MONDO
Il popolo Mapuche torna a respirare
Dopo settimane di manifestazioni, scontri, blocchi stradali, occupazioni, episodi di razzismo e la nuova minaccia del para-militarismo suprematista, l’autorità spirituale machi Celestino Cordova e il governo cileno hanno trovato un accordo
Dopo 107 giorni di sciopero della fame, che hanno tenuto con il fiato sospeso le comunità Mapuche e il popolo cileno, il machi Celestino Cordova ha raggiunto ieri un accordo con il governo. Insieme a lui altri 26 prigionieri politici Mapuche hanno partecipato allo sciopero chiedendo di poter scontare parte della condanna nelle proprie comunità, nel rispetto del Convegno 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e nel contesto della crisi sanitaria, che ha già permesso la scarcerazione di un terzo dei detenuti in tutto il Paese negli ultimi mesi.
L’accordo firmato dall’autorità spirituale Mapuche prevede l’autorizzazione a recarsi al suo rewe, lo spazio sacro all’interno della comunità, solo per un massimo di 30 ore. Si tratta di un risultato parziale che scongiura il pericolo di morte del machi ma non soddisfa la richiesta originaria in cui veniva chiesto di poter scontare sei mesi della sua condanna nello spazio del suo rewe. Gli altri 26 prigionieri politici continueranno lo sciopero della fame in attesa di un accordo che regoli anche la loro situazione.
Gli oltre quattro mesi di sciopero della fame sostenuti dai detenuti Mapuche senza risposte da parte del governo, fino al dialogo intrapreso negli ultimi giorni, hanno inasprito progressivamente il clima politico in Cile. Nelle scorse settimane si sono moltiplicate le manifestazioni di solidarietà ai prigionieri Mapuche in tutto il Paese, con l’occupazione di cinque municipi nell’Araucania e il blocco di diverse arterie stradali. La risposta del governo è stata ancora una volta brutale, con ripetuti episodi di repressione e arresti da parte di Carabineros e Gendarmeria. Le stesse forze dell’ordine hanno inoltre lasciato campo libero ai gruppi suprematisti dell’Araucania che hanno attaccato gli attivisti fin dentro il municipio occupato di Victoria.
Risultano inoltre preoccupanti le dichiarazioni rilasciate dal sindacato dei camionisti, storicamente al servizio del padronato cileno, che ha minacciato il governo di convocare uno sciopero nazionale se non saranno ascoltate le richieste di maggiore sicurezza sulle strade, il rafforzamento della legge Antiterrorista e misure che favoriscano la “libertà d’azione” di gruppi fascistoidi, latifondisti e imprenditoriali che vogliono silenziare le rivendicazioni Mapuche sui propri territori ancestrali.
Le questioni di fondo che stanno infuocando il conflitto vanno cercate nella storia coloniale dello Stato cileno e nelle sistematiche vessazioni e violenze razziste perpetrate nei confronti del popolo Mapuche.
Un popolo originario con una tradizione millenaria che è stata tramandata attraverso i secoli di resistenza ai vari tentativi di dominio e genocidi perpetrati nel WallMapu, la loro nazione ancestrale ubicata nella parte meridionale del Cono Sur.
Il ruolo di machi che riveste Celestino Cordova rappresenta un’autorità spirituale che si occupa dei rituali tradizionali della sua comunità, ma ha un rilievo importante anche nella salute pubblica, che nel mondo Mapuche include la cura del corpo, dell’ecosistema e dello spirito. Il suo rewe, a cui potrà tornare per meno di due giorni, è un albero sacro, un totem, un luogo simbolico ma ubicato in uno spazio reale e concreto, che gli permette di svolgere le sue funzioni di sanazione e che in un momento come quello della pandemia, che in tutto il continente sta colpendo con particolare ferocia le comunità indigene, diventa quanto mai fondamentale.
Il caso del machi Celestino Cordova non è un caso di repressione isolato, altre autorità spirituali sono state coinvolte in montaggi giudiziari e hanno passato lunghi periodi in carcere salvo poi venire assolte senza ricevere nessun risarcimento. Una sorte simile è toccata alle machi Millaray Huichalaf e Francisca Linconao, ai lonko (autorità politiche comunitarie) Alberto Curamil e Facundo Jones Huala, e al werken (portavoce) Rubén Collio.
L’Operazione Huracán, un’indagine d’intelligence dei Carabineros portata avanti nel 2017 nel sud del Cile, è un esempio della persecuzione giudiziaria ai danni degli attivisti Mapuche. Durante il processo agli 8 comuneros accusati di far parte di una rete terrorista Mapuche, è stato comprovato che le chat intercettate, prova fondamentale per legittimare gli arresti, erano state inserite nei cellulari perquisiti dagli stessi membri delle forze dell’ordine. Anche in questo caso non si trattava di un caso isolato, sia i carabinieri che l’esercito cileno sono stati travolti negli ultimi anni da diversi scandali legati alla corruzione e allo spionaggio di attiviste e attivisti invisi al governo, come dimostrato dagli archivi diffusi durante l’attacco hacker Paco-Leaks.
Molte delle pratiche di violenza sistematica che sono state implementate contro il popolo cileno durante l’insurrezione iniziata lo scorso ottobre, erano già la normalità per gli attivisti e le attiviste Mapuche.
Non è un caso che la solidarietà verso i popoli originari in resistenza sia cresciuta durante le mobilitazioni di piazza a Santiago e che la Wenufoye (la bandiera della nazione Mapuche) sia diventata un simbolo della resistenza contro la repressione poliziesca e militare.
Criminalizzare le figure di leadership culturale e politica Mapuche è parte di una strategia politica di lunga data, attraverso la quale lo Stato cileno ha da sempre protetto gli interessi delle grandi imprese nel Wallmapu, aggredendo le comunità e costruendo la retorica del nemico interno. La legge anti-terrorista, approvata nel 2008 dal governo di Michelle Bachelet, è stata usata sistematicamente contro numerosi rappresentanti del popolo Mapuche. A metà del 2018 il presidente Piñera presentava nell’Araucania il Comando Jungla, una forza speciale dei carabinieri addestrata in Colombia, che pochi mesi più tardi avrebbe ucciso il giovane comunero Camilo Catrillanca nella comunità di Temucuicui, una delle più attive nel recupero territoriale. A sua volta la morte di Macarena Valdés, trovata impiccata nella sua casa nell’agosto 2016, è strettamente vincolata alla sua battaglia contro la costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Tranguil, che attraversa i territori comunitari.
Le comunità Mapuche continuano a essere perseguitate perchè promuovono un modello di governo autonomo in linea con la loro cultura ancestrale che è in netta contraddizione con il centralismo dello Stato coloniale cileno. Inoltre, la loro cosmo-visione racchiude una coscienza del territorio, dell’ecosistema e del paesaggio che diventa un limite per le imprese che vogliono estrarre valore e materie prime nelle loro comunità.
Sia sul versante cileno che argentino, il WallMapu è sotto attacco da parte delle imprese idroelettriche, forestali, ittiche e di chi specula attraverso la rendita delle terre acquistate, come i Benetton in Patagonia. Così come durante l’invasione dei conquistadores, le autorità indigene, e in questo caso Mapuche, venivano stigmatizzate come persone degenerate e perseguitate come streghe e stregoni, oggi vengono incarcerate come terroristi per aver difeso la loro terra e la loro cultura.
Immagine di copertina: Wecheke Kawiñ
Tratto da lamericalatina.net