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ROMA
“Roma come se”. Alla ricerca del futuro per la capitale
Walter Tocci ripercorre la storia della capitale e ne delinea il futuro come Città Regione e Città Mondo affidandone la costruzione all’intelligenza sociale che si intravede fra le macerie del presente
Declino, fallimento, degrado, povertà, mafia. Attorno a queste parole si fonda la percezione contemporanea della capitale e soprattutto della fascia perimetrale. È davvero questa Roma? O è il vecchio stereotipo che racconta la città «che non cambia mai, è sempre oziosa, inefficiente, assistita, sregolata, scettica»?
Roma, è vero, ha smarrito qualsiasi vocazione produttiva e di immaginario. Appare lontana la stagione che faceva della città il centro di sperimentazioni culturali in tutti i campi. Adesso è piegata dalle politiche di austerità, incattivita e rassegnata. A Roma si vive male, ce lo dicono le condizioni concrete della vita urbana. Pensiamo ai tempi e ai costi delle distanze, alla qualità e quantità dei servizi, alla mancanza strutturale di case per le fasce più povere della popolazione, all’assenza totale di manutenzione degli spazi pubblici. Di fronte a tutto questo sembra impossibile immaginare il suo futuro.
L’importante testo che ci consegna Walter Tocci – Roma come se. Alla ricerca del futuro per la capitale (Donzelli Editore, 2020) – al contrario prova a costruire l’immagine di Roma a metà del secolo. È un progetto ambizioso ma, come lui stesso afferma, «non si realizzano né le grandi né le piccole cose senza una visione di lungo periodo».
L’autore immagina Roma capitale del Mediterraneo, lì dove si giocano tutte le questioni strategiche del nostro tempo, lì dove, insieme a uomini, donne e bambini innocenti, è affondato l’ideale europeo. Propone di istituire il Forum euromediterraneo di Roma, che dovrebbe raccogliere «le iniziative internazionali, di studi, di solidarietà, di intercultura, di dialogo e di diplomazia».
La Roma futura dovrà impegnarsi in un’opera educativa per affrontare la «sfida umanistica della globalizzazione» per trasformare la mentalità collettiva. La scuola aperta giorno e sera sarà il luogo dell’educazione dei ragazzi e degli adulti. L’accoglienza non sarà più vista come un’emergenza, ma come «un principio regolativo di un nuovo welfare urbano» rivolto ai diritti dei residenti e dei migranti senza fare alcuna distinzione e che sia in grado di ricostruire tutto quello che è stato smantellato.
Per costruire l’impianto della città del futuro Walter Tocci parte da un’attenta analisi di come è avvenuto che «in soli centocinquant’anni la piccola città pontificia di circa 200 000 abitanti è diventata una metropoli di quasi tre milioni». Roma città coloniale ha visto la centralità dello stato e della sua burocrazia come motore della crescita, accanto ad uno sviluppo smisurato della rendita immobiliare. Tutto questo è finito. Così come appare necessaria «una produzione culturale contemporanea all’altezza dell’eredità ricevuta» del patrimonio simbolico costituito «dall’eredità della città storica, del museo d’arte a cielo aperto, dal centro mondiale della cattolicità».
Foto di Altotemi da Flickr
Definire l’area geografica alla quale fare riferimento è indispensabile. Roma «non è più contenuta nei pur molto ampi confini del Comune» ma si espande in un’area vasta coperta da una distesa di costruzioni, discontinua e frammentata. Esiste una città consolidata circondata da una periferia cresciuta intorno al raccordo anulare, in gran parte nata come abusiva, che si espande fino ai comuni limitrofi. È in questa «conurbazione unitaria, che chiamiamo la Corona di Roma, con una popolazione di tre milioni, il doppio di quella della città consolidata» che si deve ritrovare il senso della ricostruzione della capitale. Sarà necessaria la rinascita della campagna romana attraverso la ripresa dell’agricoltura di qualità, facendo irrompere il verde nei vuoti lasciati dall’edilizia sparsa. Dovrà essere recuperato il Tevere per «rianimare la relazione fra la città e il fiume, fino al litorale» per progettare un arenile di grande pregio ambientale.
La città dispersa a bassa densità riduce l’accessibilità ai servizi e alle funzioni, rende difficile trovare una risposta alla domanda di mobilità, riduce le opportunità di organizzare secondo economie di scala la pianificazione delle infrastrutture e dei servizi; con il risultato di un aumento dei costi realizzativi a carico della collettività, di una congestione delle reti e costi ambientali crescenti e con una offerta dei servizi pubblici di trasporto sempre meno in grado di soddisfare la domanda di mobilità.
La proposta è riprendere la cura del ferro e allargarla a scala regionale, integrandola con diversi mezzi di trasporto: tram, metro… Ma non basta. Per riconnettere la città a così bassa densità «occorre una politica della mobilità innovativa e aperta a soluzioni originali». L’autore pensa fra l’altro a mezzi pubblici con servizio a chiamata e itinerari flessibili. Tutto questo però resterà un tentativo destinato all’insuccesso senza un reale processo di trasformazione della struttura urbana.
L’autore riconosce che nel Prg del 2004 si sbagliò nell’attribuire alle Centralità previste la capacità di diventare poli rigenerativi, quando si è visto che in quelle realizzate «tutto si è ridotto a grandi centri commerciali circondati, senza alcuna relazione, da enormi quartieri residenziali». Si dovrebbe invece lavorare negli insediamenti che si sono coagulati intorno al raccordo anulare che, parzialmente interrato, potrebbe fornire lo spazio per la realizzazione di «luoghi di alta qualità architettonica, nuclei di condensazione dell’urbanità, nodi delle relazioni locali, occasioni di riconoscimento della cittadinanza». Le strade potrebbero perdere la loro immagine di viadotti per assumere quella di parkway. Qualche dubbio lascia l’ipotesi di un servizio a chiamata privato, che ha prodotto fin qui discriminazioni e lavoro senza tutele. Sarebbe preferibile incrementare il trasporto pubblico, anche se reso più attento alle esigenze degli utenti, piuttosto che a questioni di bilancio.
Una città da rigenerare abbandonando la logica estrattiva della rendita e riconoscendo il valore dei processi informali attivati dall’intelligenza sociale. Negli ultimi quarant’anni a Roma ha preso vita un laboratorio per la costruzione di un’altra città attraverso il recupero di spazi abbandonati al quale è stato attribuito un valore sociale attraverso la sperimentazione di nuove forme di vita urbana, sottraendo spazio alle logiche del dominio della finanza. Contemporaneamente si sviluppava una rete di ricercatori legata al sistema universitario che valorizzava queste esperienze proponendo nuove politiche per il territorio.
Foto di ho visto nina volare da Flickr
Roma è piena di case e di cittadini che una casa non possono averla. Una contraddizione che si porta dietro da quando è diventata capitale d’Italia. Si è costruito tanto, si è consumato tanto suolo, si continuano a costruire case destinate a non essere abitate. La questione della casa è la questione della città. La proposta di Walter Tocci per la Roma che verrà è molto chiara: battere la concentrazione della povertà, distribuendo l’edilizia sociale all’interno del resto della residenza, utilizzare il tanto costruito con una politica pubblica di acquisizione, dotare di servizi ogni quartiere per garantire la qualità dell’abitare. Edilizia sociale orizzontale la definisce per la cura delle relazioni sociali legate all’abitare.
La proliferazione di alloggi utilizzati per accogliere il flusso abnorme di turisti prima della crisi pandemica ha distrutto l’abitare senza valutare il prezzo che la comunità avrebbe pagato. La crisi ha reso evidente come l’industria turistica, diventata la monocoltura urbana, non rappresenti una ricchezza per la città.
«La soglia è stata raggiunta con l’eccesso di case per le vacanze, la deformazione della rete commerciale e l’omologazione del paesaggio urbano» – afferma l’autore. Per questo appare poco convincente affermare che se «dovessero attivarsi dei servizi tipo Airbnb se ne avrebbero effetti positivi nell’economia della periferia».
Per governare la nuova città del 2050 Tocci propone una rivoluzione istituzionale: in alto la città metropolitana o addirittura la Regione e in basso i comuni urbani, corrispondenti agli attuali municipi. «Il comune urbano è vocato a trasformare in politiche pubbliche le innovazioni già in atto nei quartieri per la cura degli spazi pubblici, la produzione sociale dei servizi e il mutualismo, la crescita di economie collaborative, l’espressione artistica e culturale».
«Chissà se il mormorio sociale si trasformerà in un nuovo discorso pubblico: raccontare Roma come se potesse ancora stupire se stessa e il mondo».
Immagine di copertina di ho visto nina volare da Flickr