva sulla piazza a raccogliere la vista dei reperti dell’antica cinta difensiva e a spingere lo sguardo fino alle Terme di Diocleziano. Parallele ai binari c’erano le due ali di edifici realizzate su progetto di Angiolo Mazzoni prima che la guerra costringesse a sospendere i lavori.

 

Quella lungo via Marsala lunga più di un chilometro e l’altra su via Giolitti estesa fino alla metafisica Torre dell’acqua.

 

All’interno un capolavoro dell’architettura futurista: la Cappa Mazzoniana realizzata in cemento armato e rivestita con marmo policromo. Al piano superiore, per l’intera estensione del fabbricato, si sviluppavano ampi spazi e sale di rappresentanza, progettati per accogliere riunioni plenarie, banchetti e danze, affacciate sul corridoio detto “passo di ronda”.

Alla vigilia di un altro Giubileo, quello del 2000, la stazione viene stravolta da una folle disseminazione di spazi commerciali a ogni livello. Grandi magazzini e ristoranti occupano gli spazi della vecchia biglietteria con le volte in laterizio, le vetrate su strada sono coperte dalle insegne pubblicitarie.

Nel livello sotterraneo è nato il Forum: 14mila metri quadrati di vetrine per ogni categoria merceologica. Un enorme centro commerciale. La trasformazione da allora non si è mai arrestata e, come una ruggine che divora il metallo centimetro dopo centimetro, gli spazi commerciali, i ristoranti, le biglietterie automatiche, i chioschi di ogni genere hanno divorato lo spazio e ostacolato lo sguardo.

 

Ogni spazio di questo “pezzo di città” è stato privatizzato.

 

Oggi sono in corso i lavori per realizzare un parcheggio multipiano a ponte sopra il fascio dei binari, con una capacità di quasi 1500 posti, raggiungibile da una rampa su via Marsala. Intanto intorno alla stazione ci sono bancarelle che espongono cappelli, sovrapposti l’uno sull’altro con la scritta Roma sulla visiera, cinte e occhiali a specchio, distese di souvenirs di ogni tipo, borse colorate che sventolano sotto l’ombrellone annerito dallo smog. Occupano il marciapiede di via Giolitti.

Nascondono i negozi di Money Transfer, il Phone Center, la Travel Agency, la Pizza Kebab e il ristorante Hong Kong. Su via Marsala campeggiano le insegne di piccoli hotel: Mirage, Afrodite, Agorà, Marisa ora chiusi e ancora tanti bar, ristoranti, tavola calda. Sotto il portico della stazione trovano rifugio ragazzi senza una casa in cui andare. Una libreria universitaria e centro copie segnala la vicinanza dell’università.

 

In fondo a via Giolitti ci sono gli edifici a blocco delle case comunali. Accanto alla “lucente” stazione uno stridente stralcio di povertà.

 

Il quartiere umbertino che da qui si estende era nato subito dopo l’unità d’Italia su ville, orti e vigne lottizzate dai proprietari per realizzare enormi rendite immobiliari dalla costruzione di abitazioni per la nuova borghesia impiegatizia. Oggi l’intero quartiere Esquilino è interessato da un processo di trasformazione, con conseguente espulsione degli abitanti storici.

Ecco perché le case comunali di via Giolitti, strette fra la stazione in piena trasformazione e l’Esquilino, devono essere liberate da chi le abita e per farlo Roma Capitale, attraverso la società Aequa Roma S.p.A che ne gestisce le riscossioni, ha inviato negli scorsi mesi lettere di morosità agli inquilini del proprio patrimonio.

 

Già tre anni fa si era tentato di liberare quegli alloggi dagli inquilini poveri promuovendo un’asta per i canoni di locazione.

 

La manovra allora fu sventata grazie all’intervento di Asia-USB. Oggi con le lettere che chiedono decine di migliaia di euro per presunte morosità si tenta un nuovo assalto all’abitare di molte famiglie assegnatarie in emergenza abitativa, molte delle quali composte da anziani che risiedono lì da settant’anni.

Attraverso parole come recupero, riuso, rigenerazione si continua a mettere in atto l’operazione di espulsione degli abitanti e la trasformazione del centro a nudo meccanismo di rendita, vetrina e consumo. Lo si fa costruendo una narrazione, come è avvenuto di recente su piazza Vittorio, che parla di degrado, di decoro, di sicurezza. In realtà si vuole nascondere la povertà e allontanarla, affinché non oscuri l’immagine della città messa in vendita.

La cosa insopportabile è che non siano solo i privati a farlo, ma anche l’amministrazione pubblica, che di quelle persone dovrebbe occuparsi.

 

Foto da Wikicommons